di Riccardo Fontana
Il due di novembre, senza che nulla, a parte l’età non più verde, lo potesse lasciare immaginare, ci ha lasciati Furia, ovvero il grande Mauro Forghieri.
Ci ho messo qualche giorno a scriverne, perché la notizia è di quelle a tinte fortissime, così come la sensazione di un’era che si chiude davvero.
L’Ingegnere è stato il vero artefice, assieme a Rocchi e Salvarani, dei più grandi successi degli anni d’oro della squadra di Maranello, dov’è rimasto in forze dal 1959 al 1987, ricoprendo la carica di Direttore Tecnico dal 1962 al 1968, dal 1970 al 1972, e di nuovo dal 1974 al 1984.
Era “una testa”, e questo è veramente il minimo che si potesse dire di lui: lucidissimo fino alla fine, concreto, sagace, con un coraggio di favella non comune (ricorderò sempre un suo perentorio “oggi ai box ci sono trenta tecnici davanti al computer che forse capiscono si e no il 10% di quello che vedono” a proposito delle gare odierne, cosa che, da ingegnere, confermo essere la pura verità, ma chi altro avrebbe avuto il coraggio di dirlo?) Furia è stato davvero un Mito che il mondo intero ci ha invidiato.
È stato forse l’unico in grado, ancora in epoca relativamente moderna, di eseguire la progettazione di un’auto nella sua interezza, dal motore al telaio, alle sospensioni all’aerodinamica: gli avevano insegnato a farlo due giganti come Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini prendendolo, neolaureato in ingegneria, sotto la loro ala protettrice, e lui di certo aveva imparato prestissimo e benissimo, tanto da accusare relativamente poco il colpo quando, dopo soli due anni di permanenza in Ferrari, si era trovato a fine 1961 a doverli sostituire, divenendo capo del Reparto Corse a meno di ventisette anni: un’esperienza sicuramente in grado di macinare moralmente chiunque, ma non lui.
Dotato di un carattere molto forte, “vero” nel senso migliore del termine, sanguigno ma buono, è sopravvissuto de facto per più di vent’anni al timone della Scuderia più sotto i riflettori al mondo, nonostante gli sgarbi della Fiat che, di tanto in tanto, ha provato a sostituirlo (ad esempio con Colombo, nella fallimentare stagione 1973), vincendo di tutto e più volte: in F.1 vinse 7 campionati marche e 4 piloti, e poi innumerevoli mondiali marche e GT nell’Endurance, e addirittura tre campionati europei della montagna, tutte e tre le volte con macchine disegnate quasi per caso, contro una Porsche al suo massimo, che considerava vitale partecipare (e possibilmente vincere) le cronoscalate che animavano le corse di quegli anni.
Perché non era solo uno in grado di disegnare una F1 dalla A alla Z, ma quasi tutti gli anni oltre alla F.1, lui Rocchi e Salvarani, disegnavamo anche lo Sport Prototipo, la GT, la F.2, l’auto per l’europeo della montagna, e se avanzava del tempo anche per la Can-Am.
Si è scontrato con autentici giganti dell’ingegneria come Colin Chapman e tanti altri, e con loro oggi è nel Gotha degli eroi della tecnica corsaiola: aveva probabilmente una visione diversa dell’automobile rispetto a quella di un Gordon Murray o dello stesso Chapman, un punto di vista per il quale il motore non riveste il semplice ruolo di accessorio della telaistica, ma diventa un qualcosa di strettamente integrato alla “ciclistica”, secondo un ideale di simbiosi tecnicamente molto attuale, perché proprio dell’odierna progettazione dell’automobile da competizione.
Con lui Ferrari urlava, e come amava dire lui stesso “lo lasciava urlare”, ma è fuor di dubbio che il vecchio dovesse a Mauro Forghieri molto, forse più di quanto Mauro Forghieri dovesse a lui.
Addio Ingegnere, spero che ci sia la musica di un 12 piatto ad accompagnarti nel tuo ultimo viaggio.
Complimenti a Riccardo Fontana per il ricordo bello e tecnico dell’Ing. Mauro Forghieri, a mio modestissimo parere, il piu’ grande progettista della storia della Formula 1 !
L’unico in grado di saper progettare una vettura di F1di sana pianta, dal motore al telaio e a tutto il resto.
Saluti,
Giovanni La Rosa
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