Testo e foto di Riccardo Fontana
Internet è una mano santa per molti aspetti della vita quotidiana, e uno di questi aspetti – seppur forzatamente marginale per importanza rispetto a molti altri – è il modellismo: la rete permette di levarsi molti dubbi in tempo praticamente reale, e sicuramente molto del sottobosco misterioso che circondava certuni cascami per così dire marginali della produzione obsoleta è stato sventato grazie alla potenza del web, che permette con poche e mirate parole chiave di trovare informazioni praticamente su tutto.
Tutto tutto? A quanto pare… No.
No, e la coppia di modelli qui raffigurata lo dimostra appieno: si tratta due Honda cosiddette “Tipo 6C” (come da etichetta), che altro non sono che la riproduzione in die-cast in scala 1:24 della mirabolante Honda RC 166 250 6 cilindri in linea bialbero con cui Mike Hailwood demolì ogni concorrenza nel biennio 1966-1967, non solo nella classe 250 ma – limitatamente al 1967 e con una versione portata a 297 c.c. – anche nella classe 350.


Una moto clamorosa la piccola RC 166, una delle più grandi dimostrazioni di forza tecnologica di cui mai la Honda si sia resa protagonista (e ne ha inscenate molte), e uno dei più colossali sound che si siano mai uditi su un campo da gara (ci sono dei video su YouTube, consiglio caldamente chi non la conoscesse di farsi una cultura).
Questo il doveroso incipit dedicato ad uno dei più grandi motori concepiti da mente umana, ma ora passiamo ai modelli in questione, e qui urge decisamente fare un giro di storia – forzatamente condita da note personali – sulle circostanze del loro ritrovamento, e del vissuto che ne è seguito.


La prima – quella con la basetta nera – l’ho comprata ad un mercatino nella provincia pavese circa dieci anni fa, assieme ad altre moto in scala 1:24 della Mercury: in realtà era – com’è tutt’ora per certi aspetti – in condizioni tutt’altro che ideali, pensavo che mancassero la carenatura ed i semi-manubri, sicuramente mancava la ruota davanti, che sostituii prontamente con una ruota di una MV 3 cilindri Mercury, data la fattura esattamente uguale della ruota posteriore.
Pensai, anche per l’evidente parentela costruttiva, che potesse trattarsi di un Mercury, tanto più che – mea culpa – non ho il magico “librone” sul tema uscito quasi una ventina di anni orsono, ed anche l’etichetta ed i suoi caratteri sembravano suffragare la mia ipotesi.
Già, ma la numerazione “Art. M2”? Quando mai ha marchiato “M” una sua moto la Mercury? Mai…
Avrebbe potuto dunque essere un Mignon Model? Avrebbe potuto, ma in ogni caso nessuna traccia di questo modello sembrava abitare il web, anche nei suoi più reconditi e remoti anfratti.
Dopo un po’ smisi francamente di cercare: fosse quello che fosse, il mistero sembrava essere senza soluzione, e d’altronde mai più mi capitò di vederne un esemplare analogo in circolazione, né dal vivo né in foto.
Non mi è mai più capitato fino a domenica scorsa, quando scorrendo distrattamente un annuncio su Marketplace mi imbatto in una bella 128 Rally della Mercury perfetta con scatola e – udite udite – in un secondo esemplare della 6 cilindri, con la scatola (di diverso tipo) completa ed apparentemente completa a sua volta, seppur con le ruote orridamente semi-sciolte (sono brutte? Succede anche a degli Spark da quasi 100€ e non mi pare di sentire levate di scudi in ogni dove, se non quelle che noi stessi scriviamo di nostro pugno qui su PLIT).


Detto fatto, prendo sia la 128 (ormai la Mercury è diventata il mio secondo filone dopo la Solido) che la Honda, se non altro per tentare di capire finalmente – magari con la complicità di qualche eventuale marchio impresso sulla bubble – di che diavolo di modello stiamo parlando.
Ebbene, mi reco a ritirare i modelli e… sulla scatola non c’è assolutamente nessun rimando. Nulla. Zero.
Il vuoto cosmico.
Il modello è palesemente lo stesso nonostante le ruote orridamente squagliate, con in più un pilota (che si innesta su dei semi-manubri ridicoli che sono esattamente i suoi, quindi l’altra non era incompleta da questo punto di vista) un contagiri (questo sì mancante sull’altra) e… nessuna carenatura.
Già, perché nessuna carenatura visto che l’RC 166 corse solo carenata?
Vallo a sapere, forse per rendere visibile il motore, e questo spiega anche il brutto numero uno adesivo apposto sulla forcella, che pensavo fosse un’aggiunta estemporanea di non si sa chi sulla prima che trovai, ma che mi sono trovato tale e quale anche in questa.
I natali di questo modello sono più che mai incerti: Mercury o Mignon sono sempre le ipotesi più gettonate, ma in nessuno dei due casi sembrano esserci conferme dell’effettiva esistenza a catalogo di questa referenza, quindi il mistero è decisamente fitto.
Certamente si tratta di un modello di origine italiana, come le scritte sull’etichetta sembrerebbero suggerire, ad ogni modo anche come Guiloy o Nacoral non sembrano esserci tracce dell’esistenza di questo modello.
La speranza è che qualcuno tra i lettori di PLIT dotati di buona memoria storica possa aiutarci a fare chiarezza su questo piccolo ma gustoso mistero.
Il mondo degli obsoleti – di sicuro – è sideralmente lontano dallo smettere di regalare sorprese.
