Tra Jaguar e Daimler

André-Marie Ruf aveva un debole per le Jaguar. Lo diceva spesso e del resto la sua produzione è ricca di modelli del marchio britannico, da quelle più lussuose alle sportive, fino ai prototipi da corsa.

Ed è proprio con una Jaguar che il cerchio si è chiuso, se è vero che un master non finito – cui Ruf aveva lavorato intorno al 2003 – è stato terminato da Mike Craig e fatto uscire con il marchio Piranha dopo la scomparsa di André-Marie. Parliamo della XJ12C Broadspeed Gruppo 2 dell’Europeo Turismo 1977, che sotto questo aspetto può essere considerata davvero come l’ultimo AMR della storia, un po’ come quando qualcuno trova nel cassetto il romanzo incompiuto dello scrittore morto o nello studio di registrazione il pezzo inedito della grande rockstar.

Dopo la Porsche 911 Carrera RSR Turbo di Le Mans 1974, Ruf mise mano ad un soggetto del tutto diverso, per l’appunto una Jaguar. Ne parlò in qualche intervista1 e nelle prime settimane del 1976 apparve il modello, destinato – proprio come la Carrera RSR Turbo – a suscitare meraviglia e ammirazione.

Ancora una volta, Ruf aveva creato qualcosa che aveva ben poco a che spartire col resto del mondo degli speciali. Il modello numero 2 riproduceva la versione lunga della Jaguar XJ12 seconda serie, uscita nel 1973, una vettura imponente, dotata del già famoso V12 da 5343cc che si era visto sulla prima serie, in grado di erogare 265cv a 6000 giri.

La concezione e la fattura della XJ12L di AMR seguivano uno schema destinati a diventare abituali: tutto metallo bianco, pochi pezzi ma montati bene, particolari nichelati e tocchi realistici, quali parabole dei fari riempite di resina trasparente, interni con volante e leva del cambio riportati, sedili accuratamente riprodotti e così via.

Ancora oggi sento dire che “i Ruf” (come li chiamano gli ignoranti, perché i Ruf non esistono) sono grossi e sovradimensionati. Falso. I modelli che fanno capo a Ruf si contraddistinguono per l’esattezza di quelle misure fondamentali, come altezza, passo e carreggiate. Solo la larghezza è leggermente aumentata, un “trucco” adottato da praticamente tutti i produttori di modelli 1:43. Ciò che è volutamente personale è l’interpretazione delle forme a volte accentuate in quegli stilemi che permettono di riconoscere ogni singola vettura. Ciò che ne risulta, è un effetto incredibilmente realistico, lontano mille miglia da certe realizzazioni cinesi fatte al 3D da gente senza alcuna cultura storica e soprattutto senza quella capacità di decodificare – direi quasi di decrittare – un oggetto, requisito che resta imprescindibile nell’elaborazione di un modello in scala.

La produzione della Jaguar XJ12L, secondo le cifre ufficiali, raggiunse i 1200 esemplari. Non si conosce esattamente l’anno di fine serie, ma esemplari nuovi continuarono a raggiungere i rivenditori specializzati almeno fino al 1978-79.

La bellezza del modello – offerto in blu, argento, bianco e nero – colpì la redazione del periodico Minis, che gli accordò uno degli “oscar” per l’anno 1976. Il riconoscimento contribuì senza dubbio a mantenere buoni rapporti con la testata specializzata in automodellismo, fino a pianificare una serie particolare di XJ12, che la rivista stessa avrebbe commercializzato.

All’inizio si pensò ad un colore non utilizzato nella versione standard ma si volle fare ancora di più. Si decise che la Jaguar di Minis sarebbe stata una… Daimler.

Nel giugno del 1960 il marchio era stato acquisito dalla Jaguar, che ne aveva fatto un brand parallelo, con le stesse piattaforme e motorizzazioni. All’uscita della Jaguar XJ II-serie, le corrispondenti Daimler col V12 vennero chiamate Sovereign Double Six, un nome ormai storico, il cui primo impiego risaliva agli anni ’30.

Il modello AMR-Minis fu dunque la Daimler Soverign Double Six col passo allungato. Rispetto alla Jaguar XJ12L, esteticamente non cambiava molto: la calandra era di disegno diverso e anche gli interni presentavano alcune caratteristiche specifiche. Della Double Six AMR vennero prodotti solo 300 esemplari, 150 in argento e 150 in bianco.

Questa edizione limitata e numerata andò presto esaurita. La maggior parte degli esemplari non ha mai rifatto capolino. Si tratta quindi di uno degli AMR meno noti e meno comuni, anche se oggi come oggi non sono tanti i collezionisti a voler pagare una cifra di un certo livello per un modello speciale di cinquant’anni fa. Poca offerta, poca domanda, e pezzi di questo tipo continuano a viaggiare sotto traccia magari per decenni.

Nelle didascalie di questo articolo trovate alcune informazioni supplementari che vi aiuteranno a identificare gli esemplari di XJ12L e di Double Six AMR.

Tre anni dopo Ruf ci pensò Solido a produrre un piccolo capolavoro in diecast, commercializzando nella serie 1000 una XJ II-serie meno scenografica degli AMR ma ugualmente ben riuscita, di cui forse un giorno parleremo.

Immagine di apertura: una delle due Daimler Double Six di Minis fotografata in un ambiente a lei parecchio consono!

  1. https://pitlaneitalia.com/2024/11/01/cosi-parlo-andre-marie-ruf/ ↩︎

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