Com’era facile aspettarsi, l’annuncio dell’ACO sul cambio di sponsor del celebre ponte Dunlop ha scatenato una pioggia di polemiche sui social. Si è gridato allo scandalo, alla scarsa considerazione delle tradizioni, al sacrilegio.
Il Ponte Dunlop rappresenta da sempre un punto di riferimento all’interno del circuito di Le Mans, non solo per il pubblico ma anche per piloti, per i fotografi, per i commissari di percorso per i giornalisti e in genere per tutti gli addetti ai lavori. “Ci vediamo al Dunlop”: quante volte l’abbiamo detto o ce lo siamo sentito dire?
Ora il Ponte Dunlop diventa Goodyear. Il produttore americano ha sempre avuto un ruolo importante nel supporto della 24 Ore di Le Mans, un sostegno che in questi ultimi anni si è accresciuto in maniera considerevole. Il Dunlop resterà ma vestirà i colori Goodyear.

E’ vero che il tifoso o l’appassionato di Le Mans è tradizionalista, molto tradizionalista. Era quindi prevedibile che le reazioni della massa non sarebbero state tenere. Ci si sente defraudati, ingannati, quasi traditi. Eppure, queste poche righe, probabilmente inutili, nascono da qualche semplice riflessione che volevo condividere con voi lettori di PLIT. E’ troppo facile motivare tali cambiamenti osservando che tutto questo rientra nell’ordine delle cose: non stiamo parlando di tradizioni secolari. Certo, nella storia di uno sport moderno, un secolo è tanto, e le tante reazioni di pancia testimoniano l’affezione che decine di migliaia di appassionati hanno sviluppato e coltivato per una vita intera. Ma il ponte resterà in piedi e c’è da scommetterci che nella conversazione quotidiana continueremo per un bel po’ a chiamarlo Dunlop. Visto da fuori, non è che una maxi passerella un po’ kitsch e anche troppo vistosa. Per chi ama Le Mans è una specie di totem.


Capisco tutto. Forse paradossalmente noi giornalisti finiamo per essere più freddi. Sicuramente non meno appassionati ma forse un po’ più distaccati. Magari è una questione di informazione o di memoria storia in senso meno totalizzante. In fondo stiamo parlando di uno sponsor e gli sponsor – si sa – vanno e vengono. A Le Mans, nel tempo sono stati associati altri marchi che si sono legati alla gara: pensiamo a Rolex. Se ad esempio Rolex se ne andasse, a noi giornalisti mancherebbe senz’altro la mitica colazione della domenica mattina dove ti regalano portachiavi che puoi rivendere su eBay a 200 euro, cappellino, cataloghi e l’annuario dell’edizione precedente (a scelta in inglese o in francese). E si sa che i giornalisti vanno dove si magna o più in generale dove si acchiappa. Battute a parte, per una gara come Le Mans questo avvicendamento di sponsor è tutto sommato vitale: altre manifestazioni sono morte dopo aver perso i propri sostenitori, altre ancora non sono neanche arrivate al periodo in cui senza sponsor non vai proprio da nessuna parte. Ancora oggi, tanto per fare un esempio, gli amanti della Targa Florio continuano a tediarci con le loro solite storielle che sono venute a noia al muro, dopo che la gara non si disputa più da mezzo secolo. Ora, non voglio ragionare con la dialettica imperante e fondamentalmente disonesta del tipo “o condizionatori o guerra”, oppure “o vaccino o morte” perché quelle – per l’appunto – sono versioni falsamente dialettiche e ideologizzate del caro vecchio tertium non datur. Però in certi casi è utile ricordare che è proprio grazie ad un’evoluzione che eventi tanto amati dalla massa hanno potuto sopravvivere. In parole povere, o si trovano fondi freschi o si chiude baracca. Ovviamente, con la scusa del progresso (e di sua sorella sicurezza) si possono giustificare le peggiori aberrazioni, lo so fin troppo bene ma lo spirito di Le Mans è tutt’altro che morto. Se la Dunlop si è rotta le scatole, si è rotta le scatole. Non è una onlus.


Teniamoci quindi questo ponte che nel giugno del 2026 si presenterà con una nuova livrea, e tutto sommato mica ci sarà la pubblicità della Grappa Bocchino. Io personalmente la presi molto peggio quando piazzarono le chicane sull’Hunaudières. Quella sì che fu la fine di un’epoca, e stiamo parlando del 1990. Se più o meno abbiamo finito per tollerare le chicane, tollereremo anche un ponte che da gialloblù diventa biancazzurro.
Abbiamo la 24 Ore di Le Mans che per ora sopravvive, nonostante lo sport motoristico sia sempre meno apprezzato da certe forze dominanti, almeno a livello europeo. Preoccupiamoci dei veri pericoli.
