Per chiunque abbia dimestichezza con le auto, Lancia Delta significa automaticamente Biasion, Kankkunen, Alen e Auriol. Per me no. La Lancia Delta mi ricorda una settimana bianca del 1982 a Leontica, un posto sperduto in Val Blenio nel Canton Ticino. Dopo un viaggio fantozziano in treno con l’ultimo tratto in autobus, arrivammo alla Casa Montana, una specie di albergo che avrebbe ospitato la nostra scuola in quella disgraziata settimana. Ci accolse una bufera di neve aberrante. Scoprimmo presto che l’unico posto pubblico era un negozio, semplicemente nominato… Negozio, da dove potevi cercare di telefonare a casa e comprarti un paio di stecche di cioccolato Ragusa con una bottiglietta di Rivella. Avevo 11 anni e quello fu il mio impatto con gli sci, che dopo poco mi avrebbero dato molte soddisfazioni a livello sportivo ma lì decisamente partì male.
Improvvisamente ero regredito di tre o quattro anni, io che passavo tranquillamente settimane da solo durante l’estate a Unterägeri senza rompere le scatole a nessuno perché venisse a riprendermi. Quella volta, invece, andò tutto storto e dopo appena un giorno e mezzo eccomi a cercare in tutti i modi di recuperare un mezzo che mi riportasse a Firenze. Fortuna volle che la mia compagna di classe G. condividesse gran parte delle mie idee su Leontica e dopo uno scambio di telefonate tra famiglie sempre più infastidite e/o sgomente, venne deliberato che i suoi genitori mi avrebbero dato un passaggio insieme a lei fino a Sesto Fiorentino, dove abitava.
Quella mattina, ovviamente, non andammo con gli altri a sciare. Avevamo impacchettato tutte le nostre cose e ce ne restammo in una delle stanze della Casa Montana a ciarlare del più e del meno. In mancanza di reali alternative, decidemmo di rimettere a posto le sedie del refettorio, appoggiandole sui tavoli come voleva il regolamento. Parlammo dei guanti da sci, un po’ della scuola e di quella sgangherata avventura nella quale non ci eravamo certo coperti di gloria ma l’occasione di tornare a casa era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.

Arrivarono i suoi e fui felice di constatare che avevano una Lancia Delta. La classica famiglia che con qualche sacrificio aveva raggiunto una certa agiatezza. Al momento di cambiare l’auto dovevano aver pensato: “la Ritmo no, troppo plebea; la Golf e la Horizon neanche, troppo esotiche”. La Delta poteva essere un giusto compromesso tra la seduzione di un lusso non sfrenato né ostentato e la necessità di restare coi piedi per terra evitando le sirene di una BMW o di una Mercedes. Salii con curiosità su quella Delta e di quel viaggio ho qualche breve flash: il lago di Lugano che scorre alla mia destra, una sosta su un’area di servizio sulla Milano-Bologna con la mamma della mia compagna che mi dice: “G. mi ha detto che hai paura”. “No”, risposi. E pensai: “Paura di che?”.
G. era già una bella ragazza, che negli anni aveva vinto tante crisi di timidezza e di feroce nostalgia di casa anche in normali mattinate di scuola, soprattutto all’inizio. Aveva una bella voce e occhi vivaci; era calorosa ed espressiva. “Ho visto i tuoi occhi brillare alla luce”, pensavo di dirle, e me lo ripetei per decine di volte durante il viaggio.

L’accoglienza dei miei fu fredda. Che vergogna un figlio che molla così come un moccioso. E a pensarci bene non avevano neanche tutti i torti.
Restai con G. ancora un po’ a casa sua – una villetta ampia ma stranamente sgombra, pochissimi mobili e ancora meno decorazioni. Un po’ buia, anche. Decisi che quella frase a effetto gliel’avrei detta di lì a qualche giorno, quando i vittoriosi di Leontica sarebbero tornati gloriosamente a Firenze Santa Maria Novella, loro sì nei tempi previsti e non quarantotto ore dopo la partenza.
Lunedì il rientro. Salgo le scale, lei è in alto appoggiata alla ringhiera del mezzanino e ripeto a me stesso: “Ho visto i tuoi occhi… ho visto i tuoi occhi… ho visto i tuoi occhi…”. Cerco di non guardarla: “ho visto i tuoi occhi… ho visto i tuoi occhi…”.
Ultima rampa, alzo lo sguardo. La sua mano si agita. “David! Hai una scarpa slacciata!”.
“Ho visto… grazie”.
Della settimana bianca non si parlò più ma la sua Lancia Delta me la ricordo e i suoi occhi lo stesso.
E quanti ricordi sarebbero svaniti nel nulla senza il disperante aggancio della nostalgia legata alle auto, che sono per noi la vera macchina (eh sì) del tempo. Come i suoi, del resto. A distanza di oltre quarant’anni, all’interno di un gruppo di Facebook dedicato agli ex alunni della mia scuola, non si ricordava neanche di quale auto avessero i suoi. Penso che la solitudine sia avere dei ricordi e nessuno con cui condividerli; mi sono reso conto una volta di più che la memoria può far male ma non è un dono di tutti.
Giorni fa a Novegro è spuntata una Lancia Delta stradale della Hot Wheels. Neanche mi ricordavo che l’avessero fatta. Un epigono estremo dei Mebetoys. Non era un segnale di G. – quella non si ricorda nulla – ma giusto un riconoscimento del caso che a volte sa dare un senso a ciò che ti ha accompagnato per una vita.

Riccardo Fontana
Bello. Tutto.
Carpe diem…
"Mi piace"Piace a 1 persona
Questi pezzi in cui David racconta di sé sono tra quelli che preferisco. Oh memories…
"Mi piace"Piace a 1 persona