Testo di Riccardo Fontana / foto di David Tarallo
“Erano le tre di notte e nell’erba medica era tutto buio, tutto in silenzio, non si muoveva una foglia. Poi, a tre valli di distanza, cominciavi a sentire urlare il Dino, poi cominciavi a vedere i fari, e dopo un po’ ti passava sotto. Era Darniche con la Stratos blu della Chardonnet, sembrava fermo e andava che faceva paura”.
Io così mi addormentavo verso il 1995, sentendo questi racconti di mio padre, per anni commissario al Rally delle Quattro Regioni, e chi l’avrebbe detto che tramite Facebook avrei un giorno stretto un rapporto di conoscenza e, mi pregio di dirlo, amicizia, con lo stesso Nanard? Quale altro mezzo avrebbe avuto un ragazzo del ’92 per conoscere certe persone?

Ecco, solo questo basterebbe a rendere l’idea di quale formidabile strumento siano i social network se usati in maniera intelligente e costruttiva, e lo sono in effetti: oltre a certe conoscenze, c’è l’amicizia con David stesso, la collaborazione con PLIT, che mi sta salvando dall’annichilimento testicolare svagandomi la mente facendomi scrivere cose per il vostro tedio, e l’amicizia con Alfonso e tanti altri.
Bel mondo sarebbe se tutti gli utenti prendessero i social nel modo giusto, vero?
Peccato, e qui veniamo al lato oscuro della luna, che la stragrande maggioranza, anche dei cosiddetti “petrolhead” (in effetti certe teste non possono che essere colme di petrolio) nostrani, abbia preso queste piazze virtuali come sostitutivo a buon mercato del caro vecchio bar, replicandone, anzi esacerbandone, i comportamenti da scemo del villaggio.
Lo ammetto: non reggo l’italiano medio, in nessuna sua forma, ma paradossalmente quella che odio di più è quella che assume quando parla di auto, e quali sono gli idoli motoristici di questo meraviglioso anello mancante tra l’uomo e la frittata alle cipolle? Semplice: Lancia Delta Integrale e Alfa Romeo 155. Alcuni, i più fini conoscitori, arrivano addosso alla 75, per gli amici “Seddandagingueh”. E tanti uno a fare da punti esclamativi compresi nel prezzo, tanto fare i buffoni su Facebook non costa neanche la consumazione obbligatoria al bar.


Io non ne posso più di sentire definire quelle due auto come i rispettivi capolavori di Lancia e Alfa Romeo, perché Lancia e Alfa Romeo hanno sfornato alcune delle più belle Auto della Storia (si notino le maiuscole) e non meritano certo di essere ricordate per una Ritmo turbo 4×4 e per una Tempra rimarchiata (che era una Tipo, che al mercato mio padre comprò).
Sono stufo di leggere che la Delta polverizzerebbe tutto il listino 2022 delle sportive quando non polverizzava neanche il listino 1992, perché per cortesia tenetela lontana da Escort e Celica, e sono ancora più stufo di veder decantare “la 155 che vinceva nel DTM e ha una linea bellissima”: se la Deltona di Kankkunen e Auriol comunque era una derivazione della stradale (rifatta da capo a piedi e gestita da un Team di Dei dell’Abarth, tanto per non andare in disfacimento da ferma in garage come la stradale), la 155 V6 TI DTM stava alla 1.8 Twin Spark come una Ypsilon rossa sta alla macchina di Leclerc.


Era un prototipo quell’Alfa, aveva una tecnologia che al 1996 non avevano neanche più le Formula 1, quindi per l’amor del cielo…
La cara (in tutti i sensi, parafrasando l’Avvocato) Delta Evoluzione invece è un altro bel caso di studio, nonostante una derivazione certamente più stretta rispetto a quanto detto per la 155: la Evoluzione non solo non è stata affatto la più vincente auto del Gruppo A (palma che spetta alla Toyota Celica Turbo 4WD ST 185, con cinque Campionati del Mondo vinti, contro il solo Marche 1992 della Delta Evo), ma rispetto alle sue rivali era largamente la più inaffidabile, la più arretrata tecnologicamente, e quella più “sbifida” da guidare.
E parlo con la cognizione di uno che le ha guidate tutte, contrariamente ai classici fanboy tredicenni col cappellino e il piercing.
Estetica? Parliamo di un’auto aggressiva, ma certamente non bella in senso stretto, o almeno non al livello di vere navicelle spaziali come la 037 o, peggio ancora, Sua Maestà la Stratos, o di altre Dee come Aurelia B20 o B24 e mille altre Lancia leggendarie e veramente belle.
Il discorso “bellezza” per la 155 è ancora più ridicolo: sentire apostrofare quella sottospecie di Tipo con la coda come “vera Alfa Romeo” o “più bella Alfa Romeo di sempre” (ebbene sì, l’ho letto, e non una sola volta), beh… La Montreal, la Giulia GT, le varie 1900, 2000 e 2600 Sprint, Giulietta Spider, nonché tutte le 6C ed 8C d’anteguerra, che erano degli shuttle per i loro tempi come oggi non sono neanche delle Pagani o delle Bugatti, ha un solo effetto: portare a credere che la concessione così a tappeto dei diritti civili sia un attimo da rivedere.


Quotazioni: ecco un altro punto interessante, che spesso viene preso ad estremo appiglio da questi personaggi davanti a tutto ciò finora esposto: “Eh ma allora perché la Delta costa così tanto?”.
A parte che aldilà di qualche serie limitata, che qualcuno paghi 70-80 carte una Evo del ’92 non numerata è tutto da vedere, e non ne ho ancora visto uno coi miei occhi, comunque da qualche tempo i prezzi si stanno leggermente ridimensionando, com’è ovvio che sia, mentre i prezzi delle sue rivali stanno salendo, com’è altrettanto ovvio che sia: perché una Escort o una Celica dovrebbero valere e costare meno della “Regggina”? Loro sono state fatte nel numero di esemplari previsto dal regolamento del Gruppo A (5000 spalmati su due anni solari consecutivi) e nulla più, per la Delta Evoluzione qualcuno parla di 35000 esemplari, comprese le serie limitate, che da sempre sono il modo carino che ha l’industria italiana di sfruttare fino allo sfinimento dei prodotti morti (l’hanno fatto anche con la Panda vecchia, ricordate? Anni e anni con mille serie speciali con nomi sempre più improbabili, monetizzazione selvaggia e smaltimento scocche).



La Lancia Stratos, ma anche l’Alpine, ha un senso che valgano molti più soldi di un’auto tradizionale, ma la Delta no, perché è una macchina tradizionale lei in primis: è una bellissima auto, ma lo è come le sue rivali, rimanendo però molto più difettosa e difficilmente riparabile, e qui apriremmo un mondo che non voglio aprire: chi quelle macchine le ha guidate, le ha avute, o anche solo le ha viste essendo dotato di un minimo di intelligenza, sa benissimo di cosa stia parlando.
Ho fisso nella mente un episodio capitato alla Vernasca Silver Flag del 2018 che, col senno di poi, avrei potuto usare subito per riassumere tutto ciò che ho scritto: ero a vedere la partenza a Castell’Arquato, e mi arriva in fianco uno pseudo-quarantenne con due bambini. A tutte le macchine che escono dal piazzale per partire, mi strattona un braccio (e già non va bene). chiedendomi con fare spiritato “È italiana?!”
Non volevo andarmene (anche perché mi sarei rovinato lo show per colpa di un cretino) e quindi gli ho anche risposto qualche volta: se l’auto era italiana partiva la hola da finale di Champions, se invece era straniera “buuuuuuuh!!!”.

Una delle cose più imbarazzanti cui abbia mai assistito.
Alla quinta uscita dal piazzale, ironia della sorte proprio Darniche che guidava la “sua” Stratos blu messagli a disposizione dal collezionista che la possiede, questo… Questo, senza chiedere, urlò a squarciagola “è blu, Francia merda!”.
Me ne andai, perché ucciderlo davanti ai suoi figli non sarebbe stato edificante, e mi rovinai la partenza.
Questo credo che spieghi assai bene il livello medio dell’appassionato italiano da strada.
Getto un po’ di benzina sul fuoco…
Il massimo lo raggiungono quegli pseudo appassionati che sostengono che le attuali Audi integrali siano, in qualche modo, in debito di riconoscenza con le integrali della Lancia.
Insomma, sono arrivati un po’ corti con la storia…
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Il problema dei social è proprio quello Alfonso: in realtà questa gente c’è sempre stata, solo che una volta dovevano sforzarsi di uscire e andare al bar, restavano circoscritti cioè nel raggio di 200 metri dalla loro bicocca cadente con, ovviamente, il loro invidiabile carico di puttanate.
Ora no, ora hanno lo spalto privilegiato che si chiama Facebook, e questo li esalta a mille, perché hanno quelli che gli mettono gli emoticon, quindi se di loro sono bifolchi 5 hanno l’incentivo ad ostentare una bifolcheria pari almeno a 10.
Qualche tempo fa c’era una, tua concittadina, fissata con l’Alfa in generale e la 75 in particolare, che mi chiese l’amicizia. L’accettai, purtroppo con il tasto e non con l’accetta, perché a volte so essere scemo anch’io.
Inizia a trovarmi la bacheca inondata di meme uno più stupido dell’altro, fino ad un bel dì in cui mi ritrovai davanti una foto di quello di Spiderman (Toby McGuire?) con i quattro anelli in fronte, l’espressione piangente, e il fumetto che recitava “no, maledetta 75 America, non accelerare mentre ti supero!”.
Mi tirò la fonchia, risposi postando una Quattro Sport stradale rossa, scrivendo “quando c’era la 75 America, l’Audi faceva questa, e se la 75 America non si spostava veloce faceva la fine della DeLorean alla fine dell’ultimo Ritorno al Futuro, disintegrata dal treno”.
Risposta “che minchia sarebbe ‘sto bidone?”
Ora… Cosa vuoi ribattere? Nulla, la deli alla Gestapo di Pontassieve e passa la paura.
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Il bello è proprio quello: l’Alfa Romeo ha fatto tutta la saga delle 6 ed 8 cilindri d’anteguerra, roba che Bugatti a parte (e forse nemmeno) era… No, non c’è neanche un equivalente al giorno d’oggi, sicuramente non Ferrari o Lamborghini perché, in un mondo in cui il carretto con l’asinello era roba da riccastri, con un 1750 6C o peggio un 2300 8C eravamo ad un livello da space shuttle.
Hanno fatto la Montreal, la 33 Stradale (no, dico, la 33 Stradale!), Le varie 2600 Sprint o Spider, o anche stando più “umili” (al netto che eravamo comunque su roba da Gran Signori, in un’Italia che faceva fatica a comprare la 500) cose come le Giulietta Sprint o Spider o la Giulia Sprint GT, senza scomodare le sue versioni corsaiole.
Macchinoni epici, quelli davvero.
E cosa stuzzica gli umori del popolino? La 75, una Nuova Giulietta di merda malamente rimasticata per farla digerire uguale agli italiani per altri dieci anni, o peggio ancora la 155, che in sfiga e bruttaggine era superata solo dall’Arna, che però almeno aveva le scocche giapponesi e non marciva.
Se tu vai all’estero e dici 75 e 155 si mettono a ridere, e fanno bene.
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