FIA-WEC, Imola indigesta

Premesso che a leggere certi commenti sui social di tifosi di altre marche verrebbe da diventare ferrarista (cosa che non sarò mai, così come penso che tifosi si possa essere fino più o meno a 14 anni, poi basta), effettivamente quello della Ferrari nella gara del FIA-WEC di domenica scorsa può essere considerato senza tema di sbagliarsi come un terrificante suicidio.

Confesso che dopo il pastrocchio che ha relegato definitivamente le tre 499P nelle posizioni di rincalzo, ho pensato ad alcuni colleghi, in particolare quelli di Autosprint, chiedendomi come avrebbero potuto (o saputo) scrivere una cronaca onesta senza incorrere nelle ire dei vertici della comunicazione di Maranello. Oggi non c’è più il Commendatore che ti chiama inviperito il martedì mattina, sputandoti un laconico e velenoso “buongiorno, ho letto Autosprint…”, seguito da un silenzio di tomba che presupponeva una sentenza già scritta, ma i giornalisti di testate in vista hanno il loro bel daffare nel conciliare l’onestà deontologica con esigenze un po’ più terra terra ma non per questo meno comprensibili, anche se teoricamente non sempre giustificabili. Ripensavo a Sabbatini, a Donnini e a Fundarò, tutte persone che stimo molto, destinati a sudare le classiche sette camicie nella funambolica arte dell’informare senza offendere, nel condannare senza annientare, nell’analizzare senza seppellire. Ci sono riusciti, e Autosprint n.17 (!) è uscito ieri con una malinconica (ma riuscitissima) copertina intitolata “Brusco risveglio”: due gare molto attese – il GP di Cina e il FIA-WEC a Imola – finite come si suol dire a schifìo anche se con modi e logiche diverse.

Stavolta, però, giornalisticamente, almeno per il WEC, ai colleghi italiani della carta stampata (gli inglesi, i francesi o i tedeschi subiscono meno in questo caso la famigerata sudditanza psicologica che si manifesta a più livelli in ogni sport, mica solo nel calcio) è andata meglio. Se il comunicato ufficiale Ferrari restava abbastanza generico – e giustappunto può essere considerato un capolavoro di politica narrativa, lo dico con ammirazione e non con ironia perché gli addetti stampa proprio questo devono fare – le dichiarazioni dei responsabili sportivi del Cavallino non hanno lasciato adito a dubbi. “Capirai”, potranno commentare i soliti esperti da social, ma vi assicuro che non sempre è così scontato, anzi non lo è quasi mai.

Da questo punto di vista, Antonello Coletta e Ferdinando Cannizzo sono stati onestissimi e ciò fa loro onore. Ricordo, giusto in anni recenti, un’edizione della 24 Ore di Le Mans) dove proprio un collaboratore di Autosprint aveva dovuto subire i fulmini da parte dei piani alti di Maranello per aver espresso legittime perplessità sulla strategia di AF Corse con le 488 in LMGTE.

Dinamiche simili esistono da sempre e sempre esisteranno. Questo andrebbe magari spiegato ai suddetti espertoni di Facebook che probabilmente un’Hypercar l’hanno vista solo su Internet perché manco si sforzano di comprare libri o giornali.

Ciò che mi ha colpito è la violenza delle faziosità. Evidentemente la mancanza di sportività non conosce confini e appena può varca i cancelli dei paddock della Formula 1 per espandersi in altri campionati dei quali prima del 2023 il tifoso medio conosceva a malapena l’esistenza (no, sto esagerando ma avete capito il concetto).

L’endurance non è avvezzo a certe partigianerie. In questo, è da tempo immemorabile molto più pacato e distaccato del circo della F.1 ma ricordo che già nel 1973 il pubblico di Vallelunga fischiava le Matra, per non parlare di certi comportamenti da trogloditi visti alla Targa Florio dei tempi che furono.

Oggi i tifosi col cappellino e con la 499P della “Burraco” (giuro che non me lo invento) sono arrivati. Te li trovi alla Tosa – in quel caso stanno al di là della rete come le scimmie allo zoo e non gli leggi i labiali – ma te li ritrovi anche furiosi, schiumanti, inferociti, nell’uccelliera di Facebook. O al contrario galvanizzati, eccitati, acclamanti se appartengono ad altre fazioni. E’ un bene? O un male? Per gli interessi attuali dell’ACO è un bene: gli oltre 70.000 spettatori di quest’anno li avrebbero voluti, nell’ILMC del 2011. Quanto a Facebook, basta limitarsi a ignorarli, prima o poi si stancheranno di lavorare gratis per Ferrari, Porsche o Toyota.

E’ in ogni caso inevitabile che il coro dei leoni da tastiera, ferraristi e anti-ferraristi, si sia chiesto come mai, se tu hai tre-macchine-tre, non tenti neanche di diversificare la strategia ma la applichi in blocco finendo per fare la figura dei pifferi di montagna. Mi pare che nessuno alla Ferrari lo abbia chiarito ma leggendo tra le righe sembra che l’interpretazione più plausibile, per la verità abbastanza empirica, sia questa: erano talmente convinti della bontà delle previsioni meteo a loro disposizione che si sono lasciati tentare dalla prospettiva di far saltare il banco, quando avrebbero potuto “solo” vincere, magari sacrificando una o addirittura due macchine, al netto del fatto che gli accordi fra i responsabili della 499P gialla e la squadra ufficiale in materia di gestione di gara non sono del tutto chiari all’esterno.

Vincere dimostrandoti superiore alla concorrenza ti espone alla tagliola del BoP (del resto, non vincere apposta è più o meno un assurdo); perdere dopo esserti dimostrato superiore alla concorrenza ti fa fare la classica fine del cornuto e mazziato, perché la commissione tecnica interviene ugualmente.

Riassumendo molto: credo che la Ferrari avrebbe potuto scegliere almeno un’alternativa ma tutti, compreso un top team di un campionato mondiale, possono sbagliare. Tom Kristensen è stato alquanto severo nel giudicare la gestione della Ferrari a Imola; del resto lui è abituato a una squadra che ha portato a casa diverse vittorie in condizioni d’inferiorità tecnica grazie ad una gestione ai box intelligentissima quando non geniale.

Kristensen, appunto. Pur di dare contro ai sapienti di Facebook potrei arrampicarmi su tutti gli specchi di Versailles per dimostrarvi che la strategia della Ferrari a Imola è stata così raffinata che in pochissimi l’hanno capita.

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