Testo e rendering di Marco Giachi – www.smartaerodynamics.it. Foto in apertura di David Tarallo
Abbiamo già parlato della 250 GTO, una vettura affascinante e prestigiosa, con una linea unica che ne fa ancora una regina in qualsiasi concorso di eleganza per vetture storiche. Risultato sublime del lavoro di ingegneri del calibro di Giotto Bizzarrini e Mauro Forghieri, ma anche di carrozzieri sopraffini come Sergio Scaglietti.
Eppure, nelle ultime versioni del 1964 nonostante la sua linea unica e irripetibile, la carrozzeria fu “violentata” nella parte posteriore introducendo un volume vuoto e una vistosa superficie verticale dietro l’abitacolo.
Perché?
A cosa avranno pensato i tecnici introducendo questo scalino dietro l’abitacolo?
Siamo ai primi anni ’60 e tutti i progettisti stanno fronteggiando la grande rivoluzione del motore posteriore che cambia completamente la distribuzione dei volumi della carrozzeria. Per gestire queste nuove forme la Ferrari è assidua frequentatrice delle gallerie del vento e si rivolge, fra le altre, al Politecnico di Torino per prove con modelli in scala ridotta che, anche se molto semplici rispetto a quelli supertecnologici di oggi, le informazioni le danno, a maggior ragione se interpretate da esperti quali sono i professori del Politecnico.
Le prove sono relative al modello in scala 1:5 della 250 LM (anche lei con un lunotto posteriore interrotto bruscamente) e confermano l’intuito: con lo scalino il Cx passa dal valore di 0.343 a quello di 0.365 con un aumento quindi del 6.4%.
Allora perché la carrozzeria con lo scalino si è affermata fino ad essere introdotta anche nella 250 GTO per il 1964? Semplice, perché comincia a farsi largo nella testa dei progettisti il concetto di “downforce”, che negli anni ’60 si chiama ancora con il più nostrano termine “deportanza” ma è la stessa cosa, ovvero una forza verso il basso generata dall’aria che si aggiunge al peso e che aumenta la tenuta degli pneumatici e si pensa che rompere la continuità del tetto riduca la forza di portanza tipo profilo alare che va nella direzione opposta della deportanza.
Abbiamo provato a ripercorrere in virtuale quel periodo immedesimandoci nei tecnici di allora e abbiamo portato la nostra 250 GTO virtuale nella Galleria del Vento virtuale nelle due versioni: tipo “originale” e tipo “modificata tipo 64”.
La resistenza aumenta nella versione usata nel 1964 confermando le prove fatte al Politecnico (+6.4% al Politecnico e +5% nella simulazione) ma, al contrario di quello che mi sarei aspettato la forza di portanza verso l’alto non si riduce in modo significativo, anzi aumenta anche lei.
L’effetto della riduzione brusca del lunotto posteriore non è scontato e questo spiega perché la soluzione con il lunotto posteriore chiuso degradante dolcemente verso la coda è rimasta ben presente, spesso alternandosi nelle diverse versioni dello stesso modello con la versione scalinata (330 P4 ad esempio) a seconda del momento e, perché no, dei gusti personali del progettista.
La GTO nelle due versioni nella galleria del vento virtuale:

Sotto, il modello della 250 LM nella galleria del vento del Politecnico di Torino nelle due versioni: con e senza carenatura della zona posteriore. La versione con la carenatura che scende gradualmente verso la coda appare vantaggiosa, ma si parla solo di resistenza all’avanzamento nell’aria. Il carico verticale non era misurato, ma ricavato dalle misure di pressione sulla superficie e i professori del Politecnico stimarono, per la versione con lo scalino, una forza nella direzione giusta, cioè verso il basso, di 46 kg a 280 km/h.

I risultati trovati per la GTO non possono considerarsi validi in generale. L’effetto del lunotto posteriore interrotto bruscamente dipende (almeno) dalla lunghezza della coda (L), dalla lunghezza della scia (L’) e dall’angolo con cui i filetti fluidi lasciano il tetto nel punto in cui il tetto si interrompe bruscamente (α)

