La Fiat 2300S Ghia Cabriolet di Solido

Di David Tarallo

Se mi chiedessero qual è il mio Solido serie 100 preferito avrei parecchia difficoltà a rispondere. Tanti sono i capolavori usciti in quella gamma, che nei decenni hanno continuato a influenzare in vario modo collezionisti vecchi e giovani. Dal mio punto di vista, sono nato e ho giocato quando quasi tutti quei modelli erano ormai fuori produzione. Ovvio quindi che li vedessi già “lontani”, difficilmente raggiungibili, specie i primi usciti.

“Storie di modelli” è una rubrica molto personale e i lettori scuseranno quindi i tanti riferimenti autobiografici, che quasi mai sono interessanti di per sé ma a volte aiutano a collocare determinati oggetti nel loro contesto storico. Dicevo della domanda sul mio serie 100 preferito: a volte mi è stata posta realmente e penso di aver risposto via via in vario modo, secondo l’umore del periodo. Ma c’è un modello a cui credo di essere particolarmente legato, la Fiat 2300S Ghia Cabriolet, numero 133.

La memoria torna indietro all’inizio del 1983, quando a Firenze era ancora aperto il negozio Barbieri di Via del Proconsolo, a due passi da Piazza Duomo. Era un posto particolare dove trovavi cose che in città era impossibile reperire, almeno attraverso i normali canali commerciali. Ricordo una volta di aver trovato un paio di BMW 530 Gr.A di Gama elaborate coi transkit MiniMiniera, montate da un modellista, Nello Fratini, che gli appassionati fiorentini di una certa età conosceranno bene. Barbieri era anche l’unico ad avere i bellissimi camion Volvo e Scania della Tekno, oppure rarità come la Lada Niva di produzione russa in 1:43, i kit in metallo bianco della C.A.R. o alcuni obsoleti di pregio. Un giorno ci entrai con mio padre e nella vetrina a muro credetti di scorgere una Ford Thunderbird della Solido. Non era una Thunderbird ma la Fiat 2300S Ghia Cabriolet (a 12 anni forse uno ha ancora una giustificazione nello scambiare una Ford americana con una Fiat), in color avorio. Mio padre me la prese, costò sulle 45.000 lire. Era abbastanza, ma non certo una follia, diciamo più di un kit AMR. Quella 2300S, completa di scatola originale, delicata ai limiti dell’inconsistenza, restò a lungo come il pezzo più pregiato della mia collezione, a volte tirata fuori e poggiata sulla moquette azzurra di camera mia insieme ad altri modelli obsoleti che nel frattempo erano arrivati ad arricchire il parco macchine “antiche”: una Peugeot 403 berlina Dinky France, acquistata da un conosciuto collezionista di Brescia, Gianfranco Battioni, che nell’estate del 1983 mi aveva inviato per posta una lunga lista manoscritta (!) di modelli in vendita, e una Fiat 1500 Mercury in 1:48, presa a Loano dai Tron. Ma della 2300S di Solido ammiravo la pulizia delle linee, quel morbido molleggio sulle ruote tornite, i fari a brillantino, la finitura opaco della capote, che ti veniva ogni volta la voglia di sfiorarla con un dito. Ignoravo quali fossero le varianti di quel modello, e anche che ne esisteva una versione “alternativa” prodotta in Spagna da Dalia. Tutto ciò che sapevo è che i Dalia si trovavano in qualche parte del mondo ed erano semplicemente inavvicinabili. Sono passati quarant’anni tondi da quei pomeriggi passati in compagnia della 2300S color avorio.

Ma siccome niente avviene per caso, le vie del collezionismo mi hanno portato ad una seconda 2300S (nel mezzo non ce ne sono state altre!), stavolta prodotta appunto da Dalia e in un’insolita combinazione verde oliva – interni rossi (normalmente sui modelli in questo verde gli interni sono beige). Continua ad essere un po’ straniante rivedere i Solido “oriundi” in colori inusuali, sembra quasi di vivere una realtà parallela ogniqualvolta li si toglie dalla loro scatolina. Al di là delle considerazione sul tempo che passa e che dopo quarant’anni possono avere anche qualcosa di abbastanza amaro, resta lo stupore di osservare ancora con entusiasmo un modello – lui sì – destinato a non invecchiare mai.

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