testo e foto di David Tarallo
Di un luogo si può restare affascinati dopo pochi istanti. Non si sa perché, è una questione di istinto. Quando arrivi in un posto ed è esattamente come te l’eri immaginato da ragazzino. Sebring è una delle piste che preferisco, per tante ragioni. Mi sono spesso chiesto se sia per le molte persone incontrate qui, per le coincidenze, gli episodi di un periodo che ormai si può classificare come “vecchio” (sono oltre vent’anni che ci vengo). Sul tracciato difficile dire qualcosa di nuovo e originale: sembra monotono, è tecnico ma anche divertente (invece per esempio Adria era tecnicissimo ma di una noia mortale). Ci feci un corso di pilotaggio con Skip Barber e trovai subito un buon feeling con la pista, che non ti mette del tutto in difficoltà ma anzi ti illude di stare andando forte mentre invece stai semplicemente commettendo una marea di errori. Però non arrivi mai a odiarla, vorresti andare, andare e ancora andare finché non arriva il tramonto. Qualche giorno fa immaginavo di fare un dizionario egoista di Sebring, alla maniera di Charles Danzig, con un personaggio per ogni lettera. Probabilmente un alfabeto riuscirei anche a completarlo, ma sarebbe lungo per Internet e forse anche noioso. Allora così per gioco butto giù qualche riga dedicata a persone che mi hanno reso tante volte le edizioni della 12 Ore di Sebring così indimenticabili. Mi rendo conto ora che così pensando a caso ne sono venuti fuori dieci, numero tondo.
Roger Penske: Entrò in sala stampa dopo la straordinaria vittoria nel 2008 della Porsche RS Spyder, e in quel suo raggiante sorriso c’era la storia dell’automobilismo. Non la storia uggiosa dell’acqua passata che non macina più ma la storia di uno sport che ti si sta scrivendo sotto gli occhi.
Michael Keyser: Dovevano intervistarlo i miei colleghi Udo Klinkel e Jan Hettler per il loro libro sulla 1000km del Nuerburgring. “Tutti gli anni prendo il camper e mi metto all’esterno dopo la curva 2. Lo riconoscete perché sul tetto c’è una bandiera nera dei pirati, col teschio bianco”. Ancora echi della Sebring anni settanta.
Mauro Casadei: Quando cerco qualcosa di nuovo e originale, uno spunto o una notizia vado da lui. Ora lavora in Lamborghini, Sebring è uno dei nostri spunti di conversazione preferiti. Fu mio istruttore ad un corso di guida sportiva con Stohr a Misano e probabilmente gli ultimi capelli sulla testa glieli feci perdere io sbagliando una traiettoria sul veloce, errore cui Mauro reagì d’istinto con una bestemmia tipicamente romagnola. Al rientro nei box stette mezz’ora a predicare su quanto avevamo rischiato spiegandomi le sacrosante differenze fra una BMW M3 e un kart, che era una delle poche cose che fino a quel momento avevo guidato in una gara.
Cécile Estenave: Sono i ricordi delle Peugeot 908 e delle loro peripezie a Sebring. Lavorava già per Peugeot Sport, era allo stesso tempo elegante e spiritosa. La ritrovavo spesso, la domenica all’indomani della gara, in un mall a comprare i jeans Levis. Le dicevo che era un po’ come facevano in Russia o nella Repubblica Ceca alla caduta dei regimi comunisti ma questa battuta non la afferrava. Forse come battuta non era neanche tutto sto granché.
John Fitzpatrick: Lo ritrovai a Sebring qualche anno fa che presentava la sua autobiografia fresca di stampa. Gli raccontai di un adesivo con la Jaguar XJS attaccato sulla pagina di un quaderno e del suo autografo carpito al Mugello in una gara dell’Europeo Turismo. Si cresce, si invecchia, ma sapere che certe persone non sono mai sparite dai tuoi orizzonti lo trovo rassicurante.
Janos Wimpffen: lo conobbi a Daytona nel 2003 e subito mi colpirono le sue ficcanti definizioni, mai sopra le righe ma anzi, sempre di grande aiuto per avviare ulteriori pacate riflessioni. Ricordo con lui una bella festa a casa di Michael Argetsinger un giovedì sera nella settimana di gara, sui bordi del Lake Placid. La villa con tutte le finestre aperte, le luci accese, la rutilante cucina con l’isola centrale piena di bibite colorate. Il festival delle zanzare ma anche di gente che altrimenti non avrei mai incontrato.
Un meccanico di John Greenwood: Una delle parti più complicate del viaggio verso Sebring è il tragitto in auto dall’aeroporto di Miami o di Orlando fino all’hotel. A volte sono duecento, altre volte trecento chilometri. Fermatomi a cena in un Arby’s un tizio mi chiese se ero lì di passaggio (contrariamente a quanto si pensi, nel glocal c’è molto di provinciale e se sei “nuovo” ti notano subito ed è spesso l’occasione per fare quattro chiacchiere). Era un vecchio meccanico di John Greenwood, che aveva anche lavorato per Phil Currin. Mi salutò e non osai fargli la classica domanda da modellista-pitocco: ma la Corvette numero 99 era davvero così opaca? Era opaca, era opaca e non ci fu bisogno di chiederglielo perché me lo disse lui.
La dottoressa coi merletti: all’Hairpin c’è una pittoresca dottoressa che agghinda la sua tuta ignifuga con tanti giri di merletto. Sebring come tutti i circuiti ha i suoi personaggi. Fu anche grazie a lei che si scoprì che le Porsche Cayenne utilizzate per il soccorso non medico riprodotte da Minichamps in realtà erano all’interno molto diverse dal modello stradale. Dettagli di cui Minichamps si era allegramente fregata.
Ken Breslauer: Per decenni direttore della comunicazione a Sebring, ne è uscito con un fardello di amarezze. Il più grande conoscitore della storia della 12 Ore oltre che di tanti altri aspetti della Florida l’anno scorso non si è nemmeno presentato, chissà se stavolta riusciamo a vederlo. La sua ironia, peraltro temperata dalla comprensibile tensione durante la settimana della gara, manca ancora a molti. Fu lui a rendere più umano l’ambiente di una manifestazione che tra gli anni settanta e i primissimi ottanta tendeva a un certo snobismo, mentre Daytona era nota per essere più “easy”. “Sebring era la gara della Coca Cola mentre Daytona era la gara della Pepsi, e ho detto tutto”, mi spiegò Ken una volta. La Coca Cola è snob? Altro aspetto da approfondire.
John Paul jr: Se l’è portato via il morbo di Huntington alla fine del 2020. Con lui se ne sono probabilmente andati i segreti su Colling Wood e Chalice Paul. Spesso quelle due o tre storie maledette all’interno della famiglia vengono allegramente sbattute in forum o pagine Facebook senza troppi complimenti. John Paul jr difese suo padre, pagandola molto cara. Negli scambi avuti con lui nel corso degli anni emerge soprattutto il rimpianto di non aver ottenuto in Formula Indy quei risultati che il suo talento avrebbe potuto ottenere. Se parli di piloti americani anni ottanta-inizio novanta, John Paul jr ha diritto a occupare un posto di prima fascia. Era probabilmente veloce quanto un Al Unser o uno degli Andretti dei tempi migliori. Nella distorsione del viso reso parossistico dalla malattia gli occhi lampeggiavano ancora.
Questi sono pezzi degni dei pagelloni di Grand Prix dei tempi d’oro, solo ancora più gustosi.
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Bellissimo pezzo, David, adoro questi racconti.
Preso atto che Sebring è tra le tue piste preferite, mi piacerebbe sapere qual è, e perchè, la 12h più affascinante alla quale hai assistito.
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Ciao Nicola, scusa il ritardo nella risposta ma sono giornate piene. Non mi ero comunque dimenticato del tuo messaggio, per il quale ti ringrazio. Ho iniziato a frequentare la 12 Ore di Sebring ormai oltre 20 anni fa, per cui le edizioni si affastellano nella memoria e non sempre è facile selezionare le edizioni più belle, anche perché non sempre coincidono con trasferte ugualmente memorabili per me e viceversa. Ci sono stati anni che ricordo con grande piacere, le cui edizioni della gara non sono state nulla di speciale. Separando comunque il fattore sportivo da quello soggettivo, direi che la gara più bella alla quale abbia assistito è stata quella del 2008, in cui la Porsche RS Spyder di LMP2 batté un’agguerrita concorrenza. Credo di aver già parlato di quella gara anche su PLIT. Fu davvero una bella esperienza, e lo dico sia da giornalista sia da simpatizzante della Porsche. In quell’edizione successe veramente di tutto e ci fu un finale di grande intensità. Sceglierei quindi l’edizione del 2008, ma altre ne ricordo, come quella del memorabile duello finale fra la Ferrari e la Porsche per la vittoria in GT, o anche alcune edizioni dei primi anni duemila. Ricordo con grande piacere, per la consistenza delle forze in campo, anche l’edizione 2011, prima gara dell’Intercontinental Le Mans Cup, oltre che dell’ALMS. In quegli anni Sebring era l’ALMS mentre Daytona era la Grand-Am, un campionato che avrebbe poi preso la via di un declino che l’avrebbe portato alla fusione con l’altra parte. Il discorso ci porterebbe lontano. Ci fu un periodo in cui Sebring e Daytona erano belle ad anni alterni, e dovevi avere la fortuna di indovinare il campionato giusto: ad esempio, quella del 2003 fu una bellissima edizione di Sebring e un’edizione mediocre di Daytona, pur con l’interesse tecnico del debutto delle DP, mentre nel 2004 la situazione si invertì. Ho comunque avuto la fortuna di vivere momenti belli, talvolta indimenticabili e di certe cose mi vanto di parlare a ragion veduta, perché la fantasia e la capacità di immaginazione saranno anche delle belle virtù ma l’esperienza diretta non ha nulla che possa sostituirla, anche per elaborare storie a distanza di tanti anni.
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Grazie per la risposta, David. Effettivamente la vittoria della RS Spyder nel 2008 è stata un’impresa che andava al di là di ogni pronostico.
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