Testo e foto di Riccardo Fontana
Epifania 2023.
Il 2022, dopo avermi disintegrato le parti molli con mille regali uno più bello ed accattivante dell’altro, ultimo dei quali inchiodarmi a letto dal 23 dicembre fino ad appena dopo Capodanno, ha bonariamente deciso di morire affogato nelle sua bastardaggine lasciandomi vivo, e sono dunque completamente libero, ancorché solo.
Che fare? È una giornata uggiosa e inutile, mi sono alzato a mezzogiorno… C’è l’esposizione della collezione della Fondazione Gino Macaluso al Museo dell’Automobile di Torino!









Ecco, proprio quella: era un bel po’ che ci volevo andare, ma visto che negli ultimi tre mesi, tra fratture, operazioni e influenze colossali ho passato più tempo a letto che in piedi, non avevo ancora mai avuto occasione di farci un salto, e oggi è proprio la giornata giusta per farlo.
Al Museo dell’Automobile sono stato poco prima che Stefano Macaluso facesse esporre le sue auto per la collettiva libidine degli appassionati di Rally, quindi ieri sera non ho ritenuto di girarne ancora l’ala “fissa”, preferendo concentrarmi sulle Regine dislocate al pian terreno, e devo rimarcare come ne sia valsa assolutamente la pena, perché la selezione è di quelle da far tremare i polsi: quindici auto estremamente rappresentative, alcune delle quali in condizioni di conservazione eccezionale e mai restaurate dall’ultima gara, che descrivono come raramente capita di vedere la Storia di quella che è, parere personale, la più bella disciplina automobilistica a pari merito con l’Endurance.














Si parte dal principio con una stupenda Mini Cooper ex-ufficiale in diretta dal 1000 Laghi 1967, proseguendo con perle come Ford Escort RS 1600 (quel nome “Roger Clark” sul passaruota… Confesso di essere rimasto un buon quarto d’ora in rimirazione, tipo l’architetto Melandri con la Madonna in Amici Miei), a Fulvia HF ex-Safari, 124 Sport Spider 1600 (sanamente opaca e conservata), Alpine A110 1800 (vincitrice del Marocco 1973 con Bernard Darniche, restaurata ma importantissima in quanto unica Alpine in alluminio mai realizzata), e poi Stratos (come prevedibile, l’unica macchina sulla cui veste attuale avrei qualcosa da obiettare, ma non fateci caso, sono malato), Delta Safari, 131 Abarth, e via discorrendo.
















È impressionante vedere dal vivo certe auto, come ad esempio l’Audi Quattro Gruppo 4, e rendersi conto delle dimensioni quasi da camion che hanno, che in teoria avrebbero dovuto stroncarle in una specialità in cui l’agilità e la leggerezza sono tutto, ad ulteriore riprova del livello di superiorità tecnologica irrinunciabile che le quattro ruote motrici hanno portato nella specialità.




















Veramente non si sa dove girare la testa, le auto compaiono ovunque, e si è circondati da entità motoristiche che, se come me si è nati “tardi”, si sono viste solo sui libri o sui vecchi numeri di Rombo e di Autosprint: in un angolo c’è la Renault 5 Turbo di Jean Ragnotti prima al Montecarlo 1981, ed è proprio lei, esattamente lei, non una 5 Turbo con la livrea del Monte, ed è sbalorditivo ammirarla, con quegli interni rossi e blu presi dalla produzione di “serie”, neanche fosse una Gruppo 1 o una più tardiva Gruppo N, e poi ci s’imbatte nella 205 Turbo 16 Evo 2 del 1000 Laghi 1986, ancora dotata delle famigerate “minigonne” della discordia del Sanremo: impossibile, se si è ragazzi cresciuti a pane e “I Grandi Rally degli Anni ’80”, non sdraiarsi per terra e guardarla sotto, e magari fare anche delle foto, minacciato da un tubo di scarico che ricorda più un cannone da 88 di un Carro Tigre che una marmitta automobilistica.












Accanto c’è l’S4 di Alen partecipante al Nuova Zelanda 1986, e riportata a quella livrea dopo aver corso il finale di campionato italiano 1986 sotto le insegne del Jolly Club: non è che lei e la Peugeot siano belle in senso stretto, Stratos, Alpine e 124 sono un’altra cosa, che colpisce più che altro è l’altezza di queste vetture, quasi da SUV odierno, soprattutto per quanto riguarda la Peugeot.
Proseguendo si incontrano le grandi rivali dell’epopea del Gruppo A, la Delta Integrale 16 V e la Celica GT-Four ST165: se la prima, qui in versione vincitrice del Sanremo 1990 con Didier Auriol, è quasi comune da incrociare in mostre e manifestazioni, la seconda, che peraltro è proprio quella che ha vinto il RAC Rally del 1990 e il Nuova Zelanda dell’anno dopo, è un’entità quasi mitologica, in cui ben raramente ci si può imbattere dal vivo.
Chiudono la mostra degli ottimi pezzi di memorabilia come le tute dei più grandi specialisti, caschi, e oggetti vari riconducibili alla grande storia dei Rally: particolarmente impressionante è un machete in dotazione agli equipaggi Martini Racing al Safari 1992, e più che alla boscaglia ed allo stato di necessità, per chi sa ed è “scafato”, il pensiero non può che correre alla rapina subita da Piero Sodano ad opera di un gruppetto di Masai nell’edizione 1977. La mostra rimarrà visitabile fino a maggio, ed è certamente di quelle da non farsi scappare, anche perché si può comunque godere degli altri pezzi esposti permanentemente al Museo, che sono, in verità, sempre un bel vedere.