Di plastica, apribili e dimenticati

testo di Roberto D’Ilario / foto di Roberto D’Ilario e David Tarallo / didascalie e note David Tarallo

I modelli apribili sono sempre stati oggetto di diatribe tra collezionisti, c’è chi li adora e chi li detesta in base al proprio vissuto e alle emozioni correlate. Il principale punto del dibattito è la fedeltà di riproduzione inficiata dai tagli troppo ampi delle portiere e dei cofani, gli spessori delle parti apribili che devono garantire una certa robustezza e la delicatezza della vernice che si scheggia ad ogni manipolazione. Tutto vero.

Non sono un fanboy degli apribili però, come già esposto nel mio articolo sui Fly 1/43, ho tanti ricordi   d’infanzia, quando la fedeltà era relativa e passavo ore ad aprire e chiudere le porte, ficcare robine nel portabagagli e cercare di costruire i fili delle candele nel motore.

Herpa è un marchio molto apprezzato per le sue riproduzioni in 1:87 / HO che agli inizi degli anni ’90 ebbe l’ambiziosa idea di commercializzare una nuova linea, chiamata High Tech Collection, di Ferrari in scala 1/43 in plastica e con parti apribili.

Tombola!

Invece no, non furono apprezzati dai collezionisti.

Analizzandoli, la prima cosa che salta all’occhio è la plastica non verniciata ma stampata direttamente del colore finale che genera una sorta di effetto traslucido.

Le linee sono sostanzialmente corrette ma le sorprese sono tante: linee di giunzione quasi invisibili, incredibile per quegli anni, le aperture sono precise con i meccanismi nascosti, gli spessori sono realistici, griglie e tergi sottili, cornici in rilievo, vetri molto trasparenti anche a distanza di anni, specchi con riflettente riportato, cerchi e gomme corretti.

Anche gli interni sono curati, basta guardare la strumentazione, il cambio con la griglia del selettore, sedili della giusta foggia, pannelli alle portiere, alette parasole e il volante con il cavallino.

Poi il motore… semplice certo ma completo anche della parte sottoscocca e soprattutto sulla F40 possiamo ammirare gli ammortizzatori e gli attacchi delle sospensioni. Qualche incongruenza c’è come per esempio le cinture della F40 ma comunque risolvibile.

Gli Herpa 1:43 venivano commercializzati in una vetrinetta di plastica con copertura in plexiglass piuttosto lussuosa e la classica protezione in cartone, che richiamava la grafica degli altri prodotti del marchio tedesco. La vetrina 1:43 era disponibile anche come accessorio separato (055024), probabilmente per allettare chi aveva scelto un modello nella gamma dei kit. Parallelamente, Herpa aveva reso disponibili alcuni cerchi 1:43 acquistabili come kit di trasformazione: Borbet (050838) e BBS (050845)

Nell’esemplare in foto della 348 TS si nota un non perfetto accoppiamento tra hard-top e cornice del parabrezza, frutto di uno involontario schiacciamento da parte di un modellino ben più pesante e forse un po’ invidioso.

Furono prodotte in vari colori, rosse, nere, gialle, la 348 anche in blu; qualche versione particolare, come la F40 del Gran Criterium Super Car GT 1992 per il Club Italia, la Challenge Super Car 1993, la 348 pilotata da Klaus Greif e alcune in versione Merry Christmas (orribili) e se non sbaglio anche in versione kit di montaggio.

Cosa volere di più? Nonostante la tecnologia infusa in questa linea, parliamo di 30 anni fa, furono totalmente incompresi, forse per la plastica delicata, per l’aspetto un po’ dimesso al primo impatto o per il pregiudizio sulla Herpa che era considerata buona solo per i modelli semplici e a basso costo. Un po’ come negli anni ’70 la scetticismo sulla Fiat che si era messa in testa di produrre auto di prestigio.

Però bisogna riconoscere il coraggio, hanno comunque osato e il prodotto meritava di più per le raffinatezze tecniche messe in campo.

Vola solo chi osa farlo” (Luis Sepúlveda)

Herpa non ha volato ma ce l’ha messa tutta.

14 pensieri riguardo “Di plastica, apribili e dimenticati

  1. Non li conosco bene ma mi ricordo le Mercedes della Faller molto carine mentre i Revell non mi piacevano, li trovavo troppo approssimativi. Magari mi sbaglio per cui sarebbe interessante un articolo di chi li conosce a fondo…
    Robix

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  2. Mi fa piacere che Pitlane abbia dedicato spazio ai bistrattati modelli Herpa 1/43. Io ho diverse Ferrari di quella serie e le trovo molto ben fatte, anche se inevitabilmente molto delicate per via del materiale e delle varie aperture. Penso che lo scarso successo di mercato sia stato determinato sia dal fatto di utilizzare la plastica sia, forse, per un disinteresse dei collezionisti per un prodotto totalmente apribile. Peccato, perché la riproduzione della meccanica e dell’ abitacolo sono veramente encomiabili. Magari, un giorno, verranno visti e valutati in maniera diversa…

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  3. Fa piacere che temi di questo genere suscitino così tanto interesse. Del resto PLIT conta molto sulla parte storica, per collocare le vicende di marchi e gamme che spesso sono state trascurate o che i collezionisti non conoscono abbastanza. Inquadrare storicamente un marchio significa riuscire a “leggerne” il ruolo e l’importanza. Tutto diventa interessante quando si torna ad analizzarlo con l’occhio della ricerca e della classificazione. Il collezionismo non è un accumulo acritico di scatole su scatole ma è – o almeno sarebbe bene che fosse – un tentativo di ricostruzione di vicende umane, tecniche e industriali, che danno vita alla storia. Magari con la s minuscola, ma sempre di storia si tratta.

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  4. Venendo a ciò che ha scritto Giovanni Danese nel suo commento, il collezionista di 1:43 ha sempre nutrito un certo scetticismo nei confronti della plastica, forse giudicata troppo leggera e/o giocattolesca. Se si pensa che c’era anche chi provava un’insofferenza simile per la resina all’epoca dei primi kit Record, si può capire abbastanza bene la difficoltà per i vari Herpa, Faller o Revell a imporsi in un mercato che tendeva a identificare un modello “pesante” con un modello “buono”. La logica del peso è in fondo la stessa che porta tanti collezionisti ignoranti a preferire la scala 1:18 perché “c’è più roba”.

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  5. Verissimo questo discorso del “peso” di un modello. Mi ha sempre colpito molto questa curiosa tendenza a preferire modelli in metallo, fin dagli albori della mia storia di (mediocre) modellista prima e collezionista poi. Parliamo di più di trent’anni fa, quando avevo per amici due fratelli poi persi di vista; ebbene, anche loro mi dicevano sempre che un modellino, per valere qualcosa, doveva essere pesante. Io la pensavo diversamente ma, per quieto vivere, li lasciavo nelle loro convinzioni.
    Almeno per una volta, il tempo mi ha dato ragione…

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