Alcune note su Spark

Lo so, è un tema apparentemente logoro ma credo sia sempre utile puntualizzare alcuni aspetti essenziali per comprendere un fenomeno che ha caratterizzato il settore di questi ultimi vent’anni. Sto parlando di Spark e delle reazioni contrastanti che il marchio di Ripert suscita nei collezionisti.

Quante volte ci siamo avventurati in considerazioni, confronti e possibili conclusioni? Tante. E pure in un mondo che ha tanti di quei problemi da rendere la questione praticamente inutile a livello sociale e macro-economico, azzardiamo ancora qualche commento. Pazienza se sembrerà stucchevole o ridondante.

Visto che su Facebook e su altri social la polemica monta con inesorabile ciclicità, iniziamo con uno degli argomenti principi della difesa a spada tratta di un marchio come Spark. Quante volte, criticando questo o quest’altro aspetto, ci si sente rispondere: “eh ma tu gli dai contro perché non te li puoi permettere”. Questa secondo me è un’argomentazione talmente labile da non meritare quasi alcuna risposta. A parte il fatto che da commerciante ho accesso a tutta la gamma di Spark, edizioni nazionali comprese, a prezzi che il normale utente se li scorda, perché dovrei criticare qualcosa che non potrei permettermi? Probabilmente perché da parte di chi muove questa osservazione si dà un’importanza assoluta alla quantità. Il compratore di Spark spesso è un accumulatore compulsivo che pensa che più modelli riesci a stipare in casa, più sei meritevole, ignorando – consciamente o no, questo non saprei dire – che esistono tanti altri criteri che non prevedono necessariamente l’imperativo di comprare centinaia di pezzi al mese per sentirsi migliori o più soddisfatti. Fra questi, il criterio della rarità. Uno Spark, anche il più astruso, con un minimo d’impegno si trova. Provate a trovare un Edil Toys in condizioni eccezionali, una prova di colore di un Corgi o il master in legno di un Solido. Bello perché in calce a quelli che giornalmente su Facebook postano le foto dei loro acquisti, trovi i loro devoti ammiratori sempre prodighi di reazioni del tipo “complimenti”, “congratulazioni” e così via. Ma congratulazioni di che? Perché sei andato su eBay e ti sei fatto spedire da chissà dove una scatolina per corriere che ti è arrivata dopo due giorni? Cose, queste, che faticherò sempre a capire.

Sempre sui social è tutto un fiorire di “grazie Spark”, “eh se non ci fosse Spark”, “ma come facevamo senza Spark” e via cianciando. Direi che in linea di principio Spark ha soddisfatto quelli che miravano esclusivamente a colmare dei buchi nella propria collezione, senza guardare (o guardandoci poco) al valore storico di ogni singolo modello. Sono quelli cinque minuti dopo che Spark annuncia una determinata referenza, vendono il proprio kit Starter, Provence Moulage, Automany, Arena, Marsh, Mini Racing o quello che volete. Del resto anche a suo tempo i collezionisti non erano certo felicissimi di affastellare centinaia di kit negli armadi, con la prospettiva di non vederli mai montati, a meno di non disporre di una costosissima squadra di montatori disposti a lavorare in esclusiva. Spark ha quindi facilitato enormemente le cose, soprattutto dal punto di vista della verniciatura. Lo stesso Luigi Reni mi diceva che l’idea geniale era stata quella di evitare al collezionista medio la rogna di dover preparare la carrozzeria, stuccarla, verniciarla e magari di dover ripetere l’operazione due o tre volte se non si erano raggiunti i risultati sperati. Con un kit in resina, poi, le cose diventavano enormemente più penose in caso di errore. Negli anni ’80 e ’90 se volevi una collezione di Le Mans o di Formula 1, di vetture dell’Euroturismo o del mondiale rally dovevi rimboccarti le maniche e affrontare il mostro, che poteva assumere le forme di un kit Renaissance Intégral o di un transkit Robustelli per l’Heller. Chi era veramente bravo ce la faceva con grande soddisfazione. Per gli altri, un grande scorno e la magra consolazione di marchi del diecast come Vitesse, Quartzo, Trofeu o Minichamps, che di tanto in tanto si facevano venire qualche idea veramente originale, ma nessuno neghi che per il collezionista scafato un diecast restava sempre un diecast, ossia fondamentalmente un giocattolo – quindi un compromesso. Spark ha spazzato via tutto questo mondo fatto di sottili dispiaceri e serpeggianti malcontenti. Questo le va riconosciuto. Ma il rovescio della medaglia è l’eccessiva standardizzazione e l’appiattimento della qualità generale delle collezioni.

Non parlo dell’attualità, perché in quella Spark è maestra. Oggi la qualità di una Peugeot 9X8, di una Porsche 963 o di una qualsiasi Hypercar o di una qualsiasi GT3 sarebbe impossibile da raggiungere per un produttore artigianale, sia con i kit sia con dei montati. Basti pensare solo ai tetti cromati delle LMP1 e delle LMP2, delle intricatissime appendici aerodinamiche o alle complesse livree che ricoprono le carrozzerie della maggior parte delle vetture da corsa dei giorni nostri. Su altri campi, però, Spark sarà forse il marchio più economico ma sicuramente non quello in grado di assicurare il miglior livello di dettaglio. Una Lola o una Chevron Gruppo 6 degli anni ’70 montate da un bravo specialista anche solo da una semplice base ReStart saranno in grado di dare dei punti allo Spark uscito l’altro giorno. Certo, ci vuole documentazione, abilità e molta pazienza.

Fin qui ho affrontato solo marginalmente un punto che mi pare invece fondamentale; volendo “giudicare” gli Spark, è necessario partire da una premessa in grado di cambiare anche completamente il risultato del ragionamento. Si è più interessati al soggetto in sé o si dà anche importanza alla storia del modello, alla marca, alle persone che l’hanno prodotto e al contesto in cui è stato commercializzato? Io personalmente do forse più importanza a questo secondo aspetto piuttosto che al primo, anche perché tante auto ho avuto la fortuna di vederle e toccarle direttamente e non ho quindi bisogno di mettermi in casa dei simulacri che mi ricordino questa o quell’altra vettura. A ciò preferisco oltretutto libri, memorabilia e fotografie, che mi fanno sentire molto più vicino a una gara o a un marchio rispetto ad un semplice modello. Capirete di conseguenza che mi fanno abbastanza ridere quelli che inseguono ovunque piloti per far loro autografare le basi o i coperchi in plexiglass delle scatole, rimediando oltretutto malformi scarabocchi che potrebbero essere stati fatti dal primo che passa. Ma questa è un’altra storia che non è il caso di approfondire ora. Ultimo aspetto. Mi sento dire: “ecco, sì, tutto vero. Ma alla fine gli Spark sono quelli che conservano il miglior rapporto qualità prezzo”. Non sono d’accordo. Questi modelli costavano 45-50 euro. Non sto parlando di un secolo fa. Oggi siamo sugli 80-90 e la loro qualità non è aumentata in modo proporzionale. Abbiamo sempre cerchi in plastica che si squagliano e quelle mutande di pellicola trasparente che nel peggiore dei casi richiamano i Safir anni ’70. Certo, le decals degli Spark non finiranno per ingiallire come quelle dei Safir ma l’effetto è comunque evidente se li si osserva con un minimo di occhio critico. Tornando ai cerchi, molti dei BBS sono mal realizzati, col l’elemento interno che naviga sul fondo della ruota, lungi dal creare un effetto realistico. Entri a Le Mans nel negozio Spark e sembra tutto bellissimo, luccicante, attraente. Fa parte della strategia di marketing, sapientemente orchestrata. Ti illudi di trovarti nel negozio di speciali ideale, quello che ti sognavi negli anni ’80 e che invece non esisteva manco per niente, visto che né la BAM, né Milano43, né Danhausen possedevano in stock tutti quei modelli montati. Se li volevi, Tron, Teissèdre o Lang ti dicevano: “prego, si accomodi, qui ci sono 30mq di kit, scelga pure, può anche lasciarceli che glieli facciamo montare”. Per alcuni, contestare che il rapporto qualità-prezzo degli Spark sia il migliore in circolazione è come mettere in discussione una specie di dogma. Eppure, dipende dalle premesse. Se l’alternativa è quella di uno Starter montato in modo mediocre che potrebbe esserti costato 120 euro, allora la bilancia pende a favore di Spark, che ha dalla sua anche la sconfinata scelta di soggetti. Se invece il metro di giudizio è l’esigenza di una raccolta che punti ad una qualità oggettivamente superiore, includendo nel criterio dettagli come ruote a raggi più fedeli, vetri non plotterati, cinture di sicurezza riprodotte con nastro e fotoincisioni e non in decal, allora il discorso assume valori diversi che non necessariamente fanno preferire il modello che costa meno. A ciò va aggiunto il gusto per la storia, per la rarità e per le vicende di ogni singolo marchio: sono criteri di giudizio soggettivi e questo non sarà mai ripetuto a sufficienza; però, pensare che Spark sia sempre e comunque la miglior soluzione è un ragionamento falsato da premesse solo verosimili, quindi destinato a essere confutato con relativa facilità.

Dipende, tutto sommato, da quale suggestione ti evoca un oggetto, un qualsiasi oggetto. Ho spesso parlato su PLIT dei modelli dei pezzi che mi emozionano: sono quelli della rubrica Modelli del passato, ma anche altri, non necessariamente vecchi o antichi. Leggendo o rileggendo quelle brevi recensioni potrete capire come mai posso fare tranquillamente a meno di uno Spark pur riconoscendo il valore tecnico e commerciale di un marchio che ha rivoluzionato il mondo dell’automodellismo.

Nella foto di apertura, una delle due Peugeot 9X8 in serie speciale realizzate da Spark in occasione della 24 Ore di Le Mans 2024. Per alcuni uno status symbol, per me una semplice occasione di guadagno. In questo, Spark può essere davvero una buona fonte di speculazione, avendo i contatti e le informazioni giuste.

4 pensieri riguardo “Alcune note su Spark

  1. Articolo ampiamente condivisibile, quantomeno dal sottoscritto. I modelli Spark a cui punto sono quelli di oltre dieci anni fa ai prezzi di oltre dieci anni fa, come rammentato nell’articolo. Un conto sono i modelli nella confezione di latta dei primi anni ’00, un altro sono gli attuali modelli sparati a raffica per accontentare in tempo quasi 0 le masse. E a 80 euro al pezzo, il gioco non vale più la candela… Gabriele

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  2. concordo in stra pieno !!! Purtroppo i mediocri collezionisti/modellismo di oggi non hanno neppure idea di quel che parlano . Non nego . Pure a me brillano gli occhi di fronte ad una hypercar spark , ma il pezzo “particolare” , è un’altra cosa . Tempo fa in un forum , ho dichiarato senza mezzi termini , che la mia collezione farebbe impallidire più di una collezione . Modelli e kit ormai introvabili e che spark riproduce a pieno regime a “pochi” euri …. Entrare da Milano 43 , non troppi anni fa , è altra roba .

    Dario rossa

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  3. La traiettoria compiuta da Spark dall’anno della sua fondazione ad oggi, rappresenta perfettamente (anche se in scala) quanto avvenuto a livello socio/economico nel mondo nello stesso arco temporale.

    Parlo di delocalizzazione e di tutto quello che ne è scaturito, appunto, a livello sociale ed economico.

    I prezzi super concorrenziali degli inizi, quelli che dovevano servire a fare breccia, si sono sempre più adeguati agli standard occidentali mano a mano che la posizione diventava sempre più dominante sul mercato.

    Nulla di nuovo, inedito, roba già vista in altri mille settori.

    I continui aumenti però producono due effetti concreti nel breve periodo, almeno secondo me.

    Il primo riguarda la clientela, i collezionisti si stancano perché ognuno di loro ha idealmente fissato un tetto di spesa che, prima o dopo, i prezzi dei modelli raggiungono…

    Il secondo è più pratico, più aumentano i prezzi, infatti, maggiori sono i margini di guadagno… E maggiore è il rischio che qualcuno investa in quel settore e venga a farti concorrenza. Non parliamo certamente di un settore altamente tecnologico che necessita di grossi credermi o specifiche conoscenze…

    Una parziale risposta a questa mia “teoria” è data dalle raccolte da edicola, oggi più floride che mai perché ancorate ad un prezzo di “copertina” ritoccato giusto per questioni legate all’inflazione.

    È ovvio che non parliamo, nel caso delle collezioni da edicola, di modelli premium, sono però modelli con un rapporto qualità/prezzo capace di accontentare molti e che, comunque, nella loro rusticità difficilmente cadono negli errori commessi da Spark.

    Saluti

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    1. Osservazioni che mi sento di condividere in larga parte. Quello di Spark è un rapporto qualità-prezzo vantaggioso solo per certi versi; per altri si tratta di una sensazione illusoria, creata ad arte, sulla quale il marchio ha saputo vivere con profitto per anni e anni. Meglio per loro ma ho l’impressione che il giocattolo si stia rompendo anche se su Facebook non sono rari i casi di collezionisti che giurano che per loro la qualità sarà sufficientemente alta anche quando costeranno 100 euro. Forse la soglia psicologica è proprio quella del prezzo a tre cifre, vai a sapere. Fatto sta che la qualità – come ho già scritto – non è migliorata, anzi, in qualche caso è anche scesa. Non so se i prezzi più alti assicurino necessariamente margini più elevati: di recente i produttori devono fare i conti con i costi sempre più elevati dei trasporti dalla Cina o da chissà dove e con il calo della domanda. La prima mossa che fai quando le vendite calano è ripartire i mancati introiti sugli esemplari venduti. E il problema non riguarda certo solo Spark.

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