Modelli del passato: Gordini Type 16 F.1 di Mikansue Competition

Negli anni settanta i produttori di modelli speciali avevano di fronte a sé intere praterie: specialmente nell’ambito delle vetture da competizione la concorrenza dei marchi industriali era quasi nulla, se si tiene conto che anche un marchio come Solido faceva uscire una o due novità a stagione, quando andava bene.

Mike e Sue Richardson furono tra i pionieri del modellismo speciale britannico, che da subito aveva scelto il metallo bianco come elemento primario: normale per un paese che da molto tempo si era costruito una fama nello stampaggio di figurini e altri modelli in scala in quel materiale. Nel loro negozio di Eton Wick (Windsor), i coniugi Richardson avevano iniziato a vendere i kit di John Day, contribuendo alla loro notorietà anche attraverso la rivista Modeller’s World, della quale erano le colonne portanti.

La decisione di produrre kit speciali in metallo bianco fu abbastanza normale: venne creato il marchio Mikansue (da Mike and Sue) e fra i primi prototipisti vi fu Rodney Henley, che aveva interrotto la collaborazione con John Day. A Henley si aggiunsero altri abili modellisti come Steve Bates e Martin Field. Gli stampaggi venivano realizzati da Colin Tyler al Leisure Centre di Bewdley. La gamma dei kit era divisa in tre filoni principali, gli Americana (originariamente idea di John Day), Competition e Grand Tourisme.

Il modello di questo articolo, la Gordini Type 16-6 2.5 Formula 1, è uno dei primi della serie Competition, col numero di catalogo 8. Il master si deve a Henley, che ha inciso le proprie iniziali sul fondino.

E’ un esemplare reperito di recente, che sembra montato – sicuramente in Francia – con uno stile anni ottanta, firmato con le iniziali “JD” in graffito sulla base. Si tratta di un esempio abbastanza classico di cosa si potesse ottenere con certi kit anni settanta: avendo manualità, conoscenza delle tecniche di preparazione (fondamentali in questi casi) e di verniciatura, si potevano ottenere risultati di tutto rispetto. Ricordo benissimo, tanto per fare qualche esempio, una Talbot Lago di MRF realizzata in Italia e tutta rifinita a china (compreso un eccezionale lining alle giunzioni) o alcune Bugatti montate da kit John Day, ritrovate a Firenze una quindicina di anni fa. La pulizia di montaggio era il segreto per tirar fuori qualcosa di valido da kit come questi, sui quali le simmetrie e gli aggiustaggi a secco rivestivano un’importanza capitale.

Malgrado l’accenno a Jean Behra nelle istruzioni, il kit riproduce la vettura con la quale Jacques Pollet partecipò al GP di Francia 1954, disputato a Reims. Nato a Rubaix nel 1922, Pollet fu un ottimo pilota, che entrò nell’orbita Gordini nel 1953 per ottenere alcuni risultati di rilievo nel 1954, come un terzo posto al GP di Bordeaux e un terzo con Behra a Caen. A Chimay, nello stesso anno, fu notevolmente rallentato da un sasso che gli danneggiò gli occhiali quando si trovava in testa; cercando di rimontare uscì di pista provocando la morte di due spettatori. Con le Gordini corse cinque gare del mondiale di F.1 fra il 1954 e il 1955 ma fu probabilmente nell’endurance che raccolse le maggiori soddisfazioni, come la vittoria di classe a Le Mans ’54 con André Guelfi e l’assoluto al Tour Auto dello stesso anno con Hubert Gauthier, sempre al volante di vetture Gordini. Pollet continuò a correre fin dopo la metà degli anni cinquanta, ottenendo tra l’altro un ottavo posto assoluto alla Mille Miglia del ’56 con una Mercedes 300S. Morì nell’agosto del 1997.

Tornando al modello Mikansue, il montaggio è stato condotto con rigore, senza l’aggiunta di pezzi particolari (forse il parabrezza in acetato, che nelle istruzioni non compare). Molta attenzione è stata dedicata alla calandra: la parte centrale è stata verniciata in nero opaco e successivamente il modellista ha provveduto a riportare a grezzo i vari listelli orizzontali e verticali.

Il disegno che compare come posadecals ricorda moltissimo l’unica immagine a colori nota di questa vettura, che i Richardson avevano dovuto ritrovare in qualcuno dei non numerosi libri dell’epoca. Le ruote sono in metallo nichelato, e accolgono le abituali gomme in materiale plastico-gommoso che erano tutt’altro che facili da adattare e da rendere un minimo realistiche.

I Richardson riuscirono a produrre non meno di 400 referenze differenti, vendendo poi lo stock di prototipi a una coppia di modellisti non molto esperta di Camden, a Londra. Da questo primo passaggio nacque il marchio Merlyn Models, che produsse un certo quantitativo di modelli, fra cui la Bristol 400, ma fu evidente come i nuovi acquirenti non fossero in grado di organizzare una produzione sistematica. Gli stampi tornarono quindi sul mercato e vennero acquisiti da Keith Edney (RAE Models) grazie all’interessamento di Tony Bellm, che fu colui che si accollò la spesa. Fu così che RAE riportò in vita gran parte della gamma Mikansue, a volte migliorando e aggiornando i master.

Sue Richardson morì nel 2010, Mike tre anni dopo. Ancora oggi, modelli come questa Gordini raccontano una storia fatta di passione e competenza, che merita di essere ricordata e tramandata.

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