Solido, Ferrari 330 P3 Spyder Le Mans 1966

testo e foto di Riccardo Fontana

E venne dunque l’ora di un’altra perla in tema elaborazioni vintage, sempre su base Solido, e sempre recuperata nelle medesime modalità (cassette della frutta da Tiny Cars, vera miniera di stranezze di qualità annidate tra edicolosi e modelli da poco).

Questa bella P3 Spider, che riproduce la vettura numero 27 iscritta dal NART di Luigi Chinetti per Pedro Rodriguez e Richie Ginther alla 24 Ore di Le Mans 1966, è – come negli altri casi fin qui esaminati –  frutto di un’abile ed anonima elaborazione di un Solido della Serie 100 (uno dei più belli e pregiati, nonché longevi, com’è la 330 P3 coupé), ed ancora una volta i risultati sono stati ottimi.

Il modello è stato trasformato tagliando il tetto, togliendo il vetro dal cofano posteriore (incollato e non più apribile, d’altronde le cerniere non esistono più per la mancanza del tetto) e curando molto bene la verniciatura ed i dettagli dell’insieme: bellissime ad esempio le coperture dei fari anteriori, davvero si buon livello.

Mancherebbe il tergicristallo, d’altronde nelle cassette o si fa presto ad arrivare o si finisce per incazzarsi per il trovare i modelli rotti/sbeccati/incompleto, ma anche questo è uno dei belli del negozio, che è un po’ tipo la scatola di cioccolatini di Forrest Gump: non sai mai quello che ti capita.

A parte l’essere belli, perché sono bellissimi, questi modelli sono una testimonianza vivente di come e quanto sia stata importante Solido nel mondo dell’1:43, e di quanto in un certo senso continui ad esserlo, perché una realtà come Spark, che è a sua volta figlia (è proprio il caso di dirlo) di Record e di tutto il filone del modello artigianale alla francese, in Solido ha molte delle sue radici, almeno a livello “ideologico”.

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Il lato negativo del trovarsi ad ammirare un simile piccolo capolavoro lo si ha solo quando il cervello, opportunamente ammaliato dal mix di semplicità e precisione tipico di queste realizzazioni personali di chissà chi, si affronta solo quando affiora una semplice domanda: quante di queste elaborazioni del tempo che fu sono andate irrimediabilmente perse negli anni? E quante ancora ci andranno?

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