Mercato di San Donato

testo e foto di Riccardo Fontana

Domenica scorsa, spinto più dalla necessità di sbrigare una faccenda troppo a lungo procrastinata che da reale voglia di girare per banchi e banchetti, ho approcciato il primo mercatino dell’antiquariato milanese per la prima volta dall’avvento del covid, con risultati a dir poco spaventosi.

Una commissione, dicevamo: teoricamente, dato il sole ed i trenta gradi (!) che imperavano su tutto e tutti, avrei preferito di gran lunga fare un giro in moto in collina invece di mettermi cacciare rottami per mercatini, ma alzandomi molto presto – e data la necessità – ho comunque ritenuto di farla questa benedetta scappata a San Donato.

Su PLIT abbiamo parlato spesso dell’arrivo sul mercato di un gran numero di modelli, una specie di invasione di pezzi pregiati che pareva sconosciuta fino a pochi anni prima dell’emergenza, e del fatto che anche un “umile” mercatino dell’antiquariato generalista possa – spesso – rivelarsi del livello di una buona borsa del 2008-2009, quando la situazione delle mostre scambio era triste a farle un complimento.

San Donato inizia immediatamente a mostrare cose degne di nota subito all’inizio: un banco traboccante di Solido Serie 100 perfetti con scatola, svariati begli obsoleti senza scatola e due magnifici Eidai Grip in scala 1:20 con scatola (una Ferrari 312 T2 e una Dino Berlinetta Pininfarina) incrocia il mio cammino esattamente dopo 4 tavoli.

E ne mancavano più di 250 prima di finire…

Prendo due Solido (la Porsche 917K vincitrice della 24 Ore di Le Mans 1970 e la Lola T70 prima a Daytona l’anno prima, piuttosto rara in realtà) e la 312 T2 (un modello veramente stupendo, con in più il fascino dell’esoticità) per una cifra ragionevolissima, e continuo, imponendomi di calmarmi, perché se si inizia così tira decisamente una brutta aria: una volta si cercava di scovare il bel modello nascosto tra i rottami, oggi invece si trovano banchi che realmente hanno poco da invidiare ad una media borsa di scambio, e quello che ho appena lasciato ne è una prova.

Continuo e c’è di tutto, ovunque, tanto che ad un certo punto mi stanco di fare foto e continuo – molto poco deontologicamente in realtà -senza preoccuparmene: ci sono i soliti mucchi di rottami in cui è comunque possibile trovare qualcosa di bello, ed oggetti di tutto rispetto, come una BMW R90/RS Mercury in scala 1:15, con l’espositore per i commercianti e la scatola esterna bianca con Mercurino, bellissima ed in condizioni da museo, offerta a… 30€.

E non l’ho presa, perché ho le corna (certe cose vanno dette, ma anche la morigerazione è importante).

Ci sono anche degli speciali: in un altro banco, zeppo di obsoleti, compro una Ferrari 250 GTO/64 di SB Models, assai ben montata per 10€.

Solo per i modelli però, perché per il resto sarebbe molto meglio stendere un velo pietoso: mi imbatto in un banchetto che vende oggettistica militare, e tra le varie cose ha quattro paia di Ray-Ban col circolino, in condizioni ottime e con l’astuccio originale.

Sono i miei occhiali preferiti, ho il paio di mio padre, ma un po’ per quello e un po’ per le quotazioni che hanno (sono fuori produzione da decenni) sono molto restio a portarmeli in giro, e così mi dico che si, se la richiesta fosse consona – entro i 70-80€ diciamo – un altro paio potrei anche prendermelo.

Chiedo quindi il prezzo, e mi sento “sparare” 10€ a paio “perché forse nom sono originali, non hanno la scritta Ray-Ban sulle lenti” (che non ci doveva essere, perché nemmeno i “miei” del 1975 ce l’hanno, n.d.r.).

Siccome sono originali (sono pieni di minuscole stampigliature sulle montature, e tornano tutte) finisco per comprarli tutti e quattro per… 30€.

Wow.

Faccio ancora 50 metri, e mi si para davanti una Yamaha RD 250 da gran premio, come quella di Rodney Gould (passato a miglior vita proprio in questi giorni) Phil Read e Jarno Saarinen, una moto pluri-campione del mondo nel motomondiale classe 250 parcheggiata in mezzo a rottami di vecchi mobili con un cartello di cartone appoggiato alla ruota davanti che recita “compro moto di mio gradimento”.

“Di questo passo prima di finire trovo una Dino 166 F2 con dentro Andrea De Adamich…”, lo penso e lo dico anche ad alta voce, scuotendo la testa, ma la Yamaha la fotografo, perché è talmente non-sense come ritrovamento che merita davvero, testimonianza del fatto che, quelli che sono i probabilissimi effetti della pandemia – e cioè i morti diluiti soprattutto tra le generazioni meno giovani – hanno portato ad una era e propria invasione di merce pregiata che, a questo punto, possiamo dire esuli dal mero automodellismo ma abbracci anche branche teoricamente molto più “pesanti”: un Yamaha RD 250 da corsa, anni fa, era difficile da incrociare a Novegro, e se si raccontava di averne trovato uno la domenica mattina nel parcheggio di Metanopoli chiunque si sarebbe messo a ridere, eppure ormai nessun ritrovamento sembra più essere impossibile.

Vedremo cosa ci riserverà il futuro, certamente di sorprese ce ne saranno ancora parecchie.

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