La Fiat 1100E e l’ingegner Ratto

Testo e foto di Riccardo Fontana

Lo confesso, sono un mercatino-dipendente: ne giro ovunque e quantunque riesca, perché in tanti anni ho capito che il Diamante, solitamente, si annida dove meno sarebbe lecito aspettarselo, e per me scovare il modello particolare dove non ci si scommetterebbe una lira è una sensazione che, in ordine di appagamento, viene dopo solo alla guida di traverso e ad un’altra cosa che non si può dire. Pari merito con l’ascolto di un buon LP a tema Rock nelle giuste circostanze. Con quest’ottica, quando mi muovo e non ho tempi particolarmente tirati, controllo sempre se in zona vi siano mercatini dell’antiquariato, in modo tale da farci un salto se possibile, e vedere cosa riserva la giornata. Proprio in questo modo, ieri ho approcciato un raduno di letteralmente dieci banchi al Palazzo Ducale di Genova, mentre addentavo della sana focaccia di quella buona prima di accomodarmi in spiaggia a Recco. Neanche l’ombra di modelli, neanche di scarso o nullo pregio, fino al penultimo banco, dove compare uno stranissimo modello. È una Fiat 1100 E, la classica “Musona”, è in scala grande, sull’1:18 leggermente abbondante (forse anche 1:16) e…

Non sembra né un modello classico (che peraltro non ricordo di aver mai visto riprodotto in simili modalità e dimensioni), è molto fine e proporzionata, ma è in legno, con vetri in acetato. Mi colpisce come abbia delle simmetrie assolutamente perfette, il che mi fa pensare ad una piccola serie realizzata da qualche artigiano. Chiedo il permesso alla gentile espositrice, e sollevo per guardarla: il pianale è composto da sottilissime strisce di balsa sagomate e incollate, e riporta solo poche scritte a pennarello, “Fiat 1100 E – apr.1957-lug.1958. Nov.1958 – Gertrude 1°”. Oibò…

Ma da dove diavolo viene questa 1100? Sembra un incrocio tra un RD-Marmande grosso (con però un grado di fedeltà e finitura neanche paragonabile, senza nulla togliere ai Marmande) e un Mamone, ma davvero è un dilemma. Non può essere un esemplare unico, a meno di non trovarsi di fronte ad un Michele Conti vissuto tutta la vita in pieno anonimato. Segue consulto col buon David, ma anche a lui non dice nulla.

Nel dubbio, visto che costa poco e mi piace un sacco, decido che viene a casa con me. Mentre me la incarta, chiedo all’espositrice se per caso abbia lumi circa l’origine di questo modello così strano, assolutamente certo che non ne abbia nessuno. E invece no, di lumi sta per arrivarne una volta intera…

La 1100 è un esemplare assolutamente unico e non ripetuto, è stata prodotta in un anno e mezzo, tra le date riportate sul fondino, da un ingegnere della Fincantieri, tale ing. Ratto (sappiamo anche il nome) che l’aveva appena comprata vera, e rimastone assai colpito aveva deciso di costruirsela in scala nei minimi dettagli, il che al 1957 voleva ovviamente dire costruzione da zero con materiali e tecniche di fortuna, non essendoci assolutamente nulla di “premasticato” in vendita. Ratto ha costruito la 1100 ad immagine e somiglianza della sua (Gertrude 1° sarà forse il nomignolo che aveva dato alla vera come fosse una barca? D’altronde, siamo a Genova e lavorava per il primo cantiere italiano…) e l’ha conservata fino a pochi mesi orsono, quando si è spento a 92 anni.

La nipote, amica della signora del banchetto, ha chiamato la signora per sgomberare l’appartamento, ed è così che la 1100 è arrivata in Palazzo Ducale. Tralasciando ogni (per me) ovvia considerazione sull’assoluta tristezza di un famigliare che paga qualcuno per portare via un oggetto del genere, faccio una domanda pericolosissima: “Ehm… Ma ne ha fatte altre?” La signora risponde subito: “Oh sì, molte, ma nessuna 1100, altre cose, navi, barche, aerei, attrezzi agricoli, moto… Tutte fatte così da zero”. “Ma che fine hanno fatto?” “Mah, qualcosa ha venduto, tante gliele ha buttate via l’ex moglie quando ha divorziato (rumore del mio cuore che va in frantumi perfettamente avvertibile fino a Varigotti, n.d.r.)… L’unica superstite è questa”. Ringrazio, pago, e vengo via.

In macchina esamino meglio il modello: ha dei dettagli spaventosi, anche come interni, proporzioni perfino innaturali, e una tecnica di costruzione da barcaioli bravi di una volta, con centine e pannelli esterni sagomati. Sarei pronto a scommettere che il nostro Ratto avesse babbo, nonno, o entrambi, mastri barcaioli, perché il pezzo di bravura è di quelli forti. Il modello, di cui potete vedere le immagini, ha solo pochi segni del tempo, meno del minimo visto che ha passato gli ultimi 65 anni in una città di mare, un po’ di polvere e una ruota posteriore mezza scollata (miracolo che non si sia persa in qualche trasporto… A proposito, le ruote sono in legno tornito, con tanto di battistrada).

Il ritrovamento, eccezionale, porta a tutta una serie di riflessioni, dal fatto che ci siano stati dei Brianza o dei Conti completamente sconosciuti in tutti gli angoli d’Italia (e quindi chissà quante cose così ancora ci sono o sono state buttate via da congiunti stupidi) fino a cose meno “pratiche”…

Io ieri li non ci dovevo essere, dovevo essere da tutt’altra parte, poi la scorsa notte sono stato un po’ male e ho deciso di stare più vicino a casa, in Liguria. Io sono un ingegnere, costruisco e autocostruisco modelli di qualunque cosa si muova da sempre, e ho appena compiuto trent’anni, l’ingegner Ratto ha costruito la 1100, se la matematica non è un’opinione, tra i 27 e i 28 anni. Possiamo dire che la 1100 mi abbia cercato e sia “venuta da me”?

11 pensieri riguardo “La Fiat 1100E e l’ingegner Ratto

  1. Posso dirlo? Mi ha commosso fion quasi alle lacrime (sì vabbè, sono ipersensibile per motivi medici), ma è vero, quel modello è venuto da te, Riccardo, e da noi, come è giusto che sia per le cose belle da conservare in un anvbgolo eletto del cuore.

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  2. Con Riccardo ci scriviamo spesso in privato, avendo diversi interessi comuni e non scopro, quindi, oggi la sua grande sensibilità e curiosità, a cui fanno da contorno intelligenza ed entusiasmo, a volte anche troppo, ma questo é un altro discorso.
    Questi sono i ragazzi che noi tutti dovremmo portare ad esempio, di cui dovremmo parlare, non i quattro stupidi che infestano i social media.

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  3. Per come la vedo io, certe cose sfuggono alla logica dell’oggetto di per sé, sono a tutti gli effetti pezzi di vita di una persona.
    Questo signore ha passato un anno e mezzo della sua vita a costruire questo modello.
    Momenti, profumi, fatti, tutte cose destinate a perdersi come piume nel vento, e che pur senza potersi rivelare sopravvivono in questi 25 cm di legno e acetato.
    Non voglio puntare il dito più di tanto, le dinamiche della vita sono infinite ed altrettanto infiniti sono i motivi che possono portare le persone a concepire certe azioni, certo è che gli svuotacantine andrebbero vietati per legge.
    Vuoi vendere? Vuoi buttare via tutto? Va benissimo, però fai almeno finta di metterti li a soppesarti di persona le cose e a rifletterci, perché così stai pagando (sottolineo: pagando. “Prezzi modici”, scrivono tutti) un estraneo per sbarazzarti della vita di un tuo caro appena morto.
    Quando non ci siamo più, il nostro retaggio sono i nostri figli, e in fresco secondo luogo ciò che abbiamo realizzato.
    Perché questo pippone? Non lo so, comunque grazie a tutti per le belle parole e i complimenti

    Riccardo

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  4. Se posso aggiungere una mia congettura, secondo me le due date in cima indicano il periodo in cui l’ingegner Ratto ha posseduto la vettura reale, mentre la terza data potrebbe indicare la fine del lavoro sul modellino.

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  5. Può tranquillamente essere, anche se mi fa strano che, all’epoca, avesse tenuto per così poco tempo un’auto.
    Incidente? Non lo sapremo mai, tutto andato perduto…

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