In un recente articolo sulle Guides Solido1 abbiamo accennato ad un periodo critico nella storia del marchio, che più o meno coincide con gli anni compresi fra il 1973 e il passaggio a Majorette, nel 1981. Un decennio scarso, durante il quale i dipendenti della Solido se l’erano vista spesso brutta, fra minacce di chiusura, disorganizzazione e incertezza generale.
Visto che diversi lettori ci hanno chiesto di chiarire un po’ quel periodo critico, cerchiamo di accontentarli con un riassunto che per quanto semplificato speriamo possa essere utile a chi queste vicende non le conosce ancora.
Dal punto di vista logistico, nei primi anni ’70, col successo crescente dei suoi modelli, civili ma ovviamente anche militari, Solido si ritrovò a dover scegliere un sito di produzione in linea con i volumi produttivi. Jean de Vazeilles fece costruire una nuova fabbrica a Oulins, nel dipartimento dell’Eure-et-Loir, in Normandia. Non ci si era allontanati di molto dallo storico e sito di Ivry-la-Bataille, pittoresco ma ormai non più adatto alle esigenze di un’azienda moderna, seppur tutto sommato abbastanza piccola. Il centro tecnico e di progettazione restò comunque a Ivry, così come lo stock di stampi, un patrimonio di cinquant’anni di lavoro. Nel 1973 Solido sfornava circa 15.000 modelli al giorno, di cui oltre un terzo destinati ai mercati esteri. Quello fu un anno di cambiamenti, perché i tre figli di Ferdinand de Vazeilles cedettero le loro quote di società al gruppo Le jouet français, di cui facevano parte Jouef, Delacoste e Heller2. La famiglia de Vazeilles conservò comunque le funzioni dirigenziali di Solido, almeno per il momento.

I locali di Oulins iniziarono a produrre a partire dal giugno 1974. I primi anni di Solido all’interno del gruppo Le jouet français non si discostarono molto dal periodo precedente: molti progetti sviluppati nei primi anni ’70 continuarono il loro iter, assicurando così un’uscita continua e uniforme delle novità. Anche la qualità finale, da sempre un fiore all’occhiello di Solido, non ne risentì in alcun modo.
Nel 1977, Colette Bain-Thouverez, figlia minore di Ferdinand de Vazeilles, che si era occupata della distribuzione del marchio Solido fin dall’inizio degli anni ’50, lasciò la direzione commerciale. All’inizio del 1978, Jean de Vazeilles, che aveva passato circa 25 anni alla direzione dello sviluppo e della produzione, decise di ritirarsi, lasciando comunque altri progetti validissimi che uscirono sul mercato tra il 1978 e il 1979. Alla fine del 1978 lasciò anche Charlotte Wahl, la figlia maggiore di Jean, che dal 1954 occupava la presidenza del gruppo Solijouets, composto da Solido ma anche da altri marchi, anche stranieri, che nel tempo avevano ampiamente beneficiato della diffusione e dell’ottima reputazione di Solido, apparendo tra l’altro in alcuni cataloghi e nella comunicazione d’azienda.

Alle soglie degli anni ’80, Solido era davvero orfana della famiglia fondatrice, che indubbiamente aveva avuto l’intuizione di lasciare al momento giusto, visto l’andamento del mercato dell’automodello industriale in un contesto di grande evoluzione. Marchi come Corgi, Dinky o la nostra Mercury erano agonizzanti, quando non clinicamente morti. Altri, come Polistil o Norev, non se la passavano tanto meglio. Sembravano finiti i tempi dei diecast di qualità, concepiti anche un po’ per i collezionisti adulti, che si buttavano con sempre maggiore ingordigia sui kit e montati artigianali. Certo, per un Ruf fare duemila pezzi della Porsche Turbo o della Jaguar XJ12L poteva sembrare un’impresa titanica, ma non era nulla a confronto dei numeri di un produttore industriale. In quel periodo i piccoli marchi artigianali pionieri del metallo bianco e della resina vissero un’età dell’oro destinata a durare piuttosto a lungo. Per contro, nel settore del giocattolo godevano di ottima salute alcuni produttori come Majorette che avevano puntato tutto su prodotti in scala piccola e dal prezzo contenuto.
La situazione di Solido attirò l’attenzione di Emile Véron, che dopo aver lasciato la Norev, fondata insieme a due dei suoi fratelli (Joseph e Paul) si era messo in proprio, creando nel 1960 Rail-route Jouets, poi divenuta Majorette.
Véron, nato a Lione nel 1925, era uno che aveva fatto la gavetta, girando in auto la Francia dal dopoguerra alla costante ricerca di nuove idee, di fornitori al miglior prezzo, di distributori, di negozianti. Era un innovatore ma un innovatore coi piedi piantati per terra: una sorta di industriale dalla sana mentalità contadina, di educazione semplice e disposto a far sacrifici per raggiungere i propri obiettivi.
Majorette era la risposta francese a Matchbox, che nei primi anni ’60 era la leader incontrastata del mercato dei piccoli automodelli in zamac. Altri marchi europei non riuscivano a insidiare Matchbox né come rapporto qualità-prezzo né come capillarità di diffusione. “Matchbox” divenne addirittura sinonimo di automobilina in piccola scala, così come “Dinky” lo era già da oltre un decennio di modello più o meno in 1:43.
Eppure Majorette seppe prima far concorrenza a Matchbox, arrivando addirittura a spodestarla nel corso degli anni ’70. Installata come Norev nella zona urbana lionese, per almeno una ventina d’anni Majorette viaggiò con una progressione media del 35% del fatturato realizzato nel 1962, pari a 540.000 franchi. Tanto per fare qualche esempio, nel 1970 il fatturato era salito a 9.020.000 di franchi, cresciuti a 174.600 nel 1980. Negli anni successivi il fatturato arrivò a sfiorare i trecento milioni di franchi, con un notevole aumento dei benefici netti, segno di una gestione oculata.
Il modello sociale di Majorette era innovativo. Dalla fondazione al 1980, erano stati creati circa 850 posti di lavoro in fabbrica, con un altro mezzo migliaio di salariati casalinghi, più o meno stabili. Dopo tre mesi di contratto, ogni dipendente diveniva azionista dell’impresa e all’inizio degli anni ’80 circa il 28% del capitale sociale era in mano ai dipendenti, alcuni dei quali avevano realizzato ottimi benefici, conservando i loro titoli a lungo termine. Nel dicembre del 1977, la Majorette si quotò alla Borsa di Lione, con notevoli risultati: il valore delle azioni era aumentato di diciotto volte nel biennio 1983-84.
All’inizio degli anni ’80, quindi, Majorette era l’esatto contrario di Solido: un’azienda in salute, dinamica, piena di idee e di energie e guidata da un personaggio – Emile Véron – che pareva destinato ad un’ascesa senza limiti. Le vacche magre in realtà sarebbero arrivate, ma molto dopo e questa è un’altra storia.
Nel gennaio del 1981 i servizi commerciali, che avevano sede a Versailles, si trasferirono a Parigi dopo l’annuncio della fusione di Solijouets con Heller, che venne ufficializzata il 1° febbraio al Salone del giocattolo3.
Véron adocchiò Solido intorno al 1979-1980. I prodotti continuavano ad essere eccellenti ma ormai l’azienda fondata da de Vazeilles aveva il tempo contato. Nel maggio del 1981, con il parere favorevole degli impiegati di Majorette, Véron si presentò nei locali della fabbrica di Oulins, in compagnia di alcuni suoi collaboratori e di un rappresentante sindacale. Il personale di Solido – circa centodieci effettivi – l’attendeva nel refettorio. Véron era lì per presentare un programma di acquisto di Solido da parte di Majorette, i suoi obiettivi, i metodi, illustrando i principi che guidavano l’azienda, le politiche sociali e quelle di azionariato. Punto fondamentale dell’incontro, il destino commerciale di Solido in caso di acquisto. La stragrande maggioranza del personale di Oulins, seppure scettica o quantomeno diffidente, si dichiarò obtorto collo favorevole all’operazione.
Il 1° luglio 1981 Solido entrò nell’orbita di Majorette, con lo stesso Véron come presidente e un capitale sociale di 12 milioni di franchi4. Per conservare il marchio, nel febbraio del 1982 Véron creò una “Solido S.A.”5.


Dal punto di vista dei prodotti, in che situazione si trovava Solido al momento dell’entrata di Majorette? Dal punto di vista degli automodelli, resisteva una cospicua parte delle serie Gam, ma dal giugno del 1980 era stata introdotta una discutibile serie 1300, chiamata Cougar e destinata esclusivamente ai bambini. Commercializzati sotto blister, i modelli Cougar delle prime uscite derivavano dai vecchi serie 10 (1000), con le sole eccezioni di soggetti che originariamente avrebbero dovuto essere inseriti nella serie 1000: Citroën Visa, Fiat Ritmo e Talbot Tagora. Le decorazioni e i colori erano di fantasia, le finiture semplificate e su tutti i modelli venivano montate delle orrende ruote veloci monotipo dal disegno a quattro razze che non stava né in cielo né in terra. Morale della favola: i bambini lasciarono i blister dei Cougar appesi agli espositori dei grandi magazzini e i collezionisti si imbufalirono, vedendo vecchi modelli ancora validi brutalizzati in quel modo e nuovi stampi, peraltro ottimi, sacrificati sull’altare della riduzione dei costi.
Quella che Véron praticò a Solido fu una cura da cavallo. Del resto, probabilmente, non c’erano alternative credibili se si volevano davvero salvaguardare gli oltre cento posti di lavoro a Oulins. Tre quarti del catalogo furono subito soppressi: secondo Véron, già questa operazione avrebbe ridotto gran parte delle perdite. Contemporaneamente, venne chiusa la sede parigina con tutti i reparti amministrativi e commerciali, questi ultimi rimpiazzati dalla figura di un responsabile unico.
In questo senso, Véron applicò a Solido lo schema in uso presso Majorette: abbandono dei dettaglianti a favore dei grossisti, che avrebbero consentito un abbassamento dei prezzi al pubblico. In pratica i risultati di queste manovre portarono alla soppressione della perdita del 30% del giro d’affari, alla creazione di uno sconto di oltre il 20% sul prezzo per i grossisti e alla riduzione dei prezzi al pubblico degli automodelli da 65-70 a 39 franchi francesi. Obiettivo: 10-20% di profitti lordi. Fu particolarmente doloroso il passaggio dai circa 5000 dettaglianti ai 250-300 grossisti: tradizionalmente Solido aveva un modello di distribuzione molto capillare, che si fondava su un rapporto di grande fiducia e collaborazione fra azienda e negozianti. Era quasi un processo d’altri tempi, in linea con una certa mentalità “artigianale” (fra molte, molte virgolette, beninteso) ma che aveva permesso la nascita di tutta una serie di modelli in edizione limitata per quei pochi che riuscivano a capire dove e come procurarseli. Citiamo le tante serie speciali per negozi (BAM in primis) o per produttori artigianali (MRE, AMR…). Quella era una storia che con Majorette pareva essere arrivata al suo epilogo e tutto ciò mentre – lo ripetiamo – gli artigiani tiravano fuori montagne di transkit o carrozzerie in resina alternative per i vecchi serie 10, quando non si mettevano a clonare tranquillamente modelli interi per ricavare modelli più o meno “nuovi”, in resina ma anche in metallo bianco.
Dal punto di vista economico il personale di Solido poteva tirare un sospiro di sollievo. Se nessun aumento dei salari era previsto fino al gennaio 1982, dal gennaio 1983 anche i dipendenti di Oulins avrebbero potuto usufruire dei dividendi e ricevere azioni Majorette.
I bilanci di Solido passarono rapidamente dal rosso al verde. Al di là dalle ricadute economiche e sociali della strategia di Véron, il periodo dei primi anni ottanta viene ricordato dai collezionisti come uno dei più grigi nella storia del marchio. Il nuovo boss, antimilitarista convinto, tagliò dal catalogo tutti i mezzi che avevano a che vedere con la guerra (sola eccezione furono alcune edizioni limitate uscite nel 1984 in occasione del quarantennale del D-Day). Quanto agli automodelli, della vecchia produzione restarono solo gli Age d’Or, alcuni dei quali tiravano ancora, in Francia ma anche in Belgio, in Inghilterra o in Germania. Fu interrotta anche la produzione dei mezzi commerciali, che riprese comunque negli anni successivi.
La famigerata gamma Cougar venne quindi ad assumere un’importanza cruciale nella mentalità di un produttore che aveva sempre ragionato, e continuava a farlo, con le logiche della grande distribuzione a prezzi popolari. Dall’aprile del 1982 la serie 1300 (ossia Cougar) calò ulteriormente di prezzo, con un restyling nelle confezioni. I “soliti” collezionisti a ragione rimpiansero la serie 10 quando videro i nuovi modelli che via via si affiancavano alle riproposizioni dei vecchi: Renault Fuego, Peugeot 505, Ford Escort MkIII, Lancia 037, Audi Quattro, tutto materiale uscito tra il 1982 e il 1983, quasi sempre valido dal punto di vista della fedeltà di riproduzione, ma assassinato da decorazioni grottesche, ruote ridicole e finiture da emporio di Riccione6.
Si dovette aspettare il 1988 per il ritorno di una gamma di qualità, ossia la Serie 1500 (Hi-Fi e Today). Prodotti come la Renault 25 o la Peugeot 205 GTI vennero accettati con un certo sollievo dagli appassionati, che per anni si erano rassegnati ad aver cancellato Solido dai loro orizzonti.
Dell’assenza di Solido da un certo tipo di mercato avevano iniziato ad approfittare altri marchi come Vitesse, che proprio nel periodo di massima “infestazione” dei Cougar iniziò a produrre una serie di modelli che idealmente riprendeva lo spirito e la tradizione del marchio francese. E non è un caso se il numero di catalogo del primo Vitesse, la Lancia 037, fu il 100. Ironia della sorte, in quel periodo le quotazioni dei Solido serie 1007 iniziarono a impennarsi, trascinando con sé anche quelle di alcuni serie 10 e 1000.
Véron era certamente una persona ambiziosa, con i giusti agganci in vari settori. Negli anni che seguirono l’acquisto di Solido, l’ascesa di Majorette continuò decisa e Véron iniziò proiettarsi verso la politica. Le energie per cercare di aiutare la Francia alle prese con la congiuntura economica e sociale d’inizio anni ’80 non sembravano mancargli. Da capitano d’industria aveva le idee chiare, che via via sviluppava anche in programmi che trascendevano la gestione aziendale, pur prendendone spunto. Fu col movimento politico Réussir, le cui linee programmatiche cercavano appunto di riprendere certi modelli liberali sperimentati con successo in Majorette, che Véron cullò il sogno di presentarsi alle presidenziali del 1988. Ma il contesto in cui Majorette aveva prosperato per tanti anni andò degradandosi, soprattutto a causa delle difficoltà del giocattolo tradizionale nei confronti di prodotti più tecnologici come computer e videogame.
Dal declino si arrivò al fallimento nel novembre del 1992, dopo una spirale di perdite aggravatasi soprattutto a partire dal 1989. Majorette, e con essa Solido, fu ceduta nell’aprile del 1993 a Idéal Loisirs8.
Per Solido, gli anni ’90 furono tutt’altro che tranquilli. Di quel decennio parleremo in un prossimo articolo.
- https://pitlaneitalia.com/2025/08/21/storia-le-guides-solido/ ↩︎
- La famiglia de Vazeilles sperava di assicurare in questo modo un futuro stabile a Solido. Nella società erano presenti i capitali di una grande banca nazionalizzata francese, che già qualche anno prima aveva proposto un’operazione simile ad Emile Véron, presidente di Majorette, che aveva rifiutato. ↩︎
- Testimonianza di questa fusione è un modello promozionale, una Peugeot 504 berlina di Solido, che ha una storia particolare che un giorno racconteremo. ↩︎
- Le jouet français fu posta in liquidazione nel maggio del 1981. Léo Jahiel, fondatore di Heller, era stato a capo del gruppo; alla fine del 1980 l’amministrazione passò all’inglese Thomas Sebestyen, sempre in un contesto di grande caos e incompetenza commerciale. ↩︎
- Heller non venne acquisita da Majorette, passando insieme ad Humbrol sotto il controllo di Hobby Products Group, filiale del gruppo americano Borden. ↩︎
- A riprova della loro validità, alcuni di questi modelli vennero utilizzati, più o meno modificati, come base nelle serie speciali Solido-Record, Top43 e così via. ↩︎
- Con o senza scatola: all’epoca la presenza della confezione era qualcosa di abbastanza marginale, che non incideva troppo sulla quotazione degli “obsoleti” (a proposito, questa definizione era ormai corrente nei primi anni ’80. Ricordo che Paolo Tron scherzosamente li chiamava merluzzi!). ↩︎
- Véron, uscito non senza difficoltà dalla chiusura della Majorette, proseguì la propria attività di uomo d’affari. Morì il 20 novembre del 2013. ↩︎
