Qualche giorno fa, nel cortile del Circolo Svizzero di Firenze in Via del Pallone, uno dei due vecchi lecci, ormai morto e pericolante, ha lasciato il posto ad una nuova giovane pianta, della stessa specie. Fino al 1983 quel cortile e il villino retrostante erano occupati dalla Scuola Svizzera, dove ho passato anni indimenticabili (chiedete a chiunque altro abbia frequentato scuole svizzere in Italia o altrove, vi racconterà esperienze lontane magari decenni ma perennemente scolpite nella memoria perché quella non era una “semplice” scuola).

Ogni volta che varco la porta laterale di Via del Pallone (l’entrata principale era in Via Passavanti) riaffiorano, nitide e terribilmente lucide, sensazioni, immagini, frasi intere che riecheggiano negli ambienti una volta occupati dalla biblioteca, dalla mensa, dalle classi. Se la solitudine è avere dei ricordi ma nessuno con cui condividerli, resta almeno il privilegio di ritrovare certi luoghi nella mappa delle nostre vite erranti.
Fine anni ’70: il mezzanino con gli attaccapanni, una delle tante piovose mattine un po’ buie di mezzo inverno. La compagna di classe più bella aveva un impermeabile trasparente, con la scritta Vagabond che ci pareva così esotico. Dalla biblioteca l’insegnante aveva portato le Favole al telefono di Gianni Rodari. La copertina, ornata degli “ingegnosi scarabocchi” di Bruno Munari, riproduceva il classico disco telefonico con i fori per le dita. Un paio di storie riaffiorano nella memoria, forse lette in classe, forse a casa. Era un volume molto richiesto alla biblioteca, dove potevi prendere in prestito i libri di settimana in settimana.
Finito il lavoro col leccio, quasi senza una meta arrivo fino all’Esselunga di Via Canova, con l’intenzione di mangiare le linguine al sugo di pesce nell’area ristorante. Faccio prima un giro al supermercato e mi ritrovo, fra i pochi titoli accanto a giornali e periodici, la nuova edizione di Favole al telefono. Non mi sorprendo più di tanto, essendo da lunga pezza abituato a oggetti che si richiamano in sconcertanti concatenazioni o che riappaiono, a distanza di anni, in strane coincidenze, sotto forma concreta o anche simbolica. Ho un cugino filosofo, e lui dice che la forma simbolica indica un livello superiore della coscienza in un ordine che darebbe un senso alle nostre vite.
Curiosamente non avevo posseduto mai quel libro e stavolta l’ho preso. E’ sempre edito da Einaudi, e mi disturba un po’ la collana in cui è stato confinato, “Einaudi ragazzi”. Come tutti i libri di Rodari sarà anche per i ragazzi ma qualsiasi adulto saprà trovarci ispirazione e valore letterario.
Ai tempi della Scuola Svizzera, il libro – uscito nel 1962 – era ancora abbastanza recente: una quindicina d’anni. Oggi non ha perso nulla della sua allegra e fresca capacità d’invenzione e anzi sembra ancora più originale nella sistematica banalità del nostro mondo.
Leggere o rileggere le Favole al telefono, che sono ormai un classico non solo della letteratura per l’infanzia, significa far rallentare il tempo e gettare lo sguardo in uno di quei caleidoscopi che negli anni dell’asilo ci affascinavano tanto.
Era la luce del mattino o quella che rifletteva bizzarre scie di colore attraverso i vetri opacizzati delle finestre. Un mondo in cui la magia sapeva convivere con la realtà e quasi trasfigurarla; allo stesso modo le parole, le frasi, le storie di questo libro cangiante si combinano in una successione di eleganti sfumature dove l’ironia e la freschezza compiono ogni volta il miracolo della letteratura.
E questo è anche un libro che sa prendersi gioco dei luoghi comuni e lo stravolgimento del linguaggio non è altro che un invito a liberarsi dagli schemi ma anche a non trascurare mai i valori della tolleranza e dell’amicizia che queste favole mettono in rilievo con discrezione e giocosa leggerezza. Mi pare la stessa leggerezza di cui parlava Italo Calvino in una delle sue Lezioni Americane.
