Nella vita di un giornalista ci sono personaggi che non spariscono mai dall’orizzonte. Incontrai per la prima volta Hans Stuck al Mugello per un Euroturismo degli anni ’80, in cui la BMW schierava le 635CSi Gruppo A in un campionato che era divenuto uno dei più belli d’Europa. Poi ancora, l’ho incrociato tante volte, nei posti più remoti. Anche lui è stato contaminato dalla scenetta della voce nasale di cui i lettori di PLIT non sanno nulla ma un giorno ve la racconterò con tanto di filmato. Fatto sta che ogni volta che mi vede mi parla all’inizio con la voce nasale. Tornando seri, la 24 Ore del Nürburgring è un terreno familiare per il nostro Strietzel che stamani è salito in sala stampa. Avevo in programma un giro nel paddock per fare due foto ma ho preferito rimandare. Ecco quindi un paio di botta e risposta con un personaggio che non ha mai lesinato il suo tempo, anche quando era impegnato in prima persona.
Cosa fa della 24 Ore del Nürburgring un evento così particolare?

“Il fatto che sia un vero avvenimento per famiglie, l’occasione di fare una vacanza di una settimana col camper, la tenda o la roulotte. Ormai queste cose sono rare. Citerei solo un altro paio di circuiti che consentono di trascorrere momenti come quelli che gli spettatori vivono alla 24 Ore del Nürburgring: Sebring e anche Watkins Glen. Gli altri autodromi si sono parecchio “anestetizzati”. In secondo luogo, la varietà dei partecipanti e la bellezza della competizione. Con tante classi in gara, non ci si annoia mai. Direi che il progressivo passaggio dal turismo al GT non ha finito per nuocere alla gara, che si è rinnovata senza però rinnegare se stessa”.
Vediamo qui migliaia di famiglie con bambini e ragazzi. Questo fa essere ottimisti sul futuro delle competizioni automobilistiche?

“Le gare non moriranno. La mia generazione e quelle successive alla mia vivevano l’auto come un sogno, uno status symbol. Poi le cose sono cambiate, con generazioni del tutto disinteressate all’auto come oggetto di divertimento e di sport. Però la situazione è mutata di nuovo e i giovani che oggi hanno 18-19 anni li vedo molto interessati all’automobilismo. Ne ho avuto molte conferme, a partire dalle sessioni autografi che si vedono a ogni gara ma anche con esperienze familiari. C’è un riavvicinamento in termini di entusiasmo ma anche di competenza che fa ben sperare”.
Quindi c’è da essere ottimisti anche quando (o se) tutto sarà elettrico?
“Io penso di sì. A proposito dell’elettrico, la Formula E la reputo interessantissima, con un modo di guida completamente diverso che mi appassiona. Il fatto è che il margine di utilizzo e di limite di un motore di quel tipo è sottilissimo e il difficile è sfruttare la vettura in quei limiti stretti. E’ una specie di sfida moderna che richiede enormi capacità di guida e di concentrazione. Per quando riguarda gara come la 24 Ore del Nürburgring, spero possano sopravvivere anche all’espansione del motore elettrico. Spero”.
Torniamo un po’ indietro nel tempo. Tu hai vinto la 24 Ore del Nürburgring per tre volte e in tre epoche molto diverse fra loro: nel 1970, nel 1998 e nel 2004. Che confronto si potrebbe fare tra quelle tre vittorie?
“Il 1970 è ormai su un altro pianeta. Non avevamo quasi neanche dove dormire, mangiavamo dove capitava ed era tutto abbastanza improvvisato, anche nei team di prima fascia. Poi le cose sono diventate via via più sofisticate e direi che la vittoria che ricordo con maggiore piacere è stata quella del 2004, con la BMW M3 GTR. Una sfida davvero al limite, in un periodo in cui la 24 Ore del Nürburgring subiva un’evoluzione in termini di prestazioni e di tecnica: era il momento in cui le GT prendevano sempre più piede e le case guardavano con interesse crescente alla gara, con vetture tecnicamente interessanti, basti pensare alle DTM adattate alle regole del VLN. A partire da quegli anni, il livello agonistico è andato costantemente crescendo”.
