Nel nostro settore modellistico, contrariamente a quanto accade in altre branche, sono rari i collezionisti che ti sbattono in faccia cifre da capogiro pagate per i loro acquisti. Capita solo a qualche raro parvenu che, nell’ambiente, com’è arrivato va via nel giro di un paio d’anni. Ma quelle sono, appunto eccezioni, legate a personaggi che passano dai modelli agli orologi, dai mobili antichi alle edizioni aldine, senza sviluppare un’autentica passione per ciò che collezionano. Non lo fanno neanche per specularci sopra: semplicemente sono dei volubili. Forse per classismo, forse anche per snobismo, sta di fatto che ho sempre pensato che una collezione davvero importante la si possa mettere insieme solo con notevoli investimenti. Non sto parlando di kit montati, che se sei bravo puoi farteli da solo con notevole risparmio di risorse. Sto parlando di modelli obsoleti o in latta. Ho incontrato a volte collezionisti pedanti e un po’ appiccicosi che con la bava alla bocca ti dicono: “non immagineresti mai, la DS Presidenziale della Dinky m’è costata un tozzo di pane, la Carrera RSR di AMR me l’hanno regalata, il set Dinky anteguerra l’ho trovato in una cantina di un amico, il Jouet Citroën lo aveva comprato mio nonno a 15 anni e non ci ha mai giocato”. Il sospetto monta spontaneo, per parafrasare qualcuno. Poi vai a vedere e scopri che: 1) è tutta robaccia rovinata, arrugginita, marcita; oppure 2) il collezionista in questione dovrebbe con la massima urgenza mettersi a giocare al lotto e a quel punto meriterebbe un’intervista sul Corriere della Sera. Non ho mai creduto alle collezioni fatte con le classiche due lire. O meglio: ci credo, ma restano collezioni da due lire. Le più belle raccolte, e ne ho viste tante in vita mia, arrivano da anni e anni di sacrifici, a volte di follie, per assicurarsi i pezzi più rari.


Poi il fatto di poterle rivendere per riprenderci l’investimento è un’altra cosa. In teoria non si colleziona per questo, e anzi proprio per tale motivo è buona norma pensare che tutto ciò che si acquisisce sia destinato a rimanere con noi un bel po’. Ho visto collezioni vastissime, ma piene di paccottiglia da edicola. Ho anche visto collezioni organizzate con sapienza, piene di pezzi rari, passati di mano per cifre alte e che ben difficilmente troverete nella soffitta dello zio buonanima. Forse nei prossimi anni le quotazioni di certi modelli caleranno, ma guardate cosa accade ai migliori Dinky e Corgi da almeno quarant’anni a questa parte. Avete mai visto qualcuno svendere le varianti più rare al rigattiere per dieci euro a pezzo? Magari può accadere una volta su cento che lo squalo di turno sia abbastanza lesto da intortare la vedova di turno, ma sono eventi così pazzeschi da diventare leggende metropolitane. L’esperienza mi ha insegnato che ciò che è davvero straordinario non lo trovi dietro l’angolo e soprattutto non ti costa poco. Mai. C’è anche chi trae piacere dal non avere mai oltrepassato certi limiti ma come il collezionista fuori controllo è destinato nella sua follia all’autodistruzione, così il tirchio a oltranza, quello che fa del “l’ho pagato una nocciolina” una specie di fiore all’occhiello, finirà per richiudersi in se stesso prima nell’autocompiacimento poi, col passare del tempo, nella frustrazione se non nell’acredine dell’invidia.
Il ragionamento è riferito al solo suolo italico o si estende all’intero globo terracqueo?
Perché ho avuto la fortuna di conoscere collezionisti esteri (di auto… 1:1) che non fanno i timidi quando c’è da parlare di cifre (grosse cifre) , quasi fosse normale, e per loro sicuramente lo è, ma senza nessuna vanteria.
È il semplice raggiungimento di un obiettivo, prestigioso e, per questo, caro…
Ma forse qui in Italia abbiamo paura delle nostre mogli/compagne, quindi dobbiamo sempre giustificare tutto come “l’affare della vita”, altrimenti poi ci tocca acquistare una borsa Louis Vitton per farci perdonare…
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Sì, Alfonso, il ragionamento riguarda per lo più l’Italia. Ci si vergogna o si ha paura di dire di aver pagato una cifra congrua per un oggetto di grande valore. All’estero è diverso, è vero. In linea di massima, oltretutto, credo che i collezionisti italiani, anche i più abbienti, abbiano il braccino più corto e cerchino costantemente l’affare. Le loro collezioni, e non parlo solo di modelli, sono spesso composte da oggetti in cui casualmente si sono imbattuti (ossia il “buon affare”) e non da pezzi ostinatamente ricercati per anni e poi pagati quanto sarebbe normale pagarli.
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Verià nascoste. Ottimo pezzo, è sempre un piacere leggervi.
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Per quanto mi riguarda, faccio caso a me: la mia collezione è composta da alcuni pezzi che ho effettivamente cercato per anni e anni, e mi ci sono abbastanza svenato (vedasi KTM 250 della Guiloy, una robaccia sovra-stampata da un Protar semplificato ma parecchio parecchio rara, o la Ferrari B3 di Lauda by Polistil, o la Jaguar D Type Solido numero 100, etante e tante altre), ma diciamo che, ora, non cercando più nulla di particolare in modo alacre e febbrile, godo delle (in verità molte) buone occasioni che talvolta mi si parano davanti.
Almeno nei campi di mia predilezione, vedasi moto da fuoristrada, Rally ed Endurance.
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