Documentazione: The Dinky Toy price guide di Frank Thompson

Nell’epoca di Internet, non solo l’informazione ma anche la circolazione delle merci si è globalizzata in maniera probabilmente irreversibile. Oggi non solo si possono ottenere informazioni nel giro di pochi minuti, ma è divenuto facile acquistare oggetti in ogni angolo del mondo, operazioni che fino a qualche decennio fa erano alla portata di pochissimi eletti, che peraltro vi riuscivano in tempi misurabili su settimane di calendario1.

Il discorso vale ovviamente per il collezionismo. Nell’ambito degli obsoleti, i punti di riferimento e i giudizi di rarità o di valore potevano essere molto diversi negli anni ’70 o ’80 rispetto ai criteri odierni, e questo per svariate ragioni, non ultima la scarsa circolazione di modelli, che raramente lasciavano territori abbastanza ristretti.

Per gli obsoleti (chiamiamoli così, dato che già allora li definivano con questo termine abbastanza bizzarro, che suona ancora più strano a chi non sia un addetto ai lavori) la mancanza di documentazione era un problema abbastanza serio. Sembra impensabile ma ancora nei primi anni ’80 la maggior parte dei collezionisti non aveva un’idea completa della Serie 100 di Solido, e non sto parlando di varianti di colore, di ruote o di decorazione ma di referenze singole!

I vari paesi restavano piuttosto chiusi nelle loro tradizioni: non voglio dire che i Dinky France non fossero conosciuti o apprezzati in Inghilterra ma la tendenza a restare confinati ai marchi di casa era molto più evidente rispetto a oggi. A proposito di Dinky, questo fu uno dei primi produttori a ricevere attenzioni storiche (chiamiamole filologiche) da parte di collezionisti e/o rivenditori.

Specie in Gran Bretagna erano numerosissimi i negozi e negozietti che non solo a Londra ma anche nelle medie e piccole città si occupavano dell’acquisto e della vendita di modelli diecast del passato. E le ricerche di un Cecil Gibson prima e di Mike e Sue Richardson avevano contribuito non poco a far luce su aspetti che oggi paiono del tutto evidenti ma che negli anni ’60 o ’70 non lo erano affatto.

A inizio anni ’80 la conoscenza generale dei marchi più famosi era leggermente migliorata, anche come diretta conseguenza della domanda di questi oggetti da parte dei collezionisti. Dinky, Corgi, Solido ma anche Politoys o Mercury iniziavano a raggiungere quotazioni di tutto rispetto, a volte superiori (in termini relativi o anche assoluti) rispetto a quelle di oggi.

Nel 1982, Frank Thompson, un collezionista britannico che possedeva anche un paio di piccoli negozi (se non sbaglio a Leeds e a York) pubblicò per i tipi di Ernest Benn Ltd., storico editore fondato nel 1880, la Dinky Toy price guide. Sì, esatto: “Toy” e non “Toys”, chissà perché. La particolarità della guida, oltre a quella di catalogare in modo più preciso possibile referenze e varianti, si proponeva di dare un’idea di massima delle quotazioni – in sterline – dei singoli modelli, perfetti con scatola, perfetti senza scatola o in “good condition”. Tre livelli di stato, niente di più.

La guida ebbe successo e alla chiusura della casa editrice, nel 1987, Thompson pubblicò una seconda edizione, riveduta, corretta ed arricchita nelle liste e nelle informazioni. A pubblicare il volume ci pensò un altro editore inglese, se si vuole ancora più prestigioso del primo, A&C Black di Londra, conosciuto anche per aver pubblicato, tra il 1827 e il 1903, l’Enciclopedia Britannica e dal 1849 il Who’s who.

Alla seconda edizione seguì una terza nel 1992 e una quarta nel 1995. La terza fu particolarmente importante perché incluse i dettagli di quella che fu una delle principali novità modellistiche di fine anni ’80, la rinascita del marchio Dinky ad opera di Universal Matchbox International Ltd. L’edizione di metà anni ’90 fu ancora più ricca ma già si era entrati in un altro periodo, in cui libri di questo tipo dovevano assumere un’impostazione ormai diversa e molto meno “locale”. Nel frattempo, Frank Thompson si era fatto apprezzare anche per altri volumi simili alla guida dei Dinky, su Corgi Toys, Matchbox e Triang-Minic.

La “price guide” di Thompson conservò il suo carattere tipicamente britannico, anche nella scelta dei caratteri e nell’impaginazione: sobrietà ai limiti del francescano, poche foto (e solo in bianco e nero), tante informazioni ma difficili da trovare, spesso nascoste nelle pieghe delle liste e delle quotazioni. Difetti per tanti, ma per chi ama l’Inghilterra e ci è vissuto, sono cose che finiscono per sembrare naturali e addirittura gradevoli. Garanzia di serietà, per certi versi. Non so se rendo l’idea.

Per tutti gli anni ’80 il volume di Thompson costituì un valido strumento di consultazione e di lavoro, per collezionisti e professionisti della rivendita. I contenuti erano incentrati quasi esclusivamente sui Dinky inglesi ma una sezione sui modelli francesi – peraltro non completa – acquisì progressivamente spazio e importanza, anche perché nel Regno Unito l’interesse per certi modelli, specialmente quelli della serie 24, stava crescendo. La serie 500, forse considerata troppo recente, erano invece meno conosciuta e quotata.

Uno dei pregi del libro fu quello di tentare, forse per la prima volta, una quotazione che tenesse conto della rarità di certe varianti, quasi esclusivamente di colore. Di altre differenze (ruote, gomme, stampi, tipologia di scatole) non si parlava praticamente mai. Si iniziava invece a dare una certa importanza alla presenza delle scatole come elemento importante nella quotazione di un modello, cosa che ancora negli anni ’70 non era praticamente percepita: quando si trovava un pezzo interessante, raramente ci si curava che ci fosse anche la scatola.

Pochi sanno, giusto per inquadrare il periodo, che in Inghilterra, alla fine degli anni ’70, si trovavano lotti enormi di scatole vuote, che quasi nessuno voleva. Esse erano considerate da molti un intralcio fastidioso e ingombrante. Alcuni commercianti ebbero l’intuizione di accaparrarseli a prezzi bassissimi, e i fatti dettero loro ragione, se dalla metà degli anni ’80 in poi le quotazioni dei modelli perfetti con scatola iniziarono a scostarsi in modo esponenziale da quelle degli esemplari perfetti ma privi di scatola.

Concludo con un ricordo personale. Acquistai la terza edizione della guida nell’estate del 1992, da Waterstones a Gower Street. Sceso alla fermata di Euston square mi ficcavo nel negozio per ore, uscendone con ritrovamenti per i quali in Italia mi avrebbero sottoposto a TSO senza passare dal via. In quegli anni, nel nostro Paese, uno dei pochi ad avere la mentalità del commerciante e del collezionista britannico era Daniele Mattioli, titolare di Automobilia a Parma, cui sono legati tanti bei ricordi. Del resto, Parma non vi pare un po’ “inglese” anche lei?

  1. Nel 1991, ai tempi dell’università, chiesi al mio professore di filologia classica, Giovan Battista Alberti, se sarebbe stato possibile procurarmi l’originale dell’opera di Friis-Johansen e Whittle sulle Supplici di Eschilo, tema del corso monografico di quell’anno accademico. Quando possibile mi piaceva avere gli originali, le fotocopie della biblioteca mi infastidivano. “L’unico che è riuscito ad averlo – mi rispose il professore – è Augusto Guida” (che all’epoca credo fosse ancora assistente di Fritz Bornman). “Eh ma sa – alzò il mento con una specie di sorrisino ammiccante – lui ha altri approcci”. Al cospetto di cotanti nomi può risuonare nelle sfere celesti come una bestemmia, ma all’istante, quasi per riflesso condizionato, mi balenarono in testa tutti quei modelli introvabili in Italia da recuperare in nebbiose (o nevose) città del nord Europa, sciroppandosi migliaia di chilometri di autostrada, con le stazioni di servizio Aral e Nena in FM. Visto che per l’appunto avevo deciso di laurearmi con lui pensai bene, almeno per il momento, di non mettermi a parlare con l’Alberti di macchinine da rincorrere per il continente. ↩︎

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