Il concetto del multisala

di Riccardo Fontana

C’erano una volta i produttori europei, di die-cast e di speciali, che monopolizzavano per intero il panorama dell’automodello in scala, con una produzione che nel corso degli anni ottanta si fece sempre più fitta e sterminata: in particolare, il boom fu relativo alla nicchia (che all’epoca di nicchia non aveva proprio nulla) dei modelli artigianali, con autentici fari del settore come Starter e Provence Moulage – seguiti a ruota da molti e molti altri nomi di assoluto pregio – che si sfidavano a colpi di novità settimana dopo settimana.

C’era solo un piccolo novero di problemi in quello che poteva sembrare – e dopotutto era – un piccolo idillio in scala ridotta: gli speciali costavano cari, sia in kit che – soprattutto e principalmente – montati, ed in pochi potevano ottenere risultati lusinghieri da quei mucchietti di resina e metallo, mentre la situazione sul versante dei die-cast non era comunque in grado di soddisfare appieno i famelici appetiti degli appassionati più incalliti.

C’era quel poco (pochissimo) che rimaneva di Solido, c’erano ottime realtà come Box Model, e soprattutto c’era Vitesse, che era il vero faro dei produttori industriali del periodo, tutte case che producevano in Europa nei rispettivi paesi, ma che giocoforza – pur mantenendo prezzi molto ragionevoli per non dire abbordabili, sulla falsariga di quanto faceva Solido nel suo periodo d’oro – non poteva eseguire stampi su stampi a decine ogni mese, se non altro per l’immensa mole di investimenti che ciò avrebbe comportato, e che quindi si riducevano a declinare all’infinito sempre le stesse (poche) auto, spesso peccando in fedeltà proprio per la quasi impossibilità di apportare modifiche di qualsivoglia natura ai costosi stampi per la pressofusione.

Si mantenne così – tutto sommato felicemente – lo status quo, fino a quando a qualcuno (Paul Lang) non venne l’idea di vagliare la Cina, e qui iniziò a cambiare tutto.

L’idea era semplice: produrre die-cast di alta qualità a basso costo in un paese dell’allora terzo mondo, da proporre ad un prezzo decisamente più alto di quello dei normali die-cast – ma comunque assai minore di quello di uno speciale montato vero e proprio – ai collezionisti occidentali.

Vi ricorda qualcosa? Esatto, Spark, ma questo è un altro discorso, e ci arriveremo tra poco.

Il modello (gioco di parole involontario) funzionò – e bene – fin da subito, e quasi immediatamente iniziative (quasi) equiparabili ai Minichamps presero vita anche in scale differenti dalla classica 1:43: comparvero gli Yat Ming, e soprattutto i Maisto, in scala 1:18, con compagini completamente orientali alle spalle, ed un orientamento molto più mainstream e popolare dei Minichamps, ma comunque con buoni prodotti – imparagonabili ai Burago – proposti a prezzi stracciati.

Chi poteva, a metà anni ’90, proporre una Citroën Traction Avant 15 CV in scala 1:18 con sei aperture a poco più del prezzo di un Burago 1:24? Oppure una Giulia GTA completamente apribile nella stessa scala ed alle stesse condizioni?

Nessuno, ed infatti sempre più poli europei iniziarono a guardare all’estremo oriente con un occhio di riguardo.

Poi arrivò Spark, e dopo un’iniziale politica incentrata sul basso costo dei modelli (meno di 40€ al pubblico) e sulla produzione di modelli tutto sommato di nicchia – come potevano essere le barchette protagoniste minori dell’Endurance – è diventata il gigante assoluto e spadroneggiante che è oggi: produce di tutto, per chiunque, ed il costo al pubblico è meno di 90€.

Gli artigiani nel frattempo sono praticamente scomparsi, ed anche Minichamps non se la passa troppo bene, ridotta com’è ad una mera “colonia” dell’impero Spark, una frazione infinitesimale di ciò che era un tempo.

E per l’1:18? Ci sono ancora i figli di Maisto e Yat Ming, solo che ora – per poco che costino – dalle 30 mila lire assai scarse di metà anni ’90 sono passati ad una media di 130-150 o anche 170€.

Di europeo non c’è più nulla, sono rimasti solo i prezzi dei modelli di (vera) alta fascia del tempo che fu, a comporre un autentico specchio della società occidentale odierna, completamente orientata all’accumulo selvaggio di finto lusso pacchiano e strapagato.

La logica che si è applicata alla produzione cinese è molto simile a quella che ci ha ridotti ad essere invasi da centri commerciali e cinema multisala: sono arrivati proponendo prezzi estremamente concorrenziali, tanto da invogliare praticamente chiunque ad abbandonare i cinema tradizionali ed i negozianti di paese, salvo poi – una volta che i suddetti canali commerciali sono finiti sul lastrico ed hanno chiuso – adeguare i prezzi ad un livello molto superiore a quello che di questi canali commerciali era proprio.

Tradotto? Se il biglietto al Cinema Castello a Pavia nel 2002 costava 5€ ed al Multisala dell’Iper di Montebello costava 2€, oggi il biglietto al Multisala costa 9,99€, ed il Cinema Castello ha chiuso da quindici anni.

Stesso discorso, appunto, si potrebbe fare per i modelli: se nello stesso periodo una 33/2 Best costava 30€ ed uno Spark con la sua aura da semi-speciale poco meno di 40€, oggi una 33/2 Spark costa 86€, e la Best italiana è inesistente.

Questo non è un giudizio, è una fredda fotografia dei fatti e degli eventi storici, ed è sotto gli occhi di chiunque si prenda la briga di fermarsi un attimo a rifletterci sopra.

Non ve le hanno spiegate tutte queste belle cose quando – a macroeconomia all’università – vi raccontavano che la delocalizzazione non sarebbe stata un problema, “perché per ogni posto da operaio semplice perso se ne creano tre da programmatori”, vero?

No, e sapete perché? Per lo stesso motivo per il quale, esattamente a ruota della dubbia affermazione di cui sopra, sono stato buttato fuori dall’aula, per aver chiesto “professore, e domani mattina l’operaio semplice Carmine della Fiat di Termini Imerese, 58 anni e quinta elementare, è in grado di fare il programmatore?”.

Vedete quante belle considerazioni si possono fare anche con pretesti frivoli come i modelli? Ecco, una di queste è relativa al fatto che la globalizzazione sia forse la più colossale inculata cui l’occidente sia mai stato esposto.

Esponendocisi da solo, tra l’altro.

E vedrete ora con le auto elettriche, ecco, con quelle ora la Cina finirà di mangiarci, e ci saremo messi ancora una volta in inferiorità da soli, per legge, ma questo è un altro discorso.

C’è cura? Francamente, non credo.

6 pensieri riguardo “Il concetto del multisala

  1. Concordo, Riccardo. Mi rammento però che forse un passo intermedio fra la produzione “da Solido Francia-Francia” a “Solido solo in Cina” (il nome Solido è un esempio) ci deve essere stato : in un paio di stagioni vennero fuori IXO e poi Quartzo, che non ho mai capito se venissero prodotti (anche solo in parte) in Cina, o no. Senza contare che credo pure Minichamps avesse già cominciato a delocalizzare (una brutta parola). Scrivo questo perchè ricordo il salto di qualità improvviso di questi marchi (erano gli anni 90) e ne ricordo anche il salto dei prezzi unitari. Quanto alla produzione Made in Italy: Box-Bang-Best-M4-Art Model-Rio etc. ritengo siano modelli di gran buona qualità. Certo non sono degli “speciali montati” come vengono chiamati gli Spark oggi, ma costano 30 euro di meno. Se un modellista è capace…….può facilmente ovviare. Una volta ero capace anch’io …..

    In ogni caso mi levo sempre il cappello di fronte a Brumm …….: che si migliora in continuazione e che, a meno di un clamoroso imbroglio, produce “made in Italy”, con tanto di bandierone sulla scatola.

    Saluti a tutti quelli di PITLANEITALIA

    Riccardo Dietrich (che ahimè figura sempre come anonimo)

    "Mi piace"

    1. Riccardo, devi loggarti utilizzando una delle tre icone sottostanti lo spazio di scrittura del messaggio (Facebook ecc.), altrimenti rimarrai sempre “anonimo”.

      Ogni tanto mi dimentico di farlo e resto “anonimo” pure io…

      "Mi piace"

Lascia un commento