I Märklin anni 30 fra storia e leggenda

Di Riccardo Fontana (in redazione David Tarallo)

In un momento storico come questo, vincere le preoccupazioni è di vitale importanza per sopravvivere. In termini più schietti, dopo due anni di più o meno giustificata emergenza sanitaria, non abbiamo trovato di meglio che ficcarci in una guerra in cui non c’entriamo nulla, che se andrà bene ci lascerà rovinati economicamente, e se andrà male… Peggio. Nell’immediato, una delle prime conseguenze è che godersi le macchine vere sta diventando alquanto improbo: tra poco se non succederà un miracolo converrà fare il pieno di Chianti, tanto per essere chiari. Che fare dunque? Abbiamo sempre i nostri cari modelli con cui cercare di svagarci. È poco? È tanto? Non lo so, ma in tanto ci sono, e fanno sempre piacere. I modelli, già… Ma quali sono stati i primi modelli riproducenti auto reali della storia? In generale, ci sono i monumentali modelli CIJ dei primi anni ’20, come la Magnifica Alfa Romeo P2 e tutta la serie di Renault e, soprattutto, Citroën in scala grossa che hanno segnato la Storia del giocattolo d’autore: pezzi maestosi, enormi, costosissimi all’epoca e ancor di più oggi, di una raffinatezza e ricercatezza indescrivibili. Già, ma per la scala regina? Quali sono stati i primi 1:43 non di fantasia ad essere prodotti? Con tutta probabilità, c’è qualche Dinky d’anteguerra (Chrysler Airflow, Peugeot 402, Simca 5, e qualche MG e Lagonda), ma soprattutto ci sono le Märklin della serie 5521, prodotte dalla metà degli anni ’30, nel pieno della Germania nazista. L’idea alla base di questi modelli, estremamente precisi ed accurati per i loro tempi, era semplice: fare in modo che l’automobile, allora relativamente nuovo prodigio del progresso e fonte inesauribile di gloria (sportiva) per il Reich, entrasse nel gioco quotidiano dei bambini, che fino ad allora potevano giocare solo coi modelloni meccanici della Märklin stessa e di altre case, come Schüco, Tippco e Distler, che per costo e ricercatezza erano logicamente ristretti ad un’élite di pubblico. I Märklin 5521, ottenuti in pressofusione di zamak in scala (simil) 1:43, erano un’altra faccenda: economici, ben fatti, in realtà neanche troppo legati al mondo fermodellistico, nonostante la Märklin ne fosse la padrona incontrastata, e soprattutto riproducenti in maniera fantastica-per i tempi e tutto sommato anche per oggi-le più belle vetture Grand Prix della loro epoca, anche in versione Record, più qualche vettura stradale e qualche altro veicolo, come camion, un favoloso Sidecar Zündapp, e veicoli industriali (ad esempio il famoso trattore stradale, che sarebbe poi stato replicato tale e quale dalla Mercury nell’immediato dopoguerra). Erano modelli estremamente semplici: ad una carrozzeria finemente (e pesantemente) riprodotta, contrapponevano inizialmente la mancanza di fondino, come avveniva anche per le coeve Dinky, con gli assi che erano passanti nella carrozzeria. Col passare degli anni, comunque, i fondini rivettati sono arrivati, anche sui modelli più vecchi che erano nati senza, con fissaggi improbabili che ne rendono facilissima la perdita. La sotto-serie relativa alle vetture che animavano l’allora Campionato Europeo Grand Prix, è quella certamente più interessante: sono state prodotte tutte, ma veramente tutte le vetture tedesche che hanno corso o tentato dei Record tra il 1934 e il tardo 1938, con le sole eccezioni della Mercedes 1500 per il Gran Premio di Tripoli e della W154 3000 ultima versione, ma tutte le altre ci sono, e sono in compagnia di una primizia assoluta, che è l’unico modello straniero della serie assieme al Bluebird di Malcolm Campbell: l’Alfa Romeo Bimotore di Tazio Nuvolari, in versione Avusrennen 1935.

Il primo modello della serie, numero 5521/1, è la Mercedes W25 da Record di Rudolf Caracciola, seguita a stretto giro dall’Auto Union Tipo A da Record di Hans Stuck, entrambe vetture poco più che da Grand Prix, ma dotate di tetto. I record, per la Germania come per l’Italia, erano di vitale importanza propagandistica, come e forse più che le vittorie nelle corse “vere”, e la mentalità dei Record è rimasta ben radicata negli uomini cresciuti in quegli anni, da Carlo Abarth a Piero Taruffi a Giuseppe Gilera, che continueranno anche dopo la guerra ad inseguire primati con le loro creazioni. Dopo le prime due vetture da record, arrivarono le omologhe versioni in formato Grand Prix, ed ecco quindi comparire Mercedes W25 e Auto Union Tipo A “normali”.

A quelle poi si aggiunsero molte altre auto, dalle già citate Bluebird e Alfa Bimotore passando per una monumentale Mercedes 770 Torpedo nera denominata semplicemente “Der Wagen des Führers” a catalogo (perché si, la Märklin prevedeva un catalogo stampato, con disegni a colori dei modelli) che ad oggi è forse il modello più raro e costoso di tutta la produzione Märklin, un altrettanto raro KdF-Wagen, ossia il Maggiolino prima maniera (altro modello di rarità e quotazioni disarmanti), alcune belle Adler Streamliner, camion Krupp, e tutta la genealogia delle Mercedes e delle Auto Union di quegli anni ruggenti, e per “tutta” si intende tutta: ogni singola versione è stata prodotta, con riguardo per varianti di carrozzeria anche minime, un impegno di aggiornamento degno di una Spark dei giorni nostri.

Su alcuni di questi modelli, ad esempio l’ultima Mercedes da record del 1938, comparvero le prime aperture della storia: il posto di guida, in cui poteva essere riposto un bel pilotino in piombo con tanto di tenuta e cuffietta bianca, era accessibile sollevando il cockpit, proprio come l’Abarth da record della Solido Serie 100, uscita però quasi venticinque anni dopo.

I modelli si facevano sempre più belli e accurati: comparivano aperture, fusioni sempre più pulite e precise, e fondini rivettati con accenni di meccanica. E non fa niente se le Auto Union avevano il motore dietro con un improbabile albero di trasmissione che partiva in direzione dell’avantreno: i tecnici Märklin avevano precorso di decenni l’Audi Quattro. Oppure, a seconda di come la si vuol vedere, l’Abarth 1000 “coda di papera” della Mercury, che era Bialbero… di trasmissione!

I giocattoli d’epoca sono belli anche per le loro ingenuità: questi non sono freddi e sterili Spark tutti uguali, fatti da cinesi tutti uguali, con attrezzi tutti uguali in un paese dove tutto è uguale, questi non sono neanche del tutto inquadrabili come modelli secondo me: sono dei pezzi d’archeologia, quasi delle monete romane, o delle pergamene medievali.

Se trovate un’Alfa Romeo Bimotore, pensate che quando Tazio Nuvolari vinceva al Nürburgring con la P3 nel ’35, lei c’era già, e guardate com’è fedele alla Bimotore vera in versione Grand Prix. Scioccante. Sono pezzi di vita vissuta di quasi novant’anni fa, e anche con gli occhi di oggi di ingenuità “macro” ne hanno ben poche.

4 pensieri riguardo “I Märklin anni 30 fra storia e leggenda

  1. Bell’articolo!

    PS Vedi David che riesci a pubblicare qualcosa di (molto) interessante sugli obsoleti anche se non ti chiami Vincent Espinasse?

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  2. Riccardo Fontana ringrazia.
    Riccardo Fontana ha appena trovato una Mercedes 770 Hitleriana della Märklin, gli fa aria comprarla, ma sta cedendo.
    Riccardo Fontana è un uomo rovinato.

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