di Claudio Neri
Questo è un pezzo che non avrei mai voluto scrivere.
È la storia della morte finanziaria di un marchio che è stato parte integrante della mia vita, e che come della mia lo è stato per intere generazioni di appassionati motociclisti – soprattutto fuoristradisti, perché il vero DNA della casa è sempre stato e sempre sarà quello – dall’inizio degli anni settanta ad oggi.
Dopo un’agonia relativamente breve, KTM e le sue controllate hanno dichiarato bancarotta nella giornata di ieri, venerdì 29 novembre 2024: la casa che aveva riempito i cortili delle scuole superiori italiane coi suoi 125 a motore Sachs, che aveva conquistato il mondo con Alessandro Gritti e con tutti i più bei nomi del fuoristrada mondiale fino al filotto iridato di Tony Cairoli nel motocross negli ultimi anni ha ufficialmente dichiarato l’impossibilità da parte sua di far fronte all’indebitamento verso i suoi 2500 creditori, per un totale di circa tre miliardi di euro.
Vivrà la vecchia casa dell’ovale blu prima e dell’orange poi? Quasi certamente si, più complicato è dire se sarà ancora la stessa cosa o si limiterà a diventare l’ennesimo brand cinesizzato a forza (e già era di strada…) cui il mondo moderno ci sta tristemente abituando, certo e – comunque – come questa non sia la prima volta che la KTM si trovi in uno stato di tale reale prostrazione economica: nel 1991 c’era stato un primo fallimento ufficioso, anche se la consegna dei libri contabili al tribunale fallimentare fu stoppata in extremis dall’intervento di Arnaldo Farioli e Toni Stocklmeier – i mitici importatori per Italia e Germania – la cui passione ed impegno determinarono la sopravvivenza immediata della casa di Mattinghofen, fino all’arrivo a partire dal 1992 di Stefan Pierer, che avviò un periodo di rinascita del marchio, che ad inizio anni 2000 appariva in piena salute ed in fortissima espansione.
Ci fu una crisi – comunque nemmeno lontanamente equiparabile a quella odierna – nel 2010, e fu in quest’occasione che nel capitale dell’azienda entrò con un solido 49% il colosso indiano Bajaj, ma le nuvole oscure furono presto diradate, e l’azienda tornò presto a viaggiare a gonfie vele.
L’off-road fu sempre la colonna portante della casa, che nel corso degli anni si era costruita la reputazione di regina del fuoristrada: “il kappa” era ed è sempre stato uno status, l’emblema stesso della moto maschia, potente e cattiva, e quest’immagine non l’ha mai persa, mantenendola fino ai giorni nostri, ma quasi all’improvviso si cominciò a guardare sempre più verso la strada e la pista, con grossi investimenti per l’ampliamento della gamma verso le moto stradali, con nuove motorizzazioni e layout ciclistici inediti (assai spesso prodotti in Cina, secondo logiche non sempre chiare e soprattutto condivisibili), nonché con l’impegno massiccio in MotoGP e nelle categorie cadette, Moto2 e Moto3.
Parimenti, si iniziò una massiccia campagna di acquisizioni aziendali: già padrona del marchio WP (sospensioni) ed Husaberg dal 1995, KTM acquisì prima l’Husqvarna – che era pressoché morente – da BMW, poi Gas Gas, ed infine MV Agusta, tutte con situazioni finanziarie opinabili (soprattutto l’ultima).
La parabola è stata in realtà molto simile a quella che fu propria della Cagiva a inizio anni ’90: impegno massivo e non giustificato dalle vendite nelle corse (si pensi al team KTM satellite in MotoGP che corre coi colori Gas Gas, un marchio che oltre a moto da Trial ed Enduro non ha mai prodotto), acquisizioni su acquisizioni di marchi decotti, fallimento.
Onestamente spero che la KTM viva, il mio pensiero però – del tutto controcorrente rispetto agli altri giornalisti che popolano web e che sembrano preoccuparsi solo dell’impegno in MotoGP – va alle maestranze austriache, che rimarranno senza stipendio a novembre e dicembre, senza lavoro nei primi due mesi del 2025, e con tangibili prospettive di licenziamento per un futuro nemmeno troppo prossimo: pagano le colpe di un management più attento ad inclusività e quote rosa che alle effettive necessità del mercato, e da sempre le cose le deve fare chi sa come farle.
La KTM è morta, lunga vita alla KTM.

Da semplice appassionato, prima, ed ex cliente deluso, poi, vorrei spendere un paio di parole sulla questione KTM, fornendo la mia personale chiave di lettura della vicenda.
KTM, con i suoi pregi e i suoi difetti, rappresenta pienamente lo stato dell’arte delle aziende europee.
Alleanze con marchi orientali che, giocoforza, diventano diretti concorrenti, pronti a erodere fette di mercato ed a svalutare i prodotti KTM che montano la stessa componentistica.
Innovazione tecnologica non supportata da un efficace controllo dei processi produttivi e dei particolari forniti da terzi.
Gettito continuo di modelli che, troppo spesso, si fagocitano a vicenda, dato che occupano lo stesso segmento di mercato.
Scarsa attenzione al cliente, garanzie ad personam, assistenza post vendita poco presente e in balia di malumori e simpatie.
Può bastare?
Perché potrei continuare per ore.
È ovvio che, alla fine, la clientela si stanchi… Anzi, credo che, tra tutti i marchi presenti sul mercato, KTM sia quello che vanta il minor tasso di fidelizzazione dei clienti.
Che non è proprio un bel biglietto da visita
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Un dettaglio: mi pare che GAS GAS in MotoGP figuri come sponsor, ma le moto siano iscritte come KTM, in modo da cumulare punti nel campionato costruttori
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