La più grande concentrazione al mondo di Hypnerotomachia Poliphili

N’espérez pas vous débarasser des livres è il titolo di un gustoso libro, uscito nel 2009, con le conversazioni fra Umberto Eco e Jean-Claude Carrière. Moderati da Jean-Philippe de Tonnac, i due grandi intellettuali parlano di libri, di stampa e del destino dell’editoria. A questi colloqui mancava però una maggiore definizione degli ambienti e dei retroscena, lacuna che è stata colmata giusto un paio di mesi fa con l’uscita di Un été chez Umberto Eco, edito da Grasset, dove lo stesso de Tonnac racconta aneddoti e lati nascosti della nascita di quelle interviste. Un libro forse ancora più originale e intrigante di quello da cui prende le mosse.

Il filo è ormai quello della memoria (Eco è morto nel 2016, Carrière nel 2021), lungo la quale si dipana l’evocazione di incontri a casa dell’uno e dell’altro scrittore. E’ anche – ovviamente non solo – un libro sul collezionismo. Tanto Eco quanto Carrière erano accaniti accumulatori di volumi. Giocoforza, parlando di libri si finisce per trattare il collezionismo. Del resto gran parte dei saggi che si occupa di collezionismo lo fa affrontando la branca della bibliofilia.

Umberto Eco era uno dei pochissimi possessori di quello che viene da molti considerato il libro più bello dell’intera storia della stampa, e se non è il più bello è sicuramente uno dei più elaborati, intriganti e misteriosi: si tratta dell’ Hypnerotomachia Poliphili, romanzo di Francesco Colonna, signore di Palestrina, redatto in molte lingue, fra cui il greco, il latino, un italiano dialettale, l’arabo per alcuni frammenti, l’ebraico e dei geroglifici pseudo-egizi, il tutto arricchito da 172 raffinate incisioni su legno dall’aspetto arcano e simbolico. Venne stampato dal celebre Aldo Manuzio a Venezia nel 1499. Eco riuscì a procurarsene – certo sborsando una cifra non indifferente – una copia.

Si legge, nel resoconto di de Tonnac, di una sapida scena in cui Eco, raccontando del reperimento della propria copia dell’incunabolo manuziano, aggiunge che il suo vicino che abita a Piazza Castello, non lontano dal suo appartamento, ne possiede un’altra. E in più, a un tiro di schioppo dal suo salone, presso la Biblioteca Trivulziana se ne trovava un terzo esemplare, sempre dell’editio princeps. “Ciò che dovrebbe rappresentare la più alta concentrazione al mondo di Hypnerotomachia in un raggio di cinquanta metri!”. Una battuta ma anche un aspetto su cui riflettere. Quante volte il collezionista, ogni collezionista, avrà pensato la stessa cosa magari di un francobollo, di una moneta rara in suo possesso o magari di un modello? “Leggere un’edizione originale – diceva Eco – è come esserne il primo lettore”. E’ la magia dell’antico che sopravvive fino ai giorni nostri. Spiacenti, accumulatori seriali di cineserie, questi temi non fanno per voi. “Il libro apparteneva a qualcun altro; è stato rilegato per lui, a volte anche firmato. Tutto questo crea dei legami. Ho tenuto fra le mani un Montaigne annotato da Bossuet!”. E via ancora con storie di ritrovamenti rocamboleschi e certamente inattesi, storie di successioni (vi ricorda qualcosa o qualcuno?).

Il succo di tutto questo? Il collezionista è da sempre interessato più alla ricerca che alla possessione. “Quindi, sì, ciò che manca è più entusiasmante di ciò che viene acquisito e il gioco, in un certo modo, è senza fine”. Il libro e la bibliofilia sono ambiti più seri del nostro povero collezionismo di automodelli, certamente hanno radici ben più lontane rispetto ai nostri ristretti limiti di qualche decennio. Però leggere libri in cui dall’astrazione si passa all’oggetto in quanto tale, al piacere di cercarlo, di possederlo e di alzarsi la notte per rimirarlo, riconcilia col senso di una pratica che vista dall’esterno può sembrare non dico patologica (anzi, patologica secondo me lo è oggettivamente) ma almeno bizzarra quando non inspiegabile o assurda. Abbiamo illustri predecessori, perseveriamo diabolicamente.

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