Tramandare un po’ di bellezza

Una considerazione inattuale è, per dirla con Nietzsche, un’interpretazione in contrasto col pensiero dominante, qualcosa quindi che si stacca da un ordine che sembra naturale e largamente accettato. Oggi come oggi, in molti contesti, il pensiero dominante ha la tendenza a diventare pensiero unico, a scapito della creatività e dell’originalità dell’elaborazione. E’ per riferirmi a questa inclinazione, e non per altro, che ho scomodato Nietzsche.

L’altro giorno leggevo su un sito di un amico – che quindi non citerò per non contrariarlo inutilmente, anche perché lui è nella norma mentre sono io quello “fuori” – una serie di recensioni su certi modelli cinesi di cui PLIT si è occupato più volte. I cerchi da bicicletta di una Ferrari anni ’60 venivano definiti bellissimi. Mi sono subito venute in mente le ruote a raggi MRF che cambiarono un’epoca, o le AMR che ciascuno di noi era impaziente di ritrovare – come una presenza rassicurante – ogniqualvolta apriva una di quelle scatole con l’etichetta rosso-blu.

Il problema – o uno dei problemi – è che oggi la bellezza si confonde con la perfezione formale. Non ignoro che un Laudoracing, uno Spark o un qualsiasi altro resincast fatto in Cina o in Madagascar possa essere attraente per la sua pulizia o la sua tecnica di montaggio. Ma poi se un’Alfa Romeo GTA in 1:43 di Tecnomodel viene commercializzata con delle cornici vetro fotoincise che neanche Top Model nei suoi peggiori momenti avrebbe osato immaginare oppure se la Porsche 550 Spyder della stessa marca esce con cerchi enormi che potrebbero star bene su una Cayenne, la bellezza si allontana e la sproporzione genera goffaggine. Però quei modelli, gli entusiasti di oggi continuano a definirli “belli”.

Più che di senso dell’equilibrio c’è fame di virtuosismo. E’ evidente che un Laudoracing in 1:18 assomigli ormai moltissimo alla vettura originale, eppure io preferisco un Mamone. L’ho già scritto e per non sembrare ripetitivo, provo a dare una spiegazione un po’ alternativa che non piacerà quasi a nessuno, ma tant’è: PLIT non è nato per piacere alla massa.

Penso che la bellezza autentica (chiamiamola così perché io certo non credo nei dogmi) si nasconda nell’imperfezione, che è un qualcosa che oggi temiamo. Ovviamente applicare questi concetti nel settore del collezionismo automodellistico è molto più complicato che calarli in contesti più tradizionali, come quello dell’abbigliamento, della numismatica, dell’arte o dell’antiquariato più classico. Nel nostro settore la rincorsa a una perfezione innaturale, una perfezione di plastica, spesso viene scambiata per esigenza di accuratezza e in parte a volte è anche giusto. Ma tale spasmodica ricerca ha anestetizzato l’anima facendoci perdere di vista il gusto stesso dell’oggetto. Chi si riempie la casa di Spark tutti uguali ci dirà: “eh, d’accordo, ma io la 911 GT3 arrivata duecentesima alla 24 Ore di Spa del 2020 dove la trovo”? Quasi provocatoriamente, gli rispondo: “Non te l’ha ordinato il medico di averle tutte. Non la prendi e vivi meglio”. Perché ‘sta roba alla lunga trasmette ansia, altro concetto che sarebbe interessante sviluppare.

In un mondo neo-positivista in cui tutto sembra misurabile, quantificabile, anche la bellezza rischia di essere fagocitata in questo vortice di contabilizzazione numerica. Oggi pensiamo che la bellezza possa essere riproducibile a piacimento. Senza voler essere passatista, credo invece che la bellezza arrivi casualmente, aiutata dal tempo che scorre e filtrata attraverso gli infiniti rivoli della storia. L’estetica è diventata estetizzazione, con la chimera del tutto e subito – bellezza inclusa. Invece la bellezza va ricercata, talvolta va meritata. E se il marketing ha assorbito la bellezza tra gli elementi riproducibili e disponibili senza sforzo, la conseguenza è la cancellazione del concetto stesso di esclusività e di rarità, contraddizione patente dei nostri giorni. Del resto viviamo in un’epoca di cristallini controsensi. Dal mercato ci vengono proposti degli schemi, degli stili che assumiamo come riferimento di bellezza, cancellando la nostra individualità nel desiderio di adattamento.

I messaggi esterni ci parlando dell’equazione bellezza uguale perfezione formale. Beninteso non sto facendo l’elogio dell’abborraciato. Un modello d’epoca montato da schifo continuerà a fare schifo. Ma la bellezza è ammantata di quella imperfezione che le dà il tempo trascorso o la manualità dell’esecuzione. L’imprecisione sana non è sciatteria.

Oggi leggo i comunicati (ricchi di pittogrammi: stiamo tornando ai geroglifici?) di questo o quel produttore di resincast che sforna, sforna e che costringe collezionisti sempre più affamati a riempirsi la casa di ingombranti bioccoloni in 1:18. Io li guardo e non ci leggo nulla, come se vedessi qualcosa che non ha storia, che non ha vita. Sono perfetti ma sono anche muti. Sono vuoti. Anche in passato esistevano prodotti industriali ma è stata l’iper-produzione e la standardizzazione esasperata ad alterare il concetto di valore, a parte il fatto che – per rimanere al caso dei modelli – prima dell’avvento degli speciali, le riproduzioni in scala erano essenzialmente destinate ad un uso infantile: ciò che si è salvato, quindi, è frutto dell’alea, come dicevo prima.

La bellezza ovviamente non risiede solo nel passato. E’ un concetto che va coltivato, che va talvolta ricreato. Si è cultori di bellezza per vocazione ma anche per educazione. Circondarsi, nutrirsi di bellezza è un’operazione soggettiva ma a mio modo di vedere salvifica. E’ per molti versi inutile cercare di convincere gli altri a fare lo stesso, e se scrivo queste righe per una volta lo faccio esclusivamente per me, per chiarire alcuni aspetti e per esercizio – diciamo così – filosofico. Se si deve educare, lo si deve fare in maniera silenziosa, creando nei nostri spazi delle oasi di bellezza, con oggetti ritrovati, recuperati e valorizzati. Nei confronti delle nuove generazioni non sarà quindi necessario erigersi a detentori della verità assoluta ma ci si dovrà limitare a fare da ponte senza criticare in maniera sterile. Forse in questo modo certi valori potranno essere tramandati a chi verrà dopo di noi.

La bellezza autentica sta nell’imprevisto, nel dimenticato, nel recuperare suoni, immagini, suggestioni. E La lentezza – nemica della frenesia da acquisto on-line – aiuta a scoprire la bellezza.

2 pensieri riguardo “Tramandare un po’ di bellezza

  1. Articolo bellissimo, ineccepibile e ” definitivo”, che condivido dalla prima all’ ultima parola. Nei miei pochi, brevi interventi ho sostenuto le stesse idee e lo stesso concetto di bellezza applicati al piccolo, grande mondo del modellismo e non solo a quello. Non so quanti concorderanno con l’ articolo ma mi conforta sapere che c’ è chi pensi che la bellezza, se associata ad un modellino ( 1/43, of course ) sia qualcosa di vivo, vissuto, emozionante indipendentemente dalla fattura del modellino stesso. Complimenti.

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  2. Articolo pregevole! Apprezzo anche io gli Spark, ne ho alcune decine in collezione e ne vorrei di più perché mi permettono di riempire dei “buchi” storici e non riuscirei mai a farlo soltanto montandomi o facendomi montare dei kits. Però, come gli altri industriali moderni, trasmettono “soltanto” la fedeltà al vero (beh…a volte non completamente…) e non come si è arrivati a quella rappresentazione, privilegiando certi aspetti a scapito di altri. Non so se per la mia ahimè lunga militanza, ma penso che riuscirei a distinguere un Corgi Toys da uno Spot On o da un Mebetoys anche se non conoscessi a memoria pressoché tutta la loro produzione. Invece non distinguo un marchio moderno da un’ altro. Il modello assolutamente perfetto è indistinguibile chiunque lo faccia, le aziende del passato avevano una propria “filosofia” che ancora oggi li rende riconoscibili. Per me il 1990 e la nascita dei Minichamps cinesi sono lo spartiacque, almeno per i modelli industriali, ma con importanti ricadute anche nel mondo degli speciali.

    Consola il fatto che anche oggi c’ è chi cerca di fare qualcosa di diverso, vedi Officina 942.

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