Una Le Mans di quindici anni fa

E’ difficile trovare nella storia di Le Mans qualcosa che assomigli alla disfatta della Peugeot nell’edizione 2010. Certo, in periodi precedenti, altre case ufficiali avevano subito delle gravi sconfitte, ma spesso (o quasi sempre) si era trattato di passi falsi destinati a preludere ad una vittoria nelle edizioni successive. Passi falsi, quindi, di vetture ancora acerbe o che si credevano ormai in grado di puntare al successo, e che invece finivano la loro corsa anzitempo, lasciando campo libero all’antagonista di turno. Così regge fino a un certo punto il paragone con la Ford o con l’Alpine-Renault del 1977: in quell’occasione le macchine francesi dovettero arrendersi alla Porsche in una gara che doveva sancire la superiorità delle sport della Régie. Ma fino a quel momento la Renault non aveva mai vinto e si presentava a Le Mans ancora nelle vesti di sfidante, seppur favorita. L’anno dopo, puntualmente, arrivò la vittoria. Semmai, gli eventi del 1977 potrebbero essere paragonabili alle vicende del 2008, col risultato a sorpresa a favore dell’Audi.

Nel 2009 i francesi si rifecero con gli interessi, proprio come accadde nel ’78, ultimo capitolo del duello Renault-Porsche che costituì uno dei leitmotiv delle gare endurance della seconda metà degli anni settanta.

Nel 2010 la Peugeot arrivava a Le Mans ancora una volta da favorita, decisa in tutto e per tutto a confermare un ciclo. Ma l’enorme margine mostrato nel 2009 e sbandierato nel corso delle prove e della prima parte della gara si volatilizzò per colpa di una serie di rotture meccaniche. Incrinatura del telaio nel caso del primo ritiro, cedimento delle bielle sulle altre tre vetture; e se la Peugeot di Bourdais / Lamy / Pagenaud non avesse dovuto abbandonare così presto a causa del cedimento di un punto di attacco della scocca, la difettosità delle bielle si sarebbe manifestata anche su quel quarto motore. Le statistiche indicano che non ci fu un solo sorpasso fra il primo e il secondo ma si trattò ugualmente di una gara destinata a restare ben scolpita nella memoria di tutti.

Le stesse statistiche, si sa, devono essere interpretate, e la validità sportiva e tecnica di una competizione raramente emerge nella sua interezza da qualche dato numerico. La componente agonistica, l’intensità si potrebbe dire, costituiscono il valore aggiunto di ogni evento sportivo, che sfugge ad ogni tentativo di sistematizzazione matematica.

Volendo proseguire con i paralleli storici, la vittoria dell’Audi nel 2010 assomigliò per certi versi al successo della Mazda del 1991. E anche se questo le statistiche non lo indicheranno mai, sono stati alcuni episodi accaduti in apertura a influenzare almeno in parte il risultato finale: senza nulla togliere a Rockenfeller / Bernhard / Dumas, questa avrebbe potuto essere la gara di Capello / Kristensen / McNish, non fosse stato per un fuori pista causato da un… “malinteso” con la BMW M3 GT2 di Priaulx / Müller / Werner. Lì per lì, nel pieno festival Peugeot, nessuno avrebbe mai pensato che quel tempo perduto si sarebbe rivelato decisivo per i primi tre posti assoluti. Così l’equipaggio più titolato del team Audi fu preceduto anche da Lotterer / Fässler / Treluyer. La 24 Ore di Le Mans la puoi vincere negli ultimi minuti ma la puoi anche perdere nei primi.

Al di là delle cause strettamente tecniche dei cedimenti meccanici che falciarono le Peugeot 908 Hdi FAP – si parlò di condizioni non ideali per gli scambiatori aria-aria – c’è da domandarsi se questi furono davvero inevitabili, oppure se non furono altre le cause, come certe scelte strategiche, a determinare un simile crollo su una vettura che nei mesi precedenti si era “bevuta” come nulla la 12 Ore di Sebring e la 1000 Km di Spa.

Col senno di poi, all’indomani di Le Mans, qualcuno fece notare come nel corso dei test post-gara a Sebring, il martedì successivo alla 12 Ore, Pedro Lamy fosse rientrato ai box con la vettura che sputava fiamme dal lato sinistro. In quei test la 908 Hdi FAP aveva mostrato di essere capace di prestazioni impensabili. La spiegazione ufficiale della Peugeot parlò di surriscaldamento dei freni, dovuto all’accumularsi di alcuni detriti in pista nei condotti di aerazione. Ma in quel momento l’asfalto era praticamente sgombro dai tipici resti e frantumi della gara e tanto per la cronaca stavano girando solo in quattro. La quantità di fuoco che fuoriusciva dalla fiancata della 908 era inferiore rispetto agli spettacolari barbecue che si sarebbero visti a Le Mans, ma questo potrebbe dipendere dal fatto che Lamy, accortosi in tempo di un’anomalia, avesse staccato i contatti rientrando ai box a motore spento, limitando in tal modo gli effetti anche visivi di un cedimento meccanico.

Pitstop nella notte per la Peugeot 908 di Wurz/Davidson/Gené, fuori alle 12.50 della domenica per rottura del motore

Tutto sommato fu già tanto che la Peugeot decidesse di diramare all’inizio di luglio un comunicato in cui si spiegavano, anche se con toni abbastanza generici, le ragioni dei quattro ritiri. E fu comunque apprezzabile l’umiltà e l’onestà con la quale il team accettò la sconfitta del 2010 fin dai primi minuti del dopo-gara.

Ciò che emerge dall’analisi dei tempi in gara, è che la tattica della Peugeot fu quella di tirare a più non posso fin dalle fasi iniziali. Senza prendere in considerazione il primo turno, pesantemente condizionato nei ritmi dall’intervento della safety car, i tempi medi fatti registrare dalle Peugeot nelle battute iniziali di gara erano semplicemente su un altro pianeta a confronto con i valori espressi dalle Audi: 3’24”5-3’25”3 contro 3’26”2-3’27”8.

Anelli e pifferi di montagna
Sabato pomeriggio: manca poco alla partenza e le vetture vengono posizionate in griglia percorrendo a ritroso la pit lane

I primi due stint, entrambi di 12 giri, avevano già sancito la superiorità prestazionale delle Peugeot. Il divario aumentò ancora dopo i cambi pilota, con Davidson capace di segnare una media di 3’23”9 nel suo terzo stint (anch’esso da 12 giri), seguito da Sarrazin (3’24”5). Sia Davidson sia Sarrazin completarono tre stint con un solo treno di gomme. Dopo il ritiro di Lamy, la corsa sembrava volgere nettamente a favore della Peugeot di Montagny/Sarrazin/Minassian, mentre i ritardi della numero 1 (Wurz/Gené/Davidson) e della macchina schierata dall’Oreca sembravano troppo pesanti per poter sperare in un podio.

Le bielle utilizzate sulle Peugeot 908 erano di tipo diverso rispetto a quelle del 2009, ma secondo la casa francese esse non avevano mai rivelato alcun problema nel corso di test e simulazioni al banco. Il maggiore grip della pista e l’elevato ritmo di gara furono probabilmente una delle cause di questi inconvenienti. Per stessa ammissione del team, i tecnici delle Peugeot non sospettavano che i propulsori si trovassero in una situazione così vicina al limite critico. C’è da chiedersi se la rottura delle bielle sia da imputare ad un impiego per così dire “dissennato” come farebbero pensare i tempi sul giro inarrivabili per le Audi o se esse avrebbero creato problemi anche nel caso di un ritmo meno esasperato. Ciò che è certo è che le medie sul giro delle Peugeot rimasero altissime anche nella seconda parte di gara.

Osservando i tempi ed escludendo la Peugeot numero 3, fuori troppo presto e per giunta non a causa del cedimento del motore, la numero 2 appariva la Peugeot col ritmo sovente più alto e più costante, mentre la numero 1 e ancor più la numero 4 dell’Oreca erano meno costanti, con stint molto veloci che si alternavano a stint vistosamente più lenti: fu forse questa discontinuità ad aver tenuto per maggiore tempo in gara Wurz/Gené/Davidson e Panis/Lapierre/Duval? Quando alle 7 del mattino il propulsore della Peugeot numero 2 rese l’anima, erano ormai sei ore e mezzo che non entrava in pista la safety car. Inoltre la parte di gara dalle sei alle sette del mattino è considerata la più veloce di tutte le 24 ore, per via dell’aria fresca, del tracciato ormai perfettamente gommato e per il ritorno della luce.

Commissari alle esse prima del ponte Dunlop

Questi due fattori (lungo periodo senza interruzioni e fase particolarmente veloce della corsa) potrebbero aver giocato un ruolo decisivo nel ritiro della vettura di testa. Fatto sta che nelle ultime fasi della loro corsa, Minassian e Montagny giravano almeno 3 secondi sotto un limite considerato ragionevole, con stint da 12 o addirittura 11 giri. Cosa sarebbe accaduto se fossero rimasti su più prudenti stint da 13 giri? Delle Peugeot ufficiali restava quella di Wurz/Gené/Davidson, ma la sensazione fu quella che, accortosi ormai della presenza di un difetto strutturale, il team avesse lasciato alla propria ultima vettura carta bianca, sullo stile “o la va o la spacca”. Un terzo posto sarebbe servito fino a un certo punto. Prima Davidson e poi Wurz si produssero in una spettacolare rimonta, fino al decisivo KO. 

Si avvicina al Tertre Rouge l’Audi R15+ di Fässler/Lotterer/Tréluyer, secondi dietro a Bernhard/Dumas/Rockenfeller

Quanto alle Audi, esse furono molto più costanti e omogenee fra di loro, e la strategia di Ullrich & C. risultò azzeccata come non mai. Se nel 2009 erano stati compiuti alcuni errori, la condotta del 2010 fu impeccabile. Le Audi sfruttarono appieno il loro potenziale, portando a termine una corsa senza sbavature. Sei dei nove piloti Audi (McNish, Fässler, Lotterer, Treluyer, Dumas e Rockenfeller) riuscirono anche a completare quattro stint con un solo treno di gomme, totalizzando circa 48 giri pari a tre ore di gara. Un bel risparmio ai box, tant’è vero che l’Audi vincente trascorse in pit lane appena 35’25”, appena sei in più della R15 seconda classificata; i 38’17” della numero 7 (Capello/Kristensen/McNish) furono dovuti ad uno stop aggiuntivo in corsia box, trascorso nell’attesa del passaggio della safety car durante una delle neutralizzazioni. Niente da dire nemmeno in merito all’affidabilità: a parte un piccolo problema elettronico sulla R15 numero 7 alle due e mezzo del mattino, le sport tedesche marciarono senza il minimo problema. E, dopo 39 anni anni, venne battuto il record sulla distanza, che apparteneva alla Porsche 917 di Marko e van Lennep, vincitrice nel 1971.

Bernhard/Dumas/Rockenfeller (Audi R15+ LMP1), vincitori della 24 Ore di Le Mans 2010 con il nuovo record sulla distanza, con 5411km percorsi a oltre 225 km/h di media. Il record precedente era imbattuto dal 1971

La 24 Ore di Le Mans 2010 confermò ancora una volta che dal 2006 fra i motori benzina e i diesel non c’era partita. Le riduzioni del 2,1% delle flange e del 5,8% della pressione massima avevano portato a un incremento dei regimi massimi e alterato la curva di coppia, ma la riduzione delle prestazioni – o se vogliamo del gap nei confronti dei motori a benzina – fu pressoché inesistente. In ogni caso, ottimo il quarto posto dell’Oreca-AIM 01 di Ayari/André/Meyrick, favorito anche dal ritiro in extremis della Lola-Aston Martin di Turner/Barazi/Hancock.

Quella del 2010 fu l’ultima Le Mans disputata dai grossi V10 o V12 da 5,5 litri. Del resto nella storia dell’automobilismo, fra le monoposto come nei prototipi, non era certo la prima volta che si ricorreva ad un sostanziale downsizing. Dal 2011 i turbodiesel sarebbero stati limitati a 3,7 litri e 8 cilindri e contemporaneamente sarebbero spariti anche i propulsori a benzina della LMP1, ossia i 6 litri V12, i 5,5 litri V10, i 4,5 litri V8 e i 4 litri V8 turbo.

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