A l’est du Pecq

testo e foto di Riccardo Fontana

Gli anni ’70 e ’80 hanno rappresentato nel mondo dell’1:43 un periodo di estremo cambiamento, contrassegnato dalla sparizione praticamente completa dei “giganti” che avevano sin li dominato il mercato (con l’esclusione di Solido, che comunque non se la passò affatto bene da un certo punto in poi) e l’avvento – più per necessità collezionistiche che altro – di un nuovo modo di intendere l’automodello: si sviluppò il fenomeno del modello speciale e tramontò – più per negligenza e scarsa lungimiranza delle proprietà che non per effettivo calo delle vendite – il die-cast classico, che si trovò comunque molto ridimensionato a livello di offerta e, certamente, assai semplificato nella concezione.

Questo è un assioma valido per l’occidente, ma non è assolutamente valido universalmente: proprio mentre “da noi” il die-cast di pregio tramontava, nel luogo più improbabile che fosse lecito immaginarsi – l’URSS, CCCP per gli amici – si sviluppava un filone automodellistico completamente nuovo, molto simile per molti aspetti a quanto l’Europa aveva appena finito di vedere col boom degli anni ’60, ma estremamente peculiare e legato alle realtà locali, come solo certe produzioni di epoca sovietica sapevano essere.

Per una volta Solido non è responsabile di nulla, ma le “colpe” della nascita del die-cast sovietico di pregio sono comunque da far risalire all’esagono, nella fattispecie alla bella Moskvitch 408 proposta da Dinky Toys France verso il 1968, che venne vista, toccata con mano e molto apprezzata da qualcuno oltrecortina (praticamente Dobbiaco ed altre località simili, questa l’ho rubata a Marco Paolini ma va bene lo stesso, n.d.a.) che decise che anche in URSS si poteva produrre qualcosa di simile.

Nacque dunque una copia della Moskvitch 408 DTF, che vide la luce nel 1971 con la referenza “A1” e fu il Saratov numero uno.

Saratov? Ehm… No.

Quando ci si riferisce ai modelli russi etichettandoli genericamente a Saratov, si commette il più classico degli errori: in CCCP non esistevano iniziative industriali private, ed allo stesso tempo anche i marchi in senso occidentale non esistevano, perché tutto era prodotto direttamente dallo stato.

In particolare, Saratov è semplicemente la regione geografica in cui sorgevano i laboratori delle città di Tantal e Radon (solo a partire dalla fine del 1977) dove venivano prodotti questi modelli, che sono di fatto senza marchio: va fatto notare a tal proposito come anche la dicitura “Novoexport” sia in realtà l’ente statale che si occupava di esportare all’estero qualunque cosa dagli automodelli alle Lada (altra definizione totalmente a pro di occidente per il VAZ) ai MIG da caccia.

La città di provenienza (ed anche la data di produzione) si può, spesso e volentieri ed a patto di masticare un po’ di alfabeto cirillico, vedere impressa nelle alette delle scatole di questi modelli, che riportano l’oblast di nascita delle produzioni.

Parallelamente ai “Saratov”, esistevano decine se non centinaia di altre produzioni sparse nelle più svariate città dell’URSS, come Tbilisi, Kiev (ebbene sì), Kherson (ebbene sì/2), Zhaporizha (ebbene sì/3) e moltissime altre, che producevano un po’ di tutto dalle copie orientali dei nostrani Politoys e Mebetoys a riproduzioni originali di vetture sovietiche di qualità e ricercatezza peggiori di quanto proposto nella regione di Saratov, che rimase sempre una punta di diamante per qualità e ricercatezza della produzione: l’Argus de la Miniature a fine anni ’80 ricostruì – senza peraltro scostarsi molto dalla mera catalogazione di quanto prodotto – l’intero filone sia sovietico che degli stati satelliti, in oltre trenta numeri, componendo forse l’opera più puntuale e dettagliata ad oggi disponibile sull’argomento (da cui il titolo dell’articolo, che apriva ognuna delle sezioni dedicate sugli Argus incriminati).

La Lada 2121 Niva è uno dei modelli più famosi della produzione russa. Questo è un esemplare post-1991 ma con ancora le caratteristiche del vecchio stampo

Il primo modello “Saratov” fu dunque una Moskvitch 412 (in realtà dalla 408 DTF si ricavò inizialmente la 412, più di attualità ancorché praticamente identica alla 408), e solo in un secondo tempo nacque la 408 sovietica, che venne numerata “A1” con la 412 rinumerata “A2” (la 412 “A1” è pertanto uno dei più rari modelli russi, nonché la primissima prodotta), ma quasi subito la produzione si espanse: dalle infinite declinazioni della Moskvitch (giardinetta, furgone , pick-up, fari tondi, doppi fari tondi, fari quadrati, eccetera eccetera) si passò ad altri modelli, con la nascita nel 1976 del filone Lada, contestualmente all’apparizione delle referenze “A9” ed “A11”, ovvero le 2101 e 2102, la Zighuli berlina e station wagon.

Ora, per quanto i russi tendano da sempre a ricondurre ad uno studio totalmente interno la nascita della Zighuli “Saratov”, le parentele con la 124 prodotta da Norev per la serie Jet Car appaiono molto strette e difficilmente negabili, ad ogni modo la serie si arricchì in seguito di modelli incontestabilmente originali, come le GAZ-Volga 24, le ZIL e ZIS governative, le UAZ 469 e 452, la Lada Niva e le versioni anni ’80 della Zighuli (2105 e 2107), contraddistinte da 6 aperture e da una finezza di dettaglio impressionante: modelli che somigliano decisamente più a degli Ediltoys mancati che non alla media dei die-cast del periodo.

Il rovescio della medaglia fu una qualità dei materiali e della finitura non sempre ineccepibile: verso il 1976-1977 ci furono grossi problemi di spazio nel laboratorio di Tantal, con la crescita esponenziale delle esportazioni che saturava lo spazio a disposizione e portava a non lasciar correttamente raffreddare i modelli prima di procedere alla verniciatura, con la conseguente fioritura di bolle sulla verniciatura e di notevoli fenomeni di metal fatigue, mai del tutto eliminati ma sempre abbastanza circoscritti a periodi e fasi produttive ben definite.

Nel 1986 sparirono le referenze dai fondini, e questo è un macro-indizio per procedere alla datazione di modelli sia con che senza scatola, così come la presenza di iscrizioni solo in cirillico prima del 1983, integrate da altre in idioma occidentale a partire da questa data (vedasi il “made in USSR” comparso sia sulle scatole che sui fondini delle Lada 2105 e 2107).

Modelli di grande finezza dunque, contraddistinti da una volontà “superiore” di ricercare il dettaglio distintivo tra le varie versioni: pensiamo ad esempio alle suddette Lada 2105 e 2107, che differivano per la calandra e per lo stampo del cofano anteriore, in anni in cui Vitesse – nostra punta di diamante nel settore die-cast – non si faceva problemi a produrre le Peugeot 205 Turbo 16 della Dakar con la scocca corta delle Gruppo B da Rally.

Non c’è mai stato un vero stop alla produzione di questi modelli, anche se nel 1994 c’è stata per la prima volta la nascita di un vero marchio ad essi collegato, con la riconduzione alla firma AGAT (spesso storpiato in ARAT dagli occidentali per la somiglianza dell’idioma cirillico con questa sigla) di tutta la produzione della regione di Saratov.

Persino oggi questi modelli sono disponibili: seppur confinati ad una realtà semi-artigianale e messi in relativa crisi dalla produzione cinese – soprattutto edicolosa – che nella Federazione Russa spopola esattamente come dalle nostre parti, è possibile con un po’ di fatica trovare ancora dei “Saratov” nuovi.

Si parla di ordinativi minimi di 200 unità, ma francamente si tratta di un universo troppo distante (ed il clima attuale di certo non aiuta) per potersi esprimere con vera esattezza al riguardo.

La serie dei “Saratov” si è fatta nel tempo molto nutrita, e nemmeno auto d’epoca insospettabili come la Russo-Balt dello Zar Nicola II, unico modello per la cui progettazione le maestranze non poterono studiare un veicolo reale ma solo vecchie foto e vecchi filmati di epoca zarista, furono tralasciate, arrivando a comporre un bellissimo museo in scala della motorizzazione dell’est, composto da modelli estremamente fini e dettagliati, che dopo decenni di disinteresse quasi completo stanno finalmente godendo del giusto interesse tra i collezionisti di modelli obsoleti, con quotazioni in fortissima ascesa, soprattutto per versioni particolari come forze dell’ordine, taxi, Aeroflot, o Olimpiadi di Mosca 1980.

Come al solito, nel piccolo mondo dell’1:43 gli spunti di stranezza e curiosità non mancano mai.

Nota di David Tarallo: Della produzione russa, PLIT non si era mai praticamente occupato. E dire che si tratta di un argomento di grande interesse, ma molto, molto complesso, per varie ragioni. Ricordo che intorno al 2001-2002 avevo un corrispondente che lavorava a Salekhard, all’estremo nord della Russia, che era un grande conoscitore di questi modelli. Era in grado di procurarmi quasi tutto delle produzioni passate e attuali, fra cui c’erano anche diverse edizioni semi-artigianali che venivano realizzate e completate all’interno delle fabbriche dove si producevano i modelli standard. Essendo quasi impossibili i pagamenti in moneta, decidemmo di procedere a forza di scambi: io gli mandavo Vitesse, Minichamps e altri marchi europei (soprattutto vetture stradali, le sue preferite) e lui mi inviava quello che io via via sceglievo su uno dei siti di riferimento della catalogazione di modelli russi, che credo sia ormai off line da almeno una decina d’anni. Grazie a quel collezionista mi sono potuto procurare pezzi che in Europa quasi nessuno conosceva.

6 pensieri riguardo “A l’est du Pecq

  1. Mi ripeto, ma mi stupisce sempre leggere queste storie di modelli di Riccardo Fontana, che è praticamente un bambino (rispetto a me, beninteso!).

    Mi stupisce la sua competenza e mi stupisce la sua passione nello scrivere di epoche che non ha vissuto! Imparo sempre qualcosa da lui, complimenti e continua!

    PS Nella mia variegata e disordinata collezione non mancano i modelli sovietici, tra cui alcune curiosità. Manderò un po’ di materiale a David che, se riterrà, potrà utilizzare per arricchire l’ argomento.

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    1. Grazie Marco. In tutte le discipline, una conoscenza approfondita te la fai da giovane, almeno nelle basi. Dopo ti migliori, ma i fondamenti li costruisci presto. Io ho iniziato a scrivere su Four Small wheels a 23 anni e anche di cose che non avevo visto in prima persona, ma la voglia di misurarmi era tale che mi documentavo, mi informavo, andavo a cercare. Riccardo ha 33 anni, non 13. Solo in Italia a 33 anni sei considerato un ragazzino.

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    1. Vabbè, è uguale. Volevo semplicemente dire che è raro, ma ne ho conosciuti che a meno di 35 anni potevano contare su una competenza come la tua. Sono pochi, è vero, ma ci sono. Ed è una prerogativa necessaria per fare strada. Dopo, ripeto, è troppo tardi, resti un dilettante.

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  2. Articolo interessantissimo di cui ti ringrazio perchè in questo modo ho finalmente dato un nome ed una storia a dei bei modelli conservati gelosamente nella mia altrettanto disordinata collezione. Ora mi hai costretto a dare la caccia a quella meravigliosa riproduzione della Lada 2017 di cui non conoscevo l’esistenza per accrescere la collezione delle auto con 4 portiere apribili!

    Grazie e complimenti.

    Renato Scotti di Uccio

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