di Riccardo Fontana
Oggi, esimi colleghi et signorie vostre illustrissime, è un giorno di giubilo in tutto il regno, perché finalmente, in questo pazzo mondo sempre più a misura di biechi scribacchini, c’è stato un sussulto di giustizia, insperato (ma sperato) ma estremamente ben accetto: la decisione della Corte di Cassazione di dare ragione alla Brumm nel contenzioso aperto dalla Ferrari relativo alla riproduzione del cavallino rampante sui modelli in scala della suddetta Ferrari ad opera di Brumm.
L’ho messa giù troppo aulica? Può essere, ma sono talmente soddisfatto intimamente di questa sentenza che ho ritenuto di permettermelo, per i motivi che, se avrete voglia di leggere, vi andrò ad elencare.
In primis, anche se non è strettamente pertinente con la fattispecie, per modelli di 25 anni e più non è dovuta nessuna forma di royalty al costruttore, quindi che prendano nota tutti gli artigiani che ancora non sanno o che hanno paura delle ripercussioni: potete liberamente farvi e vendervi tutte le Ferrari TRI 61-62 e Maserati Birdcage senza dovere un penny a quegli insopportabili ed inutili ingiaccati che pensano di valorizzare un brand piantando grane su siffatte stronzate (perché non c’è nessun altro termine possibile, nudi e crudi alla metà, la Ferrari S.p.a. che “conta i chiodi” a Tattarletti o a chi per lui è talmente comica che Mel Brooks dovrebbe solo inchinarsi).
Questo è un primo punto, a giudicare dal numero di “product under license” che compare su scatole di modelli degli anni ’30 o ’50 non mi pare che sia granché colto dai produttori, e mi sembra giusto rimarcarlo.
Il concetto di contraffazione è tale, nel suo significato intrinseco, se si riferisce a prodotti comparabili per fini e caratteristiche, nonché per oggettivi elementi legati al design (in una parola: copiati).
Quindi: può una 312 T4 in scala 1:43 essere un prodotto in diretta concorrenza con una 312 T4 vera?
Vedete voi, perché la radice del problema sta tutta in questo semplicissimo punto, ragion per cui neanche limitarsi ai modelli “over 25” ha troppo senso. A parità di tutti i fattori coinvolti, qual è la differenza tra una 308 GTB Gruppo 4 e una 296 GT3? Al netto dell’età esattamente nessuna, ma fare chiarezza su questo punto non compete a me, competerebbe tanto per cambiare alla giurisprudenza, e fino ad allora…
Paragoniamo le automobili reali con quello che sono a tutti gli effetti dei soprammobili, ed è pur vero che siamo nella Golden Age dell’assurdo, ma a tutto deve esserci un limite.
Vi ricordate i modelli degli anni ’60 e ’70? Come avranno mai fatto i costruttori a sopravvivere senza pretendere questa odiosissima forma di pizzo che sono le royalties dai giocattolai? Forse vendendo auto, ma sono solo mie illazioni, prendetele come tali, d’altro canto non c’ero, non ho certezze.
I costruttori erano pure contenti, anzi, di vedere i grandi magazzini inondati di modelli raffiguranti le loro vetture, e sapete perché? Pubblicità gratis, né più né meno, e un primo timido passo verso la fidelizzazione degli automobilisti di domani (i Jouets Citroën, ormai più di un secolo fa, sono nati esattamente così, ricordatevelo).
Oggi no, oggi si va a fare causa ad uno che ti fa a suo rischio una forma di pubblicità: mi viene in mente una bella commedia francese, che si chiama “Una Top Model nel mio letto”, dove il protagonista dice “non posso andare alla polizia, mi chiederebbero cosa mi hanno rubato e io dovrei dire “niente, mi hanno messo le tende!”, che mi pare un paragone quantomeno calzante.
Il secondo punto è relativo, e qui arriviamo alla sentenza odierna, alla “riproduzione fedele o esatta dei modelli”.
Tradotto: una Ferrari del 1980 in scala 1:43 deve poter avere gli scudetti col cavallino rampante senza che nessun ufficio legale debba poter intravvedere un margine di manovra per scatenare casini osceni come quello che si è ben risolto.
Aggiungo, e credo (ma non ne sono sicuro, anche se lo spero) che se ne possa parlare, che dovrebbe avere anche eventuali sponsor tabaccai o alcolici, sempre per discorsi relativi all’esattezza storica dell’automodello da collezione.
Non so voi, ma se io vedo un’Alfa 179 di F1 coi pontoni laterali bianchi senza scritte Marlboro, sale un più che discreto senso di frustrazione, dato dal fatto che pago fior di soldi per un oggetto che è comunque imperfetto, e lo faccio per una legge cretina.
Pensate alle F.1 degli anni ’70-’80 della Polistil, quelle in scala 1:41, siamo al paradosso che queste abbiano delle livree mediamente più fedeli (almeno a livello “macro”) delle omologhe Spark odierne, castrate da trovate allucinanti come quella sul fumo o sull’alcool.
Terzo ed ultimo punto: l’opportunità.
Io non so voi, ma francamente non se ne può più di sentire la Ferrari uscire con certe… cose (ho già un “cartellino giallo”, evitiamo il secondo per ridondanza).
E le black list per i compratori, e il divieto di vendita del mezzo… Oh: volete rendere esclusivi i mezzi? Ecco allora iniziate a non produrne 15000 all’anno, evitate di venderle a quei volgarissimi cinesi con la cultura automobilistica pari a quella di un macaco con le terga pelate.
Evitate soprattutto SUV ed altre dubbie forme di onanismo per vecchi miliardari affetti da sciatica, che più che Leggenda fanno turismo sessuale d’alto bordo.
“Il vecchio lo avrebbe approvato perché il mercato lo chiede”? Non credo, ai suoi tempi il mercato chiedeva anche una berlina quattroporte, ma lui la stoppò perché non se la sentì di farla, pensando forse, e direi a ragione, di tradire la sua stessa natura.
Alzate i prezzi se volete “fare il ricavo”: tanto 10000 super-ricchi che le stesse macchine ve le pagano anche il doppio ci saranno sempre nel mondo, non vi preoccupate.
Pensate, soprattutto, a fare macchine, e devo dire che con la 296 siete sulla strada giusta (perché non chiamarla Dino, d’altronde? La Porsche la quattro cilindri a motore centrale non s’è fatta nessuna remora a chiamarla “718”, che è la Cayman in fin dei conti, ma sul “culo” c’è scritto quello. Marketing, di quello proprio ed intelligente).
Ci sono molti modi per valorizzare un marchio, ma trascinare in tribunale dei modellisti per chiedere loro il pizzo su dei soprammobili è certamente il più opinabile di tutti.
(Un altro ottimo potrebbe essere l’evitare di spararsi figure barbine in mondovisione a tutti i gran premi, ma almeno per questo 2022 mi rendo conto che sarebbe come chiedere la Luna).
Che questa sentenza possa rappresentare una bella iniezione di linfa per il settore, e soprattutto per tutti i bravi artigiani che, tra mille fatiche, cercano di sopravvivere giorno per giorno dovendo anche scontrarsi con “realtà” come questa.
Il settore, del resto, ne avrebbe certamente molto bisogno.
Grazie Riccardo per questa bellissima notizia!
Finalmente ci voleva una nota positiva dopo tante… stonate!
Mauro M.
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Le royalties…
Speriamo che sia fatta chiarezza una volta per tutte, anche e soprattutto nell’interesse di noi consumatori.
A tal proposito, in Ferrari, forse, farebbero meglio a controllare la qualità dei prodotti delle aziende concessionarie, che non sempre sono all’altezza del blasone del marchio.
Perché non esistono solo le royalties…
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Alf, le royalties sono il modo dei mediocri per dimostrare ai loro capi che “trottano”: detto in termini più cortesi, controllare i fornitori (che sono risaputamente gli stessi della Fiat, inutile girarci attorno) costa soldi e fatica, tormentare un povero artigiano che fa meno modellini all’anno di quante macchine vere facciano loro è molto più economico e facile, scherzi?
Fa nulla se devono far ridere il mondo per… Quanto? 2000€ al mese? Ma nemmeno, comunque fa nulla dicevamo, l’importante per quei piccoli sudici colletti bianchi col master in Nutella e Tramonti ad Ostia (cit. Guzzanti-Gabriele La Porta) è ostentare il risultato coi loro capi.
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A proposito di livree tabaccaie, vorrei far notare la politica schizofrenica adottata da un po’ di tempo da Spark. Alcuni modelli – segnatamente le Lotus sponsorizzate JPS – stanno uscendo con le decal “proibite” già tutte applicate; altri con quelle decal da applicare, tipo di recente le March Chesterfield di Lunger e Rothmans di Henton; e altri ancora… senza proprio il foglietto supplementare di decal tabaccaie, come la McLaren M23 di Fittipaldi vincitore del Gran Premio di Gran Bretagna 1975, nonostante in quella corsa la vettura fosse regolarmente sponsorizzata Marlboro. Qualcuno capisce qual è la “ratio” dietro decisioni così differenti?
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Schizofrenia, per l’appunto.
Potrebbe, ma non ci metto la mano sul fuoco, essere dovuto al fatto che certi marchi siano con gli anni caduti in disuso, tipo JPS (ma non ne sono sicuro, ripeto), comunque è assurdo che si facciano tutte queste storiacce per tre scritte su modellini d’auto, è lo specchio di un mondo agghiacciante, dove ci si prova gusto a trascinarsi in tribunale per noia.
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Caro Riccardo, la ringrazio per la risposta; in effetti, le sigarette JPS hanno subito un restyling del marchio, e questo potrebbe spiegare la comparsa delle decal “proibite” sulle Lotus degli anni ’70. Resta, però, il fatto che Spark per alcuni modelli prevede le decals supplementari e per altri, inspiegabilmente, no; mentre per altri ancora ne mette soltanto una parte, col risultato che, ad esempio, sulle Hill del 1975 le lettere da aggiungere per completare la scritta Embassy, risultano più doppie di quelle già applicate, con un effetto d’insieme piuttosto penoso.
Ma dal mio punto di vista, la cosa più paradossale del proibizionismo vigente è che quando nella Formula 1 prese piede il supporto delle aziende di tabacchi ai team, ero adolescente, e nonostante la passione con cui seguivo le gare – in particolare tifando proprio per la Lotus che a quel tipo di sponsor aveva aperto la strada – non ho mai fumato una sigaretta in vita mia!
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Per quanto riguarda Marlboro, è la McLaren stessa ad essere intervenuta perché dai modelli Spark sparissero anche le decals messe a parte.
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Molte grazie per l’informazione, dottor Tarallo; ma mi chiedo cosa ne venga alla McLaren a impedire ai collezionisti di avere una riproduzione più fedele di vetture vecchie di quasi cinquant’anni – come le M23 di Fittipaldi e Hunt – costringendoli a ricorrere ai foglietti di decal dei kit Tameo e a quelli con marchi tabaccai generici, che poi non sempre hanno l’esatto font della scritta Marlboro, o si adattano alle dimensioni richieste. Un modo come un altro, insomma, per complicare la vita agli appassionati, quando – come scritto anche nell’articolo di Riccardo Fontana a proposito del “pizzo” preteso dalle case automobilistiche – dovrebbero invece essere contenti che a distanza di tanto tempo c’è ancora chi ricorda con nostalgia le loro vetture, e tramite un modellino vorrebbe ancora celebrarne i meriti.
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Bellissima notizia! Non mi è mai piaciuto pagare il pizzo per degli automodelli, cavallinorampanti o no.
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Condivido tutto, dell’articolo scritto dal bravo Riccardo… standing ovation!!!
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