Forme d’arte

testo e foto di Roberto D’Ilario

Eccolo qui, ogni tanto accade, basta abbassare un po’ la guardia e lui, il malefico Tarlo, si riaffaccia alla mente più vispo che mai. Tarlo di antica data, mai estirpato perché non estirpabile dalla mente di chi ama il bello, l’armonia, il gusto, la classe.

Il Tarlo è strettamente connesso ad una domanda di ordine filosofico-automobilistico, ovvero:

“Sono più belle le auto di ieri o quelle di oggi?”

Risposta scontata per noi ma non per tutti, per cui procediamo con qualche considerazione.

Oggi le auto sono super potenti, capaci di velocità straordinarie ma non sfruttabili a causa dei limiti di velocità e del traffico. Sono piene di tecnologia, di elettronica che le domina e le controlla per renderci la vita a bordo più facile e comoda; peccato che a volte un circuito stampato (in Cina) le blocchi e nessun meccanico possa metterci le mani, quindi si cambia direttamente l’accrocchio completo che proprio economico non è.

Qualità costruttiva eccelsa, dicono, ma a guardare bene si scoprono rozzi plasticoni, incastri malfermi, finta pelle, finto tessuto, finto cromo, finto carbonio, vera plastica.

Ma veniamo al punto centrale: lo stile, la forma, la carrozzeria. Le moderne sono senz’altro aerodinamiche, studiate al computer e in galleria del vento, rispettose dei regolamenti anti-collisione, certo, ma tutte tristemente banali, piatte, simili a lavatrici con le ruote che si spostano a passo di lumaca nel traffico, prive di appeal, di personalità, di un’impennata stilistica, di una nota caratteristica che le faccia spiccare. Monotone come pecore al pascolo, con tutto il rispetto per le pecore che pure qualche diversità tra di loro ce l’hanno.

E’ finita l’epoca dei grandi carrozzieri che disegnavano opere d’arte, che plasmavano la lamiera come fosse un blocco di marmo da scalfire per tirare fuori l’anima della vettura, in cui infondere un’idea del bello, alla ricerca dell’armonia tra efficienza e utilità, per imprimere la caratteristica saliente del mostro meccanico, per caratterizzare un marchio. I disegnatori di auto erano stilisti nel miglior senso del termine, persone che amavano l’arte e la cultura, capaci di trasmettere attraverso una forma un coacervo di emozioni, sensazioni, sogni. I nostri sogni di automobilisti non ancora omologati. C’era la cura dei materiali e del particolare raffinato, della ricercata espressione artistica fin nei minimi dettagli, classe e tecnica fuse da un tocco di estro creativo.

La lucida cromatura di un fanale, la forma sinuosa di un parafango, un cruscotto di pregiata radica, un volante in legno, uno stemma smaltato, un radiatore dai listelli incastonati a mano, un cofano sagomato per trasmettere imponenza o sportività, un cerchione composto da mille raggi, un interruttore che emetteva il suo “clic” meccanico, un sedile in pelle Connolly, pura poesia di  raffinatezze evocanti  una cultura e una cura ormai perdute.

Se è vero che “ogni scarafone è bello a mamma sua”, ovvero “se ogni auto è figlia della sua epoca”, soffermiamoci con attenzione sulle immagini e riflettiamo su ciò che di bello abbiamo perso: il Tarlo s’insinuerà anche in qualcuno di voi.

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