Alla fine degli anni ’90 ero già vecchio dentro e spesso mi capitava di criticare le asfittiche e patinate uscite di Modelli Auto, che dopo un inizio decente stava imboccando la china verso l’inutilità assoluta, obiettivo centrato in pieno prima della temporanea chiusura. Molti mi davano del matto chiedendomi cosa avessi in mente come alternativa. Quattroruotine, per parte sua, non era meglio, pur trattando fondamentalmente tematiche differenti. Altre riviste estere se la cavavano meno peggio.

C’era ancora Modelauto Review, Model Collector era tutto sommato accettabile e la francese AutoModélisme, diretta da Jean-Marc Teissedre, avrebbe fissato nuovi standard di qualità per dei prodotti tutto sommato “mainstream” (quasi tutte queste testate si trovavano in edicola, dovendo quindi venire a compromessi con editori, distributori e agenzie pubblicitarie).
Ma il mio ideale era altro e ovviamente si era già perso per strada. Spesso, in alcuni articoli, ho parlato di uno stile inglese, non solo quanto ai montaggi ma anche riguardo all’editoria. In breve, si tratta di un modo molto analitico di pubblicare, con articoli densi e pieni di documentazione, il tutto con un’impaginazione all’apparenza povera ma di sostanza, densa e seria nella sua concezione che definirei quasi scientifica, pur senza allontanarsi da un humour tipico del posto.






Esisteva ancora, agli inizi degli anni ’90, una rivista che incarnasse quello spirito. Si trattava di Pit Road, che pochi ricorderanno ma che ha avuto la sua importanza nella divulgazione della cultura automodellistica. Le pubblicazione di questa rivista dall’aspetto umile e dimesso iniziarono nel 1979, grazie all’iniziativa di Wyn Edwards e John Redding. In effetti, nel panorama europeo, una testata che si dedicasse all’approfondimento dei montaggi e della ricerca di documentazione mancava.
C’erano stati tentativi soprattutto in Francia ma a confronto con quanto si poteva trovare nell’ambito del plastimodellismo, il cosiddetto automodellismo speciale faceva ben magra figura. Basti pensare che alla fine degli anni ’70, solo nel Regno Unito, esistevano oltre dieci riviste che trattavano i kit in plastica, con particolare riferimento all’ambito militare. L’idea fu quindi quella di trasporre nel settore degli speciali la metodologia che altre categorie del modellismo applicavano da almeno quindici anni se non di più.






Nacque quindi Pit Road, la “strada dei box”, che avrebbe dovuto condurre modellisti e collezionisti attraverso un percorso di approfondimento e di conoscenza di cui si sentiva in effetti un gran bisogno. Il primo numero, uscito nella primavera del 1979, mostrava appieno gli intenti della redazione: analisi sulle livree delle vetture (si iniziò con la Arrows-Ford FA1 e con l’ATS-Ford HS1, riprodotte entrambe da John Day nella serie Mini-Auto, e con la Brabham-Alfa BT46), consigli di montaggio, schemi di colori, recensioni approfondite di kit, montati e diecast; interessante, proprio in quel primo numero la recensione, con relative indicazioni di miglioramento, della Porsche 936/77 Le Mans 1977 in 1:24 di Tamiya.






La foliazione di Pit Road si attestava sulle 22-27 pagine. I vari fascicoli erano sempre strapieni di informazioni preziose, soprattutto in un’epoca in cui reperire foto e disegni era tutt’altro che semplice e scontato. Il tema più battuto era probabilmente la Formula 1 ma non mancavano servizi su vetture endurance, turismo, GT e rally, oltre che su monoposto di altre categorie, come la Formula 2, che in quegli anni godeva di molta popolarità. La cadenza della rivista era quadrimestrale, in pratica un numero per stagione. Dal numero 5 (primavera 1980) venne introdotta una copertina con due fasce colorate. La redazione aveva sede nel Gloucestershire, inizialmente a Brimscombe, Stroud poi si spostò all’indirizzo più conosciuto del Lypiatt Cottage a Miserden, vicino a Stroud. Pit Road rispecchiava lo spirito che Osprey o Patrick Stephens erano per l’editoria libraria o i modelli in metallo bianco di Somerville, Western, Auto Replicas o SMTS erano per il settore degli speciali: vi si mescolava in quel mondo ingenuità e serietà, volontà e onestà intellettuale, in un approccio destinato a non essere mai capito del tutto né in Italia, né in Francia né altrove. Pit Road era comunque letto all’estero e ad esempio l’Equipe Tron di Loano vendeva con regolarità i fascicoli.






Diversi collaboratori come Eddie Fitzgerald, James Stanton, George Maxwell, Glyn Parham, Mark Nicholls o John Simons di Marsh Models pubblicavano articoli di ottimo livello su Pit Road, mettendo a disposizione dei lettori la loro competenza: ricordo ancora una stroncatura del kit della Ferrari 330 P3 Spyder di AMR-Annecy da parte di Simons che alla fine dell’articolo scrisse che il suo modello l’aveva già rivenduto e arrivederci. Pit Road era un’eccezionale fonte in un’epoca in cui la comunicazione tra modellisti era problematica.












Nel 1981 la redazione mise a disposizione alcuni chip di vernice presi direttamente dalla Ferrari 312PB incidentata a Brands Hatch nel 1971, per ottenere un colore quanto più vicino al reale. Pit Road estese negli anni la propria rete di collaboratori, alcuni dei quali ovviamente anche all’estero: in Italia, tanto per fare un esempio, c’era Fabio Ravaioli, ottimo disegnatore e modellista, destinato a una carriera nella comunicazione e nel giornalismo.






Alla metà degli anni ’80 Pit Road raggiunse probabilmente il suo picco di qualità e accuratezza, anche se i costi iniziavano ad essere piuttosto pesanti per una piccola redazione amatoriale, probabilmente anche considerando il numero abbastanza esiguo di lettori.

L’inizio della seconda decade di Pit Road venne festeggiato col numero 40, uscito il 10 gennaio 1989. La rivista si avviava verso gli anni ’90 con contenuti sempre di alto livello ma con sempre maggiori problemi legati ai costi ma anche all’organizzazione generale. Iniziarono alcuni ritardi nell’uscita: il numero 46 (ottobre 1990) arrivò con due mesi di ritardo e coincise con la partenza di Edwards, oltre che con quella di Graham Ewan, rappresentante di Pit Road negli Stati Uniti, il cui apporto era stato decisivo negli anni.
Dall’ottobre 1990 si passò direttamente alla primavera 1991, con una rivista che faceva fatica a rispettare i tempi di uscita. Si continuò a sperare in quattro uscite annuali ma contraddistinte semplicemente dall’indicazione stagionale, come si faceva all’inizio. Fu però un proponimento illusorio e dopo il numero 47 (primavera 1991) si dovette attendere un anno per il numero 48. John Redding e il suo manager commerciale Steve Holborough cercarono in ogni modo di far sopravvivere la rivista che purtroppo però non uscì più dopo quel numero 48 del 1992.






Già molto era cambiato, nel modellismo come nell’automobilismo, rispetto al 1979: industrializzazione, massificazione e semplificazione sembravano essere i codici del nuovo decennio, che non a caso avrebbe visto il primo decadimento dei marchi artigianali così come la definitiva ascensione della Formula 1, destinata a fagocitare tutto ciò che provava a sbarrarle la strada. L’Inghilterra continuò a distinguersi dal resto del continente e ancora ai primi degli anni ’90, se andavi a Londra, nel Kent o in Scozia, trovavi nei negozi o nelle borse di scambio quell’atmosfera “cottage” che aveva segnato la nascita di Pit Road.

Quei fascicoli raccontano tante storie che varrebbe la pena riscoprire. Non è facile trovare numeri di Pit Road: se quelli di fine anni ’80-inizi anni ’90 sono i meno complicati da reperire, la prima parte della serie è parecchio meno diffusa. Per chi non possiede le varie annate e desideri approfondire molti temi che non sono stati mai più ripresi successivamente, vale la pena cercare e raccogliere i numeri di Pit Road, capaci ancora oggi di regalare ore di sano e puro divertimento.
Appendice del 30 ottobre 2025. Abbiamo ricevuto un gradito riscontro da Wyn Edwards, che ha scritto un interessantissimo intervento tra i messaggi. Lo riportiamo direttamente qui:
“Pit Road was planned in 1978 at the Silverstone GP, as we walked round the track. It seemed so simple to conceive, but was much harder in practice! It was to be called Pit Lane, but a lawyers letter from FSW forced the change.
Key to the publication was Julian Partridge, a friend and builder of museum standard model bi planes. He was a Director of Gloster Design, a design and print company . Julian researched and wrote manuals for Nuclear power stations. The company was created when Gloster Aircraft, who made the Meteor and Javelin fighters closed. It was Julians encouragement and support that made PRM possible.
Publication could be challenging especially with postage costs, which was why issue 3 was the beginning of a smaller and lighter PRM, as were the envelopes we used. Not something we had thought about when we set out.
We had a wonderful group of correspondents and contributors. We were trusted by our friends in F1, especially Arrows, who would phone asking ” what colour is XXX green?”
When I left in 1990, the magazine was profitable, and on a good financial footing, with I recall about 800 readers. Regards Wyn”

C’era un altro contributor italiano, ma non ricordo come si chiamasse…
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Thank you for this kind review I stillhave many fond memories of my Pit Road days. After all these years many of the contributors are still my friends
Grazie
Wyn Edwards
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Wyn
Thanks a lot for your kind message. I bought my very first Pit Roads from Paolo Tron in 1985-86 when I was 14 or 15. I had been looking for my missing issues for years and finally managed to find the whole collection, with the exeption of issue #45 which I will end up finding sooner or later. Later I had the chance of working for FSW, which – although in a scaled way – had some of the features that made Pit Road so interesting. Your outstanding work over more than one decade will remain as en exemple of knowledge and fine writing. I wish collectors could find such great stuff nowadays. If you have some further documents that could shed more light on Pit Road history and those years, I would be glad to publish them. Thanks again for finding the time to leave your message and hear from you soon.
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Wyn, thank you for your long reply, which I cut/pasted to make it become a final note of the main feature.
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Dear David,
My dear friend Wyn sent me the link to “Pitlaneitalia” – and this brought back fond memories of a thrilling period of time in the mid and late eighties.
Apart from enjoying to be a part of a dedicated crew of contributing editors, it also enabled me to snag credentials for various races and thus get closer to the action on the race tracks.
Cordially
Peter Hoffmann
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