testo di Riccardo Fontana / foto di David Tarallo
E così, la Ferrari rivince la 24 Ore di Le Mans dopo cinquantotto anni dall’ultima volta: nel 1965 erano stati Jochen Rindt e Masten Gregory a portare in trionfo una 250 Le Mans iscritta sotto le insegne del N.A.R.T. di Luigi Chinetti, facendo vincere una “semi” GT di una scuderia cliente di Maranello nel primo vero episodio – se tralasciamo il 1964 per ovvie ragioni di inesperienza degli sfidanti americani – di quella che sarebbe stata nota come la guerra Ferrari-Ford.
Da quel momento, il cavallino rampante non è mai più riuscito ad arpionare il successo assoluto nella gara, quella più importante, in grado da sola di nobilitare carriere ed impegni industriali.
Perché sì, è bene ribadirlo, la 24 Ore di Le Mans, tra le molte cose, è anche La Gara più importante del mondo.
Imbattibile la Ford, imprendibile la Porsche, battibile ma comunque vincente la Matra, venne poi l’ora del disimpegno forzato dal Mondiale Marche, sacrificato sull’altare del ritorno alla competitività in Formula Uno.
C’era già stato un primo fuoco di disimpegno nel 1968, quando Enzo Ferrari polemizzò con la Federazione contro l’abbassamento della cilindrata massima dei Prototipi a tre litri, ma a fine 1973 arrivò la decisione definitiva: la Ferrari se ne sarebbe andata, e non sarebbe tornata.
Negli anni il Cavallino seppe ottenere ancora molte vittorie e buoni risultati a Le Mans, con le vittorie in Classe GT con le Daytona e le belle prestazioni con le BB, e negli anni ’90 in più di un’occasione fu vicina a compiere l’impresa con la 333SP, che ora come allora sembra costituire quasi più una fonte di imbarazzo prima che di orgoglio: un’altra rinascita in F1, l’ennesima di un calvario che a parte rari e sporadici cicli dura da settant’anni, non permetteva di diluire oltremodo le risorse della Gestione Sportiva, e i contenders ringraziarono, trionfando immancabilmente.
Sembrava che i tempi dei trionfi ferraristi sulla Sarthe fossero irrimediabilmente finiti, e destinati all’oblio, quando la notizia del grande ritorno Ferrari tra le ruote coperte bastò, sola, a ridare un moto di entusiasmo agli appassionati: serissimi i propositi, stellari gli avversari, c’era veramente tutto per sognare.
Fine dissolvenza, 11 Giugno 2023 sera: la Ferrari ha vinto.
È una Vittoria – maiuscola d’obbligo – della passione e del motorsport migliore, quello vicino alla gente, quello opposto al fighettismo aristocratico della Formula Uno e dei suoi idoli politically correct di cartapesta.
È una Vittoria che regala un futuro radioso al motorsport, un avvenire che, forse, nessuno osava più nemmeno sperare: siamo letteralmente tornati indietro di cinquant’anni, neanche fossimo sul set di Ritorno al Futuro IV.
Gli spunti d’interesse si sprecano: penso al carrozzone malamente deambulante di bibitari ed affaristi, di vecchi guerci con la cazzata troppo facile, che oggi ha preso una legnata nei denti terrificante, penso ad Antonio Giovinazzi, che masticato e malamente sputato dal suddetto carrozzone si ritrova a fare la storia, e lo stesso – seppur senza la benedizione del trionfo – può dirsi per Antonio Fuoco, che sul carrozzone non c’è neanche mai salito.





Il carrozzone, dunque: chissà la fila di persone a comprare biglietti per 3-400€ a persona per delle libere da “gustarsi” sul prato quando con 60€ ci si fa tutto il weekend – ad esempio – alla 6 Ore di Monza, con macchine meravigliose, tutte diverse, figlie di una varietà tecnica che alla Formula Uno è sconosciuta almeno dalla fine degli anni ’70, costruite dalle più grandi case del mondo, e non da bibitari e maglionari.
Potrebbe legittimamente essere il vero inizio della fine del carrozzone questo trionfo Ferrari, e per il bene dello Sport sarebbe uno scenario pienamente auspicabile.
Spiace invece – e molto – per la Toyota: per l’impegno profuso in tutti questi anni che oserei definire semi-desertici, per aver tenuto da sola in piedi il WEC, e per la superiorità dimostrata nei primi appuntamenti stagionali, avrebbe certamente meritato una vittoria, che più che una semplice vittoria sarebbe stata il proverbiale “timbro del notaio” su un quinquennio dominato, stavolta contro letteralmente il mondo.
Ma le corse, si sa, sanno essere spietate, ed a poco serve recriminare: fortunatamente, le occasioni di rivincita non mancheranno.
Giornata invero memorabile, dunque: di fatto, e senza scomodare sterili discorsi campanilistici che assai poco ci interessano, non avrebbe potuto esserci un risultato migliore.



