Brioche e pezzi di ricambio. I giovani nel motorismo storico

testo e foto di Riccardo Fontana

Oltreché auto, (qualche) moto, editoria specializzata e modelli, Autoclassica vuol dire anche una miriade di appuntamenti e dibattiti culturali con l’automobile classica come assoluta protagonista, uno dei quali particolarmente “gustoso” – a cura dell’ACI e svoltosi nella giornata di oggi – ha riguardato la difficile correlazione tra la passione delle “nuove leve”, la loro formazione professionale, ed il conseguente futuro inserimento in ambiti professionali riguardanti il motorismo storico di questi ragazzi.

Ohibò, e chi se non il sottoscritto – per l’occasione nobilitato di un sontuoso accredito stampa – a presenziare a cotanta discussione della cui mancanza (sia detto assolutamente senza malizia e senza sarcasmo) sentivo il peso fin dalla mia più tenera infanzia?

Nessuno, ed infatti ho preso posto tra il pubblico, per ascoltare il Dottor Pontremoli (Dallara), il Presidente Sticchi Damiani, ed altri illustri ospiti.

Tantissime belle parole, ancora più numerosi i bellissimi concetti, come il fatto che l’Italia dovrebbe creare un indotto turistico “di lusso” legato all’auto d’epoca e farne uno dei suoi capisaldi economici per i decenni a venire.

Il problema dei giovani, come è chiaramente emerso, è duplice: in primis vanno sensibilizzati sull’importanza delle auto storiche, e poi formati (in particolare sull’elettronica, andando il mondo dell’auto verso l’elettrificazione) introdotti nella filiera, magari del trading o dei restauri, con modalità ancora tutte in divenire.

Un bellissimo caffè e brioche con molti dotti ospiti, insomma.

Tutto molto bello, ora però, se voi lettori me lo consentite, ci terrei a fare io un paio di considerazioni, essendo io giovane (31 anni), essendo io appassionato (ho 39 moto in larga parte auto-restaurate, un’auto d’epoca, una collezione sterminata di modelli obsoleti e non, una libreria forse ancora più sterminata, ed una conoscenza – passerò da immodesto ma non me ne importa nulla – in grado di mettere in crisi legioni di settantenni che bazzicano l’ambiente da cinquant’anni).

Signori, tutto ciò è folle.

Completamente, oscuramente, drammaticamente folle.

Punto numero uno: dobbiamo smetterla di raccontarci delle favole.

Non è possibile basare l’economia di un paese di 65 milioni di persone sulle eccellenze (né tantomeno sui raduni di auto storiche, sulla Mille Miglia, e sul turismo eno-gastronomico di lusso ad essi correlati).

Avevamo la Fiat che dava da mangiare a tre quarti di paese costruendo TUTTO, dalla 500 ai caccia a reazione, ai treni ai motori navali, e oggi dovremmo vivere di trattorie, restauri e raduni?

Benissimo, solo che occorrono tre elementi chiave per farlo: denaro, tempo, e ancora denaro, e non basta dire “occorre riscoprire il tempo libero” per risolvere il problema, perché chi non è più che benestante, non dispone di tempo libero.

Né, tantomeno, di denaro per giocare con delle auto d’epoca, che non siano la Panda Fire con cui recarsi al lavoro ogni mattina.

Le soluzioni lapalissiane a problemi abnormi – come i ritmi deliranti del lavoro in Italia a fronte di paghe ridicole – a cura del top management dell’eccellenza industriale italiana: il popolo ha fame? Date loro delle brioche.

Secondo punto: la sensibilizzazione dei giovani sul tema motorismo storico.

Qui la situazione è, tanto per cambiare, molto diversa da quella esposta: i giovani sono fortemente attratti e consapevoli dell’importanza di questo mondo, ed il gran numero di giovani che si aggirava o tra gli stand oggi ne costituisce una prova tangibile, ciò che fa da discrimine è la pressoché impossibilità ad entrare in un’azienda che faccia automotive anche “moderno”, per tacere di realtà collegate al puro conservatorismo o restauro del patrimonio storico, che si contano si e no sulle dita di una mano e tendono ad assumere per cooptazione.

Mi limiterò a riportare la realtà delle aziende automotive classiche: avere una doppia laurea in ingegneria (come il sottoscritto) probabilmente non basta neanche a fare aprire il curriculum ad una impiegata del personale, se alla suddetta doppia laurea non si accompagna un numero minimo di tre PhD presi a Losanna più un quarto PhD preso a Londra che canta I won’t let you down dal vivo (e questa è per pochissimi).

Vedere personaggi così altolocati descrivere con siffatta superficialità e semplicità argomenti difficilissimi e “dolorosi” avvilisce, e lo fa nel profondo.

Argomento terzo, infine, quello relativo ai restauri: ma degli specializzandi in elettronica, esattamente, cosa dovrebbero fare? Restaurare delle Tesla o far funzionare delle Ferrari degli anni ’50?

Evidentemente, anche in questo campo le priorità sono destinate a cambiare, ma non mi vedo un gran tour di Tesla restaurate nel 2050 a fare il giro delle cantine del Chianti (o forse alla Sagra de’ Cacciatori a Cerbaia visti gli utenti medi della Tesla, ed anche questa è per pochissimi), anche se potrei sbagliare.

Si parlava di restauri, dell’importanza di avere quanti più pezzi originali possibili su un’auto (sacrosanto, uno dei pochi punti fortemente condivisibili di questa dotta dissertazione) e del riportare un’auto da corsa allo stato di quando correva (meno condivisibile, in quanto un’auto andrebbe LASCIATA nello stato in cui ha finito la sua ultima gara se possibile, e non restaurata, perché se la si restaura diventa un’altra cosa).

Che dire d’altro? Nulla, se non una cosa abbastanza importante: ragazzi, se c’è qualcuno di voi, giovani come me o più di me che legge queste righe, sappiate che se volete emergere e vivere in questo mondo dovrete aguzzare la testa, avere tanto coraggio, e soprattutto fare da voi.

Se aspettate illustri in frac, amministratori delegati, e personaggi con quattro o cinque cognomi, le agenzie interinali vi aspettano.

Per collocarvi a montare tapparelle.

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