Testo e foto di Riccardo Fontana
Da sempre, la comparsa sul mercato (e la conseguente repentina dispersione) di importanti collezioni è un po’ il sale con cui tutti noi, prima o poi, abbiamo finito per soddisfare i nostri famelici appetiti collezionistici.
Ciò è, per l’appunto, un dato di fatto abbastanza immutabile, nel senso che da quando è nato il concetto stesso della collezione di automodelli in scala ci sono stati il commerciante o la casa d’aste di turno che hanno ritirato, non si sa mai bene dove e non si sa mai bene da chi, la collezione di giocattoli in latta piuttosto che di Dinky o di Mercury, e senza nessun tipo di problema l’hanno rivenduta al dettaglio a frotte di appassionati “sbavanti”, rapidamente e con grande cresta sull’investimento iniziale, che solitamente è tanto più contenuto quanto più è estesa la collezione che si ritira.

Questo primo scampolo di riflessione porta già in superficie un primo spunto assai interessante: in primis furono le collezioni di giocattoli in latta (chi non ricorda le monumentali Renault marchiate CIJ o i famosissimi e da sempre iper-inflazionati Jouets Citroën? E questo solo per tacere di istituzioni ancora più sacre come l’Alfa P2 Grand Prix, datata 1925, sempre di casa CIJ, che è un must da quando tanti di quelli “vecchi” del settore non erano ancora stati messi in cantiere dai rispettivi genitori), poi venne l’ora dei Tootsie e dei Dinky, prima quelli pre-war e poi, via via, tutti gli altri fino alla Serie 1400, fino ad arrivare alle collezioni di obsoleti più recenti, dai Mercury ai Politoys passando per gli Ediltoys, che uscivano in negozio quando alcuni dei primi Dinky erano già famigerati pezzi da collezione ricercatissimi e passati di mano per piccoli capitali.





Ciò ci dice senza ombra di dubbio che le collezioni che per vie più o meno traverse arrivano ad esporsi al pubblico appetito sono sempre più “giovani”, e l’ennesima riprova di tutto ciò è il recente fiorire di una grandissima quantità di speciali montati (anzi, molto ben montati) riconducibili al periodo tra la metà degli anni ’70 e l’inizio dei ’90.
I più assidui frequentatori dei negozi che ancora sopravvivono, soprattutto nel milanese, lo avranno senza dubbio potuto toccare con mano: dopo decenni in cui i montati “buoni” per non dire “ottimi” c’erano sì, ma erano merce parecchio rara, solitamente riservata alle maggiori mostre scambio del settore e passata di mano in via quasi confidenziale, oggi capita alquanto spesso di imbattersi in vere e proprie cataste di Starter, Provence Moulage, Graphyland, MRE e perfino AMR, splendidamente montati e proposti a prezzi “stracciati”.




Perché questo? Molto semplicemente, e se posso permettermi anche assai brutalmente, perché il tempo passa, e i collezionisti prima invecchiano, e poi (i casi della vita…) capita addirittura che si ammalino e che muoiano: semplicemente, prima sono morti i collezionisti di giocattoli in latta, poi quelli dei primi Dinky, e adesso sta arrivando l’ora di quelli che erano trent’anni a metà anni settanta, che comunque ridi e scherza, non sembrerà, ma veleggiano anche loro per le ottanta primavere.




Trovo che tutto ciò sia tristissimo, ma questa è una constatazione, e spiega benissimo ciò che succede in questo periodo.
Questo porta inevitabilmente alla seconda riflessione, ancora più pesante e pericolosa per il morale della prima: cosa succede alle nostre collezioni quando ce ne andiamo?
Ancora più brutalmente rispetto alla prima argomentazione: a meno di non esserci sposati ad un angelo con la nostra stessa passione, e/o ad aver cresciuto dei figli (ammesso di averne avuti) animati dal nostro stesso fuoco, le nostre amate collezioni, veri e propri pezzi della nostra vita costruiti con tanto amore e tanto dispiego di mezzi finanziari, sono destinate ad essere svendute per due lire, letteralmente due lire, a qualche negoziante che le rivenderà per quattro lire.
E questo nel migliore dei casi, perché nel peggiore… Avete presente quei volantini nei mercatini che recitano “svuotacantine-prezzi modici”? Ecco, ma francamente non mi va di parlarne perché tremo alla sola idea.



Questo è il lato triste e decadente della faccenda, quello più “allegro” è relativo al fatto che, per un po’, potremmo rischiare di imbatterci in bei montati di pregio a prezzi da edicolosi cinesi, e onestamente è tutta manna dal cielo.

È un po’ come trovarsi di fronte ad una collezione di Spark usati, solo che 1) non li puoi ordinare ma hai il piacere della scoperta, che è molto meglio di ordinare un modello a mezzanotte col pigiamone di flanella, 2) sono modelli con mille volte il fascino di uno Spark montato da un cinese senza faccia, 3) ci si appropria di un pezzo di vita di un nostro “fratello” ridandogli dignità, e 4) si gode del contatto umano, perché solitamente si trovano in negozi fisici.
Chissà, magari, ma direi sicuramente, un giorno tra quarant’anni parleremo delle collezioni di Spark o di Minichamps, ma il tempo è ancora ben lontano.
Una persona che è stata educata secondo i giusti valori, sa apprezzare e custodire nel migliore dei modi quanto gli è stato lasciato.
Siano essi immobili, collezioni di modelli o di motociclette…
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Penso, Alfonso, che tu ti riferisca a tuo figlio e conoscendo il padre sono sicuro che sia venuto su con i valori di cui parli. Però è un caso singolo. Poi, il molti casi, figli mogli eccetera sono completamente all’oscuro della portata delle collezioni accumulate negli anni da noi appassionati.
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Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale, giusto?
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Ti ringrazio David
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