A Valencia per le Finali Mondiali Ferrari 2010

La notizia che le Finali Mondiali Ferrari 2026 si svolgeranno – dopo una lunga pausa – di nuovo in Spagna mi ha fatto ripercorrere le tante trasferte laggiù. Viaggi mai banali, dai tempi della Le Mans Series di cui conservo tanti ricordi – alcuni davvero “da film” – al Montmeló. Ed è proprio a Barcellona che sono programmate le Finali 2026, ma in un periodo ormai lontano la manifestazione di fine stagione del Cavallino fu organizzata al Ricardo Tormo di Valencia. Sono passati quindici anni da una di quelle tre edizioni (2009, 2010, 2012), certamente suggerite al marketing dalla presenza di Fernando Alonso nella Scuderia.

Il Ricardo Tormo andrà anche bene per le moto – non lo discuto – ma per le auto è una vera schifezza, Binetto o Lombardore erano quasi meglio. In compenso il viaggio, in auto da Firenze, fu appassionante, con la sensazione di andare all’altro capo del mondo. Attraversare la Spagna – in lungo, in largo o in diagonale – è un’esperienza molto profonda che consiglio a tutti. Quella volta, quindi, niente Montmeló. Il tempo autunnale, abbastanza cupo, non aiutava troppo l’umore. Del Montmeló avevo un ricordo primaverile, gioioso, quasi selvatico. Qui invece Valencia nella sua modernità – neanche fredda ma un po’ distaccata sì – ti metteva addosso una sensazione di leggera e indefinita inquietudine.

I clamori delle Finali Mondiali dell’era schumacheriana al Mugello erano già un lontano ricordo. Il 2010 ti urlava addosso che il 2000, il 2001, il 2002 o il 2003 erano acqua passata, e non lo dico da tifoso Ferrari che non sono mai stato, ma da persona che invecchia e già allora le avvisaglie di un certo declino dell’anima si facevano sentire.

Lasciai presto perdere le gare del weekend, assai poco interessanti a dir la verità, per concentrarmi sul contorno e sui personaggi. Nel paddock erano parcheggiate diverse vetture di un certo rilievo e visto che proprio in quel periodo mi rigiravo tra le mani un kit X-AMR della 348 TS da far montare ad Alberca, ne trovai una nera in una combinazione di colori (nero metallizzato con interi in cuoio chiaro) che mi parve originale. Su quel modello, Alberca autocostruì il tettuccio amovibile, che venne parecchio bene, a dire la verità. Il modello, poi ha fatto chissà quanti giri e sappi tu in casa di quale collezionista sarà finito. Io lo vendetti verso il 2013 a Hervé Crozier di Modelart111 (vedete qui sotto la foto dell’auto a Valencia e del modello).

Un pomeriggio arrivai dal circuito a Cheste, affamato come un lupo. Saranno state le una e di mangiare non se ne parlava neanche. Inutile ricordare le abitudini dei pasti in Spagna. Entrai in un ristorante, c’era un corridoio lungo lungo, illuminato bene, che sbucava su un’altra strada. Chiesi in inglese se fosse possibile mangiare qualcosa. “In Spagna non si parla inglese, parliamo spagnolo”, mi dissero. Giusto. Scartata per varie ragioni l’ipotesi di ricorrere al mio scarsissimo catalano, provai (un po’ per celia, direbbe qualcuno, e un po’ per sfida) col latino.

Aliquid edere vellem. L’essenziale della frase lo afferrarono, invitandomi a ripresentarmi dopo non meno di tre quarti d’ora. Ne valse la pena. Credo di non aver mai mangiato gamberi e fritture varie così buone.

Erano arrivati Alonso e Felipe Massa, in circuito potevi incrociare anche Marc Gené. I piloti effettivi partecipavano ancora alle Finali Mondiali. Il calendario della Formula 1 si era già allungato a sproposito ma nulla in confronto a oggi che ti ritrovi l’ultimo GP trasmesso durante il veglione di San Silvestro.

Di quel weekend a Valencia restano tante foto, qui ne trovate qualcuna. Al ritorno, partito la domenica pomeriggio, mi fermai a dormire a Perpignan dove, dopo una buona cena al Courtepaille dall’altra parte della piazzetta, guardai alla tv Bienvenue chez le Ch’tis, il modello – per chi non lo sapesse – di Benvenuti al Sud. E’ bello viaggiare, anche durante un autunno triste. Ma il Montmeló mi era mancato.

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