Una Porsche 962C un po’ evocativa

Se ne facciano una ragione, i tifosi di Spark e dei modelli-figurina. Esistono realtà parallele dove certi valori non hanno la stessa forza. E scrivendo queste righe mi sento un po’ come Stefano Cecchi che a Radio Sportiva evoca un calcio che forse non c’è più e che però continua a influenzare le nostre vite di ormai ex-giovani: le coppe al mercoledì sera, le maglie nei colori giusti, il Guerin Sportivo da leggere sotto l’ombrellone, il Subbuteo per rivivere sfide viste in TV e l’annuario Panini, quello con le “disegnate” di Carmelo Silva. Ecco, in un angolo sperduto di una dimensione spazio-temporale apparentemente inaccessibile con i normali mezzi della coscienza, queste entità regolano ancora le nostre emozioni.

E quindi se ci sono ancora le disegnate di Carmelo Silva, ci sono ancora i montati di GPM. Quelli che chiamavano con un po’ di prosopopea britannica gli “Studio built”, che negli anni ’90 trovavi in Four Small Wheels e che costavano un occhio della testa. Al di sopra degli Starter factory built e di cose varie provenienti dalle varie scuole francesi e italiane c’erano loro, il GPM Studio. E già negli anni ’90 erano più rari. Era il modo brutale per farsi una collezione seria. Altrimenti per chi si accontentava c’erano Vitesse e Solido. Un mondo forse più intransigente. Spark è l’inclusività che permette a tutti di illudersi di avere una collezione seria. Da qui ad averla poi ce ne corre ma guai a dirlo.

Nell’estate nel 1995 mi arrivò da GPM uno dei rari “Studio built” che le mie magre finanze di studente universitario potevano permettermi: una BMW 320 Gr.5 Jägermeister di Starter. Non si erano degnati neanche di metterci il rollbar ma a me sembrava di avere un signor modello. E per certi versi lo era perché ero l’unico ad averlo. Come uniche o quasi lo erano le realizzazioni del Porsche Modell Club. Un ristretto gruppo di persone poteva metterci le mani e quella soddisfazione durava mesi. Forse l’ho già scritto ma il giorno in cui ricevetti il pacchetto con la 962C SAT-Kremer di Weidler non lo scorderò mai. Sono i motivi per i quali vale la pena collezionare, altro che affastellamento. I modelli servono per catturare sogni e sfidare il tempo che passa. Potremmo parlarne per ore.

Il modello che vedete in queste foto è, appunto, uno dei famosi GPM Studio. Forse non il più bello. La base è quella, invero abbastanza discutibile, della svizzera GCAM. Però è una versione peregrina e anche in questo sta il suo fascino. Nel 1989 Vern Schuppan decise di ricostruire la propria 962C incidentata e fu il primo a dotarla di un telaio totalmente in carbonio, sviluppato con l’aiuto diretto della Porsche. Altri ci avevano provato, a rimpiazzare il telaio classico della 956/962C ma si trattava al massimo di pannellature e trasformazioni che non si sostituivano mai del tutto agli elementi metallici. Venne conservato il numero di serie originario (138), e la 962C con telaio in carbonio conobbe una carriera abbastanza densa, fra Europa e Giappone, presentandosi infine alle prove della 24 Ore di Le Mans 1991, iscritta in Gruppo C1/Categoria 2 dal britannico Tim Lee-Davey, che non ci fece neanche un giro. Non la pilotò neanche Val Musetti, che compare nell’elenco iscritti. Ci fecero invece le sessioni di qualifica il giapponese Katsunori Iketani e Mercedes Stermitz, ex Miss-Austria. Risultato: 4’18″611 e tutti a casa, anche se con un 4’15” la qualificazione sarebbe arrivata. La vettura esiste ancora oggi, in un’improbabile livrea Jägermeister.

La farà Spark, non c’è dubbio. Ricordate quella celebre battuta di Amurri e Verde a proposito di Enzo Biagi? “Tanto ormai in Italia scrive tutto lui”. Terrò la mia, costata molto di più di un economico Spark, delicata ma così inglese con i cerchi in alluminio quasi opaco, le scritte sulle gomme trattate con litri di Microscale e il lining che discreto occhieggia fra le pieghe della carrozzeria. Il ricordo di un periodo in cui se volevi una raccolta degna di questo nome ti ci volevano decenni per costruirla. E alla fine, la tua non era uguale a quella di nessun altro. Quel periodo non è necessariamente migliore e non è neanche più bello dei giorni nostri. Ma è quello che mi diverte di più raccontare.

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