di Riccardo Fontana
È da un po’ che ci rifletto: ovunque ci si giri, soprattutto sui social network, si assiste alla mortificazione degli attuali uomini di Maranello, facendo inevitabili paragoni con gli anni del Drake, percepito come entità mitica ed infallibile, contraltare perfetto alla dilagante inettitudine dei suoi eredi aziendali.
Ricordo perfettamente il 2020 e la terrificante stagione di Formula 1 della Scuderia, azzoppata dal torbido accordo sui motori con la federazione, e ricordo ancora più perfettamente l’invasione di post su Facebook al riguardo, di cui uno in particolare mi colpiva: c’era questa foto di Enzo Ferrari con aria schifata, e la didascalia “Che vergogna il mio lavoro ridotto così”.
Non nego che passai fior di tempo a cancellare contatti su contatti, alcuni dei quali anche sedicenti giornalisti motoristici, che avevano diffuso quella… Cosa.
Ho un problema, lo confesso: odio di un odio ferreo ed inflessibile la faciloneria popolare, quella cosa che prevede che meno si sappia di un argomento e più ci si senta in diritto di parlarne, magari spargendo sentenze gratuite e non richieste.
Enzo Ferrari è stato il creatore della Leggenda della Scuderia, ma a voler davvero analizzare bene la Storia per com’è andata, senza il paraocchi del nazionalismo o, peggio, del tifo, non è certamente stato quel mitico ed infallibile capitano d’industria che oggi lo si vuol dipingere.
In altri termini: il 1957, il 1962, il 1969, il 1973, l’80, l’86 e molte altre annate, sono state tutte delle stagioni che da invidiare al 2020 non avevano nulla, e al timone della GES non c’erano di sicuro Mattia Binotto o Maurizio Arrivabene.
Parliamo dei mondiali persi “da stupidi” all’ultima gara o nelle ultime gare? “Tutti” ridono con aria sprezzante dei finali di stagione 2010 e 2012, e della “scandalosa” conduzione del muretto a guida Stefano Domenicali, ma chi si ricorda il finale di stagione 1951, con Enzo Ferrari che si impunta sul cambio delle misure delle gomme prima dell’ultimo GP (a Pedralbes, in Spagna) e il titolo mondiale che va a Fangio ed all’Alfetta, assolutamente sfavoriti alla vigilia? Chi si ricorda dello staff tecnico-dirigenziale cacciato senza appello al gran completo al termine del trionfale 1961 e della crisi scoppiata nel ’62? E di John Surtees licenziato a metà anno (1966) quando era in piena lotta per il Mondiale? O delle turbine cambiate a tre quarti di stagione 1985 per paura che la KKK favorisse la Porsche, con un Campionato del Mondo già vinto buttato alle ortiche?
Poi ci possiamo mettere le reticenze sui freni a disco, sul motore posteriore (peraltro, la Cooper fu solo la punta dell’iceberg, il Drake ebbe già modo da direttore dell’Alfa Corse di ammirare le Auto Union, quasi trent’anni prima di John Cooper), eccetera eccetera eccetera.
La Ferrari nelle corse c’è sempre stata, resta il fatto che nelle grandi lotte ne è sempre uscita con le ossa rotte: Ford, Porsche, Jaguar, Mercedes, Maserati, Matra. O presto o tardi, tutti hanno finito per prevalere sulle rosse.
Un altro luogo comune, a tal proposito, riguarda la enorme profusione di risorse impiegate, ad esempio, dalla Ford per battere la Ferrari, e lo si tira immancabilmente in ballo dimenticandosi che anche Maranello non vinse mai investendo poche risorse, e questo nonostante da sempre “vivesse” praticamente solo di corse, contrariamente a Ford che si costruì un know-how da zero.
Non c’era in effetti neanche più di tanto la parte relativa al “farsi rispettare dalla Federazione”: se è vero che alla 250 LM fu rifiutata l’omologazione in GT per i pochi esemplari prodotti, di Cobra Daytona ce n’erano forse molte di più? E quale fu il grande atto di rappresaglia messo in atto in quel di Maranello se non presentarsi con le macchine bianche e blu alle ultime gare del 1964?
Il grosso merito della Ferrari è stato senza dubbio la perseveranza: il Vecchio ha sempre voluto esserci, anche quando la via del ritiro sarebbe stata più facile, e forse questo ne fa sopra ad ogni altra cosa il Mito che è diventato, ma talvolta è utile anche vedere le cose con un briciolo di obiettività.
Ferrari ha attraversato le ere dell’automobile e delle corse, e la sua epica oserei dire ci ha regalato macchine da sogno e piloti leggendari, da Nuvolari a Villeneuve, che sono solo i più evocativi che mi vengono in mente, senza voler fare torto ad altri.
Ma aveva i suoi difetti, e negarlo e farne un superuomo non gli rende nemmeno la giustizia che si merita in fondo, trasformandoci tanto per cambiare nei soliti italiani pomposi.