di David Tarallo
Un marchio ormai morto come l’Alfa Romeo, con a catalogo insulsi SUV e vittima di spietate politiche di gruppo, cerca di darsi un tono come può. Avendo alle spalle una tradizione che farebbe invidia a chiunque (pensate a un costruttore qualsiasi, anche il più prestigioso, e comparatelo alla storia dell’Alfa) ma dovendo anche far fronte a un presente alquanto triste e privo di reali sbocchi creativi e tecnologici cerca di fare di necessità virtù preparando una sorta di belletto all’interno di celebrazioni altrettanto fatue.
Progettato dal Centro Stile Alfa Romeo e realizzato da iGuzzini illuminazione (ma non erano quelli che facevano i cavatappi e gli spremiagrumi?), il DNA Alfa sarà una delle installazioni di MuseoCity, evento del Comune di Milano che coinvolge oltre novanta istituzioni culturali dell’area lombarda, in un weekend – dal 3 al 5 marzo – dedicato alla riscoperta di opere meno note, legate ogni anno a un tema specifico. Nascono così qua e là nella zona milanese varie installazioni, che per carità vanno molto meglio in quelle lande putrefatte che non in Piazza della Signoria o davanti al Palazzo Strozzi di Firenze, ma tant’è. Queste iniziative non fanno che confermare la pochezza intellettuale e la mancanza di originalità dei nostri tempi, dove si preferisce il vacuo spettacolo all’autentica valorizzazione del patrimonio. Il tema dell’edizione 2023 è “La luce dei musei”, perfetto – recita il comunicato Stellantis – per raccontare un’opera che non è una semplice fonte di illuminazione, ma l’essenza stessa del marchio. Essenza del marchio che è stata perduta e invece di essere disperatamente cercata di nuovo in prodotti vendibili (perché poi alla fine la tanto osannata Giulia in quanti l’avete presa?), viene propinata alla massa delle pecore sotto forma di arte.
Comunque sia, il DNA è una struttura cilindrica alta 15 metri e un diametro di 4, formata da elementi in acciaio, plexiglass e luci – 150 elementi luminosi che contengono 8192 segmenti a led, 1500 metri di cavetti. All’interno dell’installazione c’è infatti una specie di cascata di lettere, a comporre i nomi dei modelli più famosi (il marketing aveva utilizzato l’aggettivo iconici, di cui non c’è alcun bisogno, neanche quando si parla di Alfa Romeo, al massimo lo si può usare per descrivere le funzioni narrative della Colonna Traiana): dalla Disco Volante alla 33 Stradale, dalla 8C 2900B Speciale le Mans al Duetto, oltre a stilemi, come il “V” della calandra, realizzati su sagome di metallo verniciate in rosso Alfa, ed elementi luminosi curvi di lunghezze diverse che si susseguono dal soffitto vetrato del museo sino al basamento. Un complicato impianto tecnologico governa questo ambaradan, che può essere modulato in diversi scenari a seconda dell’effetto desiderato: “dal battito del cuore che si muove all’interno del cilindro alla scia, con lampi che si rincorrono nel perimetro esterno”, garantiscono trionfanti quelli del marketing Stellantis. Questo è l’automotive di oggi, che vi piaccia o no, una specie di circo dove Mercedes si vanta di avere il software della nuova Classe E già predisposto per TikTok. E questa è l’Alfa Romeo, ma mi pare di averlo già detto.








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