Champion, Super Champion, Safir e dintorni

testi e foto di Riccardo Fontana

All’inizio degli anni settanta, Solido recitava la parte del leone in tema di automodelli sportivi e da competizione: gli appassionati aspettavano con trepidazione l’uscita delle novità, peraltro rilasciate col contagocce, e i concorrenti non erano assolutamente in grado di opporre una valida resistenza, se non a livello sporadico, come nel caso di alcune validissime Dinky France della Serie 1400, ma che erano, appunto, casi isolati in una produzione molto più orientata ai veicoli popolari che non alle auto da corsa.

Tutti i produttori, in generale, producevano automodelli da competizione, ma le vette di realismo e di esattezza dei Solido erano inavvicinabili.

All’improvviso, però, si profilò all’orizzonte un competitor per Solido, un competitor che ne condivideva la patria, la Francia: si chiamava Champion-Safir, e dopo una lunga e travagliata storia che l’aveva portata a cambiare più volte nome, aveva deciso di affrontare Solido sul suo stesso campo di battaglia, iniziando a produrre una bellissima serie di Sport Prototipi in scala 1:43, che composero la Serie “Super Champion”, molto celebre per un fugace momento in quegli anni.

Le origini del marchio sono alquanto articolate, ma per amore di una storia che, almeno di qui dalle Alpi, ben in pochi possono dire di conoscere, vale la pena di raccontarle: la società nacque nella stessa Nanterre che diede i natali alla Solido nel 1952, fondata da Léon Gouttman, che la nominò Jadali, dalle iniziali dei suoi tre figli, Jacques-Henri, Daniel e Linette.

Jadali produsse una gran quantità di giocattoli di tutti i tipi, e nel 1957 Léon Gouttman ne trasferì la produzione a Barcellona, dando vita al marchio Jadali Metamol, di cui si ricorda una bellissima Seat 1400 in scala prossima all’1:43, apparsa anche, in un numero di fine anni ’90, nella rubrica “Zapping” che Quattroruotine dedicava alle stranezze.

Parallelamente, il primo figlio di Monsieur Gouttman, Jacques-Henri, avviò una produzione di parti pressofuse per l’industria automobilistica con la ragione sociale di Jadali-SIFMA a Langeac, nel dipartimento dell’Alta Loira, e praticamente subito iniziò a produrre automodelli di vetture classiche, secondo lo stile allora proposto da JMK (il primo nome di R.A.M.I.) e Minialuxe.

Poco dopo, nel 1960, Jacques-Henri Gouttman  stipulò un accordo con Monsieur De Beque, titolare di una ditta dedita allo stampaggio materie plastiche denominata SAFIR, acronimo di Société Anonyme de Fabrication d’Injection et de Recherches: il sodalizio vide la nascita di modelli in materiali misti, plastica e zamak, in cui ognuno dei due soci produceva le parti secondo la specializzazione della propria azienda.

Inizialmente la produzione era composta nella sua totalità da vetture “veteran”, cioè di fine ottocento o degli inizi del novecento: si andava dai quadrilette Peugeot e Panhard, alla Renault della Parigi-Madrid fino alla Citroën B2, declinata in moltissime versioni, che era il modello più moderno della gamma.

Ebbero buon successo questi modelli, e furono contraddistinti da buone finiture, certamente allineate agli omologhi modelli proposti da R.A.M.I., ma molto distanti da quanto proponevano negli stessi anni DUGU e RIO in Italia.

Alla fine degli anni sessanta ci fu il primo approccio all’attualità ed alle corse della casa: si stipulò un accordo con Elf-Aquitaine per la produzione di gadget da regalare nelle stazioni di servizio, e da questo accordo nacque una bellissima serie di F1 in scala piccola, circa 1:60, che corsero nella stagione 1968.

C’erano Matra, Ferrari, Lotus (sia la 49 di F1 che la 56 a turbina di Indianapolis sponsorizzata STP), Honda e McLaren, tutte abbastanza finemente riprodotte, e con la stranezza (per allora) di riprodurre le auto nell’allestimento di uno specifico gran premio: tutti i modelli erano infatti proposti con e senza alettoni, e con numeri di gara e livree riconducibili ad una gara che veniva riportata su un piccolo foglietto illustrativo presente nella piccola teca trasparente che conteneva il modello.

Oggi, con i produttori che ci hanno abituati a vedere i modelli da competizione riprodotti nell’allestimento di una specifica corsa non ci si fa nemmeno più caso, ma nel 1968 avere la Ferrari di Jacky Ickx di Rouen e quella di Chris Amon al Jarama, e per di più in una scala tipicamente riservata a modelli “per bambini”, doveva sembrare fantascienza.

Della serie fecero parte anche alcune Sport-Prototipo, come Ferrari P4, Ford GT 40 e Lola T70 Spider, francamente molto meno riuscite delle F1, e stranamente molto fantasiose nelle livree.

Il passo successivo, visto l’ottimo gradimento di questi bei modelli, fu l’introduzione della serie in scala 1:43, denominata Super Champion, dedicata stavolta a quella che, in quegli anni, era la vera Classe Regina dell’automodellismo: l’Endurance.

Che modelli apparvero? Inizialmente furono la Lola T70 Coupé, la Porsche 917 K con e senza pinne, la 917 LH sia in versione 1970 che 1971 (distinguibile al primo colpo per le ruote posteriori carenate) e la Ferrari 512 M, che della serie fu forse il modello più felice a livello di forme.

Erano buoni modelli, avevano il fondino pressofuso e le carrozzerie di plastica (*), e per quanto non fossero fedeli come le Solido a livello di linee (chi poteva esserlo nel 1971? Nessuno) erano declinate in decine di livree catturate con estrema fedeltà e realismo, che costituivano la vera attrattiva di questi modelli, il motivo stesso per cui oggi dopo più di cinquant’anni conservano ancora un gran fascino.

Una particolarità era il raggruppamento delle decals in film unici (ricorda qualcuno?), che col progressivo ingiallimento delle stesse deturpavano irrimediabilmente il modello.

Le confezioni replicavano quanto già visto per le sorelle più piccole, con eleganti teche trasparenti in plastica rigida con un cartoncino che riportava il nome dell’auto, la scuderia, la gara di riferimento, e una breve lista della serie Super Champion.

A questa serie, che ebbe un grandissimo successo commerciale, seguì una seconda infornata di formula 1 in scala 1:60, ancora commissionata da Elf, relativa alla stagione 1972: c’erano March, BRM, e Matra, e gli Sport Prototipi erano le Porsche 917 sia lunghe che corte, la Matra 650 coda lunga di Le Mans 1969, e la Ferrari 512 S, che si discostava dalla M vista in scala 1:43.

Completavano la serie un piccolo Renault Estafette, celebre furgoncino con la meccanica della Dauphine, e una Land Rover a passo lungo, che oggi sono particolarmente difficili da trovare.

Nella classica 1:43 comparvero altri mezzi meno corsaioli, come la Jeep Willys e un Camion Dodge a sei ruote, che vennero declinati in moltissime versioni, pur restando oggi assai più rare delle vetture da competizione, cui arrise veramente un successo enorme.

Ci fu il tentativo di ampliare la proposta produttiva, e fu così che apparve una meravigliosa Alpine Renault A110 1800 Gruppo 4 in scala 1:20, sempre declinata in moltissime livree, e una ugualmente bella Citroën Traction Avant 11 CV d’anteguerra (riconoscibile per i cerchi Michelin dotati di asole), ovviamente declinata in molte versioni.

A metà anni settanta apparve la seconda serie di 1:43, stavolta dedicata in toto alle F1: comparvero la Ferrari 312 T, la Ligier JS 5 nella versione con l’airscope di inizio 1976, e una bella serie di Tyrrell P34 a sei ruote, con differenti musi e airscope.

Modelli questi di grande realismo ed estrema finezza, superiore certamente ai primi speciali disponibili negli stessi anni.

I Super Champion, come detto, avevano questa attenzione, più da 2022 che da 1975, alla singola versione, e fu così che gli appassionati poterono allineare in collezione modelli che nessun altro, nemmeno Solido, avrebbe mai prodotto, come certe versioni relative alle sole Prove Preliminari della 24 Ore di Le Mans delle Porsche 917 lunghe o alcune Tyrrell P34 che non fecero che alcuni test nel pre-stagione 1976, quasi come fanno oggi certi artigiani per così dire “di nicchia”.

Come finì tutto questo? Molto semplicemente e molto tristemente: il successo era ottimo, ed Elf commissionò pertanto un’ulteriore infornata di modelli promozionali.

SAFIR, i cui impianti produttivi erano completamente saturi, fece grossi investimenti in terreni e nuovi impianti per soddisfare la richiesta di Elf, ma al contempo, la Repubblica Francese varò una legge che vietava di regalare oggetti per fini commerciali, rendendo illegale per i benzinai regalare le macchinine ai figli degli automobilisti che si fermavano a fare benzina.

Di leggi stupide c’è pieno il mondo, per una volta noi italiani possiamo dire di non essere primi, comunque ciò portò prima alla sofferenza e poi alla chiusura della società, che cessò ogni produzione nel 1978.

Fu la fine di una bella storia, molto avanti sui tempi per molti e molti temi.

(*) Nota di David Tarallo: gli stampi di alcuni Super Champion dovettero essere ceduti a terzi, che rifecero certi modelli, come la Porsche 917 K con colori e decals di fantasia e con fondini in plastica e non in zamac. Ricordo di aver acquistato un paio di questi modelli da Paolo Tron a Milano43 verso il 1986. Marco Nolasco me ne ha fatto ricordare il nome: si chiamavano Racing.

9 pensieri riguardo “Champion, Super Champion, Safir e dintorni

    1. Grazie Alfonso, sempre molto buono.
      È un produttore ingiustamente bistrattato questo, ma per molti aspetti ha percorso addirittura Spark, come ho cercato di spiegare.

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  1. Adesso però sono curioso di vedere queste 917 marca Racing, perché mi avete stuzzicato.
    Faremo anche qualcosa sulle Super Champion mai nate, e c’è roba gustosa, dalla Ford GT 40 alla Stratos per arrivare alla Porsche 935, ma ne riparleremo.

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