Modelli del passato: Ferrari 365 GTB/4 Daytona di CAM

Dei marchi giapponesi CAM, Newcon, Rotarex, Rubicon ci siamo occupati in un passato ormai abbastanza lontano e neanche in modo del tutto esaustivo.1

In realtà, a parte le scarne notizie che si desumono dalle fonti europee dell’epoca, come Argus de la Miniatures, sui marchi afferenti al negozio di Keizo Kojima si sa in generale davvero poco. E non furono prodotte soltanto Ferrari, ma anche A.C. Cobra, Bugatti, Mercedes e addirittura una Honda S800 in versione coupé e cabriolet. Alcuni modelli – in metallo bianco o in resina – venivano commercializzati in kit e factory built, altri solo come factory built, tra l’altro in versioni specifiche, alcune delle quali sono estremamente rare, come certe 250 GTO da competizione.

Concettualmente i modelli in metallo bianco somigliavano parecchio agli AMR, con fusioni belle “pesanti”, parti nichelate, il tutto all’insegna della ricerca di un equilibrio generale che spesso veniva trovato. Quanto alla fedeltà di riproduzione, ci furono alti e bassi: alla Dino 246 GT, ad esempio, ma pure alla 275 GTB/4 non vennero risparmiate critiche anche all’epoca e forse neanche la GTO non possedeva la fascinazione sottile e persistente di un modello di Ruf. Si trattava comunque di modelli d’impatto, con caratteristiche decisamente alto di gamma, anche se qualche volta tendevano a “steccare” su alcuni dettagli; del resto, scivolare in modo anche un po’ grottesco sulla proverbiale buccia di banana dopo aver magari fatto magnificamente la quasi totalità del resto del lavoro è il destino di molta parte del modellismo (e dell’automobilismo) giapponese. Discorso che ci farebbe scivolare nell’antropologia e nella filosofia ma per il momento lo lasciamo da parte, eh?

Col numero di catalogo F-004 venne commercializzata, nella serie CAM, la Ferrari 365 GTB/4 Daytona stradale in configurazione fari fissi col fascione in plexiglass, ossia quella riservata al mercato europeo, prima che – dal 1971 – i fari retrattili, originariamente disegnati per il Nord America, venissero estesi all’intera produzione.

Era il 1984 e già questi modelli giapponesi erano abbastanza conosciuti dalle nostre parti, se non altro per gli alti prezzi. Uno dei primi importatori in Europa dei CAM/Newcon/Rotarex/Rubicon fu la belga Playtoy, cui si aggiunsero Mini Mini e altri.

Della Daytona fu prodotto anche il kit (foto sotto), mentre il factory built, di cui non so se fossero stati montati anche esemplari di colore differente dal classico rosso2, nell’abituale scatola nera senza l’elegante basetta in legno che avevano i Newcon.

Il numero di serie era punzonato sul fondino nero e timbrato sulle due etichette della confezione. Notevole la verniciatura, estremamente uniforme e non pesante, priva di ogni difetto. La pulizia di montaggio si fa apprezzare non solo negli incollaggi ma anche nell’esecuzione dei contorni vetro in colore alluminio.

E’ chiaro che – allora come oggi, seppur per ragioni differenti – i Kojima non sono modelli per tutti. Vanno capiti e bisogna anche calarsi, per quanto possibile, nella fascinazione che una Ferrari poteva avere per un collezionista giapponese di inizi anni ’80.

Due scuole a confronto: una Ferrari 250 GT TDF di MRF, in resina, e la Daytona di CAM, che vuole inserirsi nel solco degli AMR, tutti in metallo bianco. A confronto dei prototipisti francesi, gli autori dei vari Newcon/Cam/Rotarex non sempre mostravano di avere assimilato pienamente le forme delle vetture riprodotte

C’è in questi modelli molto dello spirito di quei posti, e forse proprio per questo furono subito giudicati abbastanza lontani dal nostro gusto, pur cercando di imitare tecnicamente quanto di meglio veniva proposto dagli artigiani occidentali del metallo bianco.

Oggi è difficile reperire un CAM, un Newcon o un Rotarex in condizioni perfettamente originali: la scatola spesso è andata perduta e a volte mancano particolari che, di per sé piuttosto robusti, tendono col tempo a staccarsi, soprattutto se un modello ha passato qualche decennio esposto alla luce e agli altri agenti esterni. Restaurare si può ma in molti casi l’originalità ne scapita.

Per le foto di questo servizio, il modello è stato fotografato su una brochure edita dalla Maranello Concessionaires, importatore britannico di Ferrari, nel luglio 1980

Le quotazioni non sono esorbitanti perché sono in molti ad ignorare del tutto questo tipo di produzione o a non apprezzarne la portata storica. Questi modelli restano comunque un’interessante testimonianza di un passato ormai lontano, un’epoca in cui un modello di un certo tipo costava necessariamente parecchio e anche se si avevano i mezzi per acquistarlo si doveva avere una dose supplementare di fortuna per trovarlo.

  1. Si vedano ad esempio un paio di articoli del 2012: https://pitlaneitalia.com/2012/08/04/due-rare-varianti-della-ferrari-gto-62-di-newcon/ e https://pitlaneitalia.com/2012/04/08/rotarex-un-marchio-giapponese-degli-anni-80/; ricopio qui ciò che Paolo Tron, nel suo effervescente stile alla “Idiotoriale” pubblicò in calce a uno dei due pezzi, perché mi pare ancora oggi un contributo significativo: Andai in Giappone nel 1985. Anche per assecondare la passione della mia allora non ancora moglie, Enrica. Personalmente trovai un sacco di cose interessanti in quel Paese (ci imbattemmo, per pura caso, nei Campionati del Mondo Fuochi d’Artificio a Kobe = in-cre-di-bi-li!)… salvo il cibo… ho fatto alcune figuracce mica male nel Sol Levante… tipo quello di chiedere ”bread, please” … per poi godermi l’espressione agghiacciata da parte della cameriera di turno… salvo il fatto che il panettiere (パン屋) era di fronte al ristorante stesso ! Insomma, un Paese un po’ strano… almeno per me… Ma perchè vi dico ciò? Perché una delle ragioni (minori) del viaggio fu una delle prime borse di scambio organizzata a Kanagawa (vicino a Tokyo) e cogliere l’occasione per conoscere alcuni dei commercianti con i quali ero entrato in contatto (fubbi uno dei primi a importare in Europa le loro produzioni) — dal punto di vista automodellistico il viaggio fu un trionfo, da molti punti di vista ma, soprattutto, dal punto di vista degli ulteriori contatti e approfondimento con le produzioni made in Japan. Allora mi sarei aspettato una loro esplosione che, invece, a parte Make Up Co. non avvenne così come l’avevo immaginata — in effetti, in parte, loro sono esplosi, ma solo nel loro Paese. Le ragioni furono i prezzi troppi alti per i mercati Europei e USA e anche per le difficoltà di comunicazione (c’erano sì i primi Commodore 64 ma NON Internet che nacque nel 1991). La mia prima sensazione riguardo ai Newcon e Rotarex? Di grande ammirazione. In alcuni ambiti erano avanti se non allineati alle migliori produzioni Europee di quell’epoca. Mentre alcuni dettagli mi lasciavano perplesso. Le linee dei loro automodelli erano quasi sempre … boh… inferiori a quanto avevamo da questa parte. L’Annecy era superiore al Rotarex (anche grazie a un certo Rino Robustelli) e anche la GTO di Newcon non era all’altezza dei Ruf, per non parlare delle P4 e 412P. In conclusione la produzione artigianale 1/43 Giapponese non è stato all’altezza delle (mie) aspettative. IMHO. Konnichiwa. ↩︎
  2. Presumo di sì, visto che sulle due etichette della scatola che vedete nelle foto è stata apposta la dicitura “Red” con un timbro. Ci sarebbe stato poco motivo per farlo se tutti gli esemplari fossero stati rossi. ↩︎

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