Africa Eco Race e le sue profonde radici dakariane

Testo di Riccardo Fontana – foto delle ricognizioni Eco Race media

Nella giornata di ieri, alla presenza del Principe Alberto di Monaco, è partita la dodicesima edizione dell'Africa Eco Race, sottotitolata Monaco-Dakar, a voler un po' sottolineare quali siano le vere implicazioni e le vere radici di questa maratona africana.
Particolarmente nutrita la pattuglia tricolore, che vede in Alessandro Botturi e Maurizio Gerini le punte di diamante, decisamente in grado di puntare alla vittoria assoluta nella categoria moto.
Botturi in particolare, è un mezzo mito: ultra-quarantenne grosso e tarchiato, ex-rugbista, già top driver nel Mondiale Enduro a metà anni 2000, ha avuto una seconda parte di carriera nei Rally Raid di assoluto rilievo, fino a vincere le ultime due edizioni dell'Africa Eco Race disputate prima dello stop di due anni imposto (è proprio il caso di dirlo) dalla "pandemia".
Quest'anno è parte di un progetto diverso, meno convenzionale dati i tempi ma certamente in grado di fare tremare i polsi ai veri dakariani, quelli che seguivano i resoconti a mezzanotte su Italia 1 prima e su Sportitalia poi: lui e il suo compagno di squadra in Yamaha Factory Pol Tarres (altra manetta spaventosa proveniente da una famiglia di Dei del Trial) ri-porteranno al debutto una bicilindrica sulle strade africane, dando battaglia alle agili monocilindriche 450, e cosa succederà è tutto da vedere.
Ma facciamo un passo indietro: come siamo arrivati ad una gara che si chiama Africa Eco Race che arriva a Dakar e ad una gara che si chiama Dakar che si è corsa per più di una decade in Sudamerica e oggi in Arabia Saudita?
Ci siamo arrivati con un lungo percorso di disagio, marketing, e minacce terroristiche, che se vogliamo sono un po' tre termini per descrivere la stessa cosa: la Dakar, quella vera e africana, un grande classico ormai paragonabile solo a poche altre manifestazioni sportive come Indy, Le Mans o il Rally di Montecarlo, è andata avanti come un treno dal 31 dicembre 1978 fino al gennaio 2008, quando a causa di minacce terroristiche da parte di Al Qëda indirizzate alla carovana, ASO decise di dare contrordine e di annullare l'edizione in partenza, lasciando tutti a bocca asciutta.
Si pensò seriamente di smettere di organizzare la gara, ma visto il business non indifferente che generava si virò praticamente subito verso l'idea di spostarla verso lidi più "sicuri", e fu così che nel 2009 nacque la Dakar sudamericana.
Dakar, per l'appunto, perché si ritenne di mantenere il nome, legalmente detenuto dall'organizzazione: del resto, qualcuno pensa davvero che KTM, Mitsubishi e Volkswagen avrebbero investito milioni di euro per partecipare alla Santiago-La Paz-Tierra del Fuego? Ovviamente no, ma lo avrebbero fatto, come lo hanno fatto senza battere ciglio, per partecipare alla Dakar.
Le persone, già tredici anni orsono, erano abbastanza abituati ad ingollare di tutto senza farsi domande.
I percorsi sono cambiati, la Dakar ha iniziato a frequentare percorsi delimitati dal pubblico che seguiva i passaggi, una specie di gigantesco prologo di Cergy-Pontoise, e a lanciarsi giù da gigantesche dune di sabbia che, neanche troppo velatamente, facevano intravvedere in lontananza le maggiori autostrade sudamericane trafficate da milioni di impiegati e di camionisti.
Se a questo aggiungiamo regolamenti, almeno per le moto, allucinanti (l'obbligo di utilizzare moto monocilindriche da 450, di fatto derivate d cross, cioè l'antitesi esatta di ciò che ha sempre fatto la Dakar, con l'intento di limitare le velocità ma con l'unico risultato di rendere ancora più pericolose ed anacronistiche delle gare già segnate da troppi se e troppi ma) e le difficoltà sempre maggiori sollevate dai governi del nuovo mondo per permettere il passaggio della carovana anno dopo anno, capiamo come mai la Dakar, due anni orsono, sia ri-emigrata verso una nuova meta, l'Arabia Saudita.
Altro anacronismo senza né capo né coda, e non sono l'unico a pensarlo, come non ero l'unico a pensarlo quando avevo diciassette anni e vedevo la Dakar migrare in Sudamerica, perché come me la pensavano tre signori qualunque che corrispondevano ai nomi di Hubert Auriol, René Metge, e Jean-Louis Schlesser.
Tre veri, che per indole non potevano accettare l'idea di una maratona africana corsa in un altro continente, e che già in quel 2008, iniziarono a pensare di rifare la vera Dakar, pur senza poterne usare il nome, e fu così che nel 2009 nacque la prima edizione dell'allora Africa Race ("Eco" sarebbe stato aggiunto solo in un secondo tempo): pochissimi equipaggi al via (tra cui però Jean-Louis Schlesser, all'epoca ancora pilota, col suo buggy Ford) ma tanta sostanza, e sicuramente un bel ritorno alle origini, la rivincita della tenda nel deserto mentre gli altri dormivano ormai tutte le notti in hotel: ho poche certezze, ma Thierry Sabine avrebbe approvato, di questo sono abbastanza sicuro.
L'evento è cresciuto negli anni, nonostante la concomitanza con la Dakar sudamericana che monopolizzava l'interesse delle case ufficiali, fino ad arrivare all'ingresso delle prime case ufficiali, come la Yamaha, vincitrice delle ultime due edizioni con Alessandro Botturi, come dicevamo.
La Yamaha quest'anno è andata oltre: non solo ha organizzato una spedizione ufficiale in Africa, ma ha anche ritirato il team iscritto alla "Dakar", che fino ad oggi correva in parallelo a quello dell'Eco Race.
Non bastando questo, niente più 450 monocilindrico derivato dal motocross, ma una nuovissima bicilindrica di 700cc, l'XTZ 700 Ténéré World Raid, che è versione speciale e corsaiola (e regolarmente acquistabile da chiunque, niente prototipi) della moto più venduta in Europa negli ultimi tre anni.
E questo, per ricollegarci all'inizio, è un altro bellissimo trait d'union con gli anni ruggenti, quando Stephane Peterhansel era un motociclista e vinceva con la sua Yamaha bicilindrica blu battagliando con Edi Orioli con la Cagiva sponsorizzata Lucky Strike.
Non mancheranno partecipanti con mezzi "stravaganti", d'epoca ad esempio, come Alessandro Madonna, al via con una Yamaha del 1988, (altro parallelo con gli anni ottanta: chi non ricorda le Renault NN1 e le Traction Avant in partenza da Place de la Concorde?).
Saranno quindici giorni interessanti, che daranno anche la possibilità a molti appassionati di partecipare con la formula "Raid", ossia fuori classifica e senza i pezzi di percorso peggiori, che è un'ottima idea per non creare ansie inutili e non lasciare cataste di morti per impreparazione lungo il percorso: le corse le fanno i professionisti o comunque quelli buoni, gli altri possono sfidare sé stessi, ma senza esagerazione, e questo mi sembra decisamente un buon modo di affrontare il tema della sicurezza, e di questo bisogna fare un grosso plauso a Jean-Louis Schlesser, che questa formula l'ha pensata.
Non ho dubbi che arriveranno anche i costruttori di auto e di camion, qualora la Yamaha dovesse avere successo con la sua iniziativa, e forse sarebbe un piccolo tassello di "armonia del mondo" del mondo che torna al suo posto.
E ce ne sarebbe tanto bisogno...

2 pensieri riguardo “Africa Eco Race e le sue profonde radici dakariane

  1. Finalmente questa bellissima gara sta prendendo piede, speriamo si torni agli antichi fasti e che la VERA Dakar torni a dominare incontrastata.
    Quest’anno con il ritorno delle Bicilindriche nel ruolo di protagoniste è promettente per il futuro!

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  2. …E che Bicilindriche, aggiungerei! (Si, sono spaventosamente di parte, ho ritirato il mio World Raid blu factory ieri mattina dalla concessionaria, e non pago di ciò ho pure un Superténéré 750 blu del ’90, che era di mio padre).
    Ci sono delle cose che per… “Quagliaggio celeste”, mettiamola così, devono svolgersi secondo un certo copione, e la Dakar che parte in Europa e arriva a Dakar è perfettamente nell’ordine delle cose.
    Come anche, aggiungerei, il piglio molto più avventuroso ed old style di tutta la manifestazione: a me, personalmente, vedere “quelli la” in Arabia che whippano sulle dune neanche fossero all’ultima di Supercross USA da in primis una forte angoscia, e infine rende il senso di completa inutilità di un rally raid corso con quella forma

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