Collezionismo e classismo

di Claudio Neri

Il recente dibattito sull’annosa questione dei resincast cinesi palesemente sbagliati ha portato a galla tutta una serie di considerazioni – ora più sensate ora decisamente deliranti – circa la sensatezza di tali proposte sul mercato, e sull’inquadramento che il pubblico dei loro estimatori ha o, nelle intenzioni dei fautori di determinate tesi alquanto ardite – dovrebbe avere.

Una delle teorie più “interessanti” si basa (oddio…) su due colonne portanti: il fatto che chi acquista questi modelli nulla sappia delle auto che vorrebbero riprodurre, e che chi critica queste dubbie opere lo faccia non per spirito critico, ma piuttosto perché non se le può permettere.

Naturalmente, il solo apparire di questo ragionamento – in verità molto traballante – ha scatenato tutta una serie di reazioni, che vanno dall’aplomb di stampo sabaudo ad un colorito quanto tranchant spirito di liquidazione senza troppa voglia di fermarsi a discutere sulle sfumature (e del resto, l’illogicità non da tutti viene trattata con indulgenza, né si può pretendere che lo sia) ma comunque, forse, vale la pena di affrontare l’argomento con un minimo di metodo, perché gli spunti da esso derivanti possono comunque essere interessanti.

In primis, la pretesa scarsità di cultura di chi compra i modelli: il collezionismo di automodelli dovrebbe essere una naturale appendice alla passione per l’automobilismo reale, quindi che nel mondo di oggi qualcuno possa investire cifre anche importanti per acquistare modelli di auto a lui totalmente sconosciute appare come pura fantasia.

Idealmente, l’acquisto di automodelli segue il desiderato di auto vere, oppure il possesso dell’auto vera che questo o quel modello riproducono.

In ogni caso, c’è una competenza a monte, grande o piccola che sia, e soprattutto una passione, almeno nella quasi totalità dei casi.

C’è poi l’aspetto relativo alla critica di ciò che, a detta di qualcuno, “non ci si può permettere”: smontare questa tesi di dubbio gusto e dubbissima intelligenza è in verità molto semplice: mettiamo caso che uno chef stellato a caso domattina lanci le tagliatelle allo sterco di cavallo, alla modica cifra di 200€ a porzione.

A questo punto vi domando: la critica di tale grottesca pietanza sarebbe forse dovuta al “non potersela permettere”?

Se si vuole dimostrare di avere delle possibilità è penoso aggirarsi in area B con delle ridicole utilitarie solo per farsi selfie con aria beffarda ed insopportabile abbracciati a cumuli di modelli di grande serie solo per ricevere dei complimenti sui social: non sarebbe forse più consono dotarsi di una Ferrari 296 GTB e fare la passerella a Montecarlo con la ventenne di turno?

Sono solo considerazioni in ordine sparso, ci mancherebbe altro, ma una volta di più il mondo del collezionismo dimostra di essere una fucina di tipi strani come forse nessun altro hobby al mondo.

Foto di apertura: un modello maledettamente classista che ben pochi si possono permettere perché non solo costa un botto ma anche ammesso che tu abbia i soldi per pagarlo col cavolo che lo trovi.

2 pensieri riguardo “Collezionismo e classismo

  1. Avete presente le opere di Escher?

    Sono quelle stampe/incisioni in cui l’osservatore perde completamente la cognizione della prospettiva, dato che quest’ ultima viene alterata in continuo.

    Questo è ciò che accade quando ci si addentra in certe discussioni.

    Vedo di fare un breve riepilogo

    Perché un’azienda produce un bene… Facile, per trarne profitto, guadagnare soldi.

    Giusto l’altro ieri guardavo un video su facebook in cui, un appassionato di automobilismo, commentando le tante innovazioni della Citroen DS del 1955, si chiedeva: cos’hanno fatto gli ingegneri dopo la DS?

    Tecnicamente direi nulla, o meglio, considerato che sono trascorsi già 70 anni, hanno davvero fatto poco, in confronto…

    Nel frattempo però tecnici e ingegneri hanno prodotto milioni di auto e fatto spostare (e sfamare) miliardi di persone.

    Semplice.

    Questo per venire al dilemma centrale della questione, ovvero: c’è bisogno di nuove riproduzioni di vetture già ampiamente riprodotte in scala?

    Per la stragrande maggioranza degli appassionati la risposta è condizionata: si, a patto che i nuovi modelli siano migliori dei precedenti.

    Per i produttori , al contrario, vale solo l’equazione produrre a – costi x ottenere + guadagno.

    Certamente, in un mondo ideale, un prodotto non conforme dovrebbe rimanere sugli scaffali dei magazzini, a prendere polvere, purtroppo però oggi molti collezionisti sono presi dalla frenesia dell’avere… Subito e senza condizioni, come se i soldi non avessero peso.

    Che è ottimo per i produttori (e i loro rivenditori) che, in mancanza di un pubblico giustamente “critico”, possono continuare ad abbassare la qualità.

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    1. Tutto vero. C’è comunque un discrimine direi decisivo: le auto vere sono beni di consumo, che devono assolvere a un compito ben determinato pur con delle variabili legate al tipo di pubblico e ai mercati. I modelli sono la quintessenza del bene voluttuario, la cui scelta è emozionale e segue dei criteri sommamente “irrazionali”, ancor più dell’auto vera. Detto questo, difficile fare delle considerazioni di carattere generico, certo. Del resto i produttori stessi di modelli hanno dei compiti e degli obbiettivi che possono essere molto diversi fra loro. Con questo penso che analizzare questi fenomeni con spirito critico sia un’ottima pratica per capire meglio anche altre realtà.

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