La fine delle corse

di Riccardo Fontana

Ci capita spesso, da queste colonne, di accennare ad un’ipotetica prossima fine del mondo del Motorsport, e ciò potrebbe dare adito all’idea che si usi tale  – per noi appassionati – esecrabile scenario come nota sforzatamente malinconica utile a chiudere con stile questo o quell’articolo.

In realtà non è propriamente così, o meglio, la nota malinconica c’è ma non è figlia di una linea editoriale all’insegna della più sfrenata misantropia, quanto piuttosto di una complessiva rassegnazione al subire la realtà che ci circonda che presenta – è innegabile – più di un aspetto allarmante.

La fine del Motorsport, dunque: davvero arriveremo presto ad assistere a questo triste giorno?

Difficile dirlo con certezza: nebuloso è il futuro, le “forze del male” cospirano senza sosta per cancellare l’automobile dal mondo (si scrive “cancellare l’automobile”, ma si legge “rendere schiava l’umanità”), ma ciò che è assolutamente certo è che mai come in questo momento le competizioni sono tornate prepotentemente a giocare un ruolo fondamentale nella definizione del futuro dell’automobile.

Pensiamo soltanto all’impulso che il WEC e la F.1 (più il primo in realtà) hanno portato nell’ultima decade, in termini di esperienze tecnologiche direttamente spendibili nell’affinamento della produzione in serie, allo sviluppo della tecnologia ibrida: in fin dei conti, prima del 2012-2013 cosa c’era sul mercato a livello di auto ibride? Praticamente solo la Toyota Prius, considerata quasi l’emblema delle “macchine sfigate” (per quanto intelligente e futuristica), mentre oggi il mondo dell’ibrido si è espanso a macchia d’olio: dalla microcar alla supersportiva da milioni di euro l’ibrido è ovunque, e nessuno a fronte di dieci anni di dominio ibrido alla 24 Ore di Le Mans e di una F.1 che si è fatta ibrida da dieci stagioni (tralasciando la parentesi KERS che era addirittura antecedente) si sognerebbe più di etichettare un’auto ibrida come una triste Prius a misura di mamme e vecchiette.

Le Corse (la maiuscola mi viene automatica, vorranno scusarmi i più grammar-nazi tra i lettori) forse non sono più violente e brutali in termini di dispendio di vite umane come lo erano un tempo, ma in termini squisitamente tecnici restano quanto di più cinico, inflessibile e sincero che l’opera umana possa elucubrare per mettere alla frusta una tecnologia.

Traducendo in termini più semplici: i burocrati di Bruxelles, quelli che con tutta probabilità tra pochi anni scopriremo essere immischiati fin sopra i capelli nel racket dei monopattini elettrici, hanno pari ad imporre transizioni selvagge ed a promuovere studi su studi in grado di dimostrare tutto ed il suo esatto contrario, ma nelle gare se una tecnologia è un fallimento tende a vedersi, e le bocciature sono spesso di quelle che non ammettono repliche.

Un esempio su tutti? Prendiamo le Audi cosiddette “elettriche” impegnate nella (cosiddetta) “Dakar” da ormai due anni: un dispiegamento di mezzi astronomico in pieno stile Audi, piloti di livello stellare a dir poco, e figuracce terrificanti in serie.

E questo, sia detto, a fronte di regolamenti tecnici comunque parecchio indulgenti nei riguardi delle auto elettriche, e sempre pronti a cambiare in corsa, secondo l’ormai consolidato malcostume degli ultimi anni, che prevede di mortificare la genialità e la bravura di tecnici e piloti in nome di uno spesso farraginoso BoP.

Altro discorso, tanto per cambiare.

Pensiamo poi, tanto per restare proiettati verso futuro, agli studi febbrili sugli e-fuel, la cui implementazione vedrà la F.1 in prima linea a partire dalla stagione 2026, quando entrerà in vigore il nuovo regolamento relativo alle Power Unit.

Gli e-fuel, che all’atto pratico sono l’ancora di salvezza che ci ha salvati da quella porcheria infame del blocco alle vendite di veicoli endotermici in UE a partire dal 2035, sono un terreno quasi inesplorato, che potenzialmente offre spunti quasi infiniti di studio: pensiamo ad un’ipotetica catena chimica in grado di generare carburante ecologico spendibile in un motore endotermico sintetizzato dai rifiuti, non sarebbe forse questa la panacea ad una bella lista di mali?

Sarebbe un modo di aggirare il secondo principio della termodinamica (quello per intenderci che pone il dogma dell’irreversibilità di certe azioni endotermiche), e potrebbe portare ad un grado di inquinamento legato alla circolazione stradale addirittura negativo.

Siamo a Jules Verne, me ne rendo conto, ma forse non troppo: se siamo andati sulla luna cinquantaquattro anni fa con dei calcolatori molto meno potenti di un banale smartphone, non posso non confidare nella scienza.

Ecco, questo sì che è un modo utile di riconoscere il primato della scienza, e su questa ermetica allusione alla gestione pandemica del biennio 2020-2021 lascio cadere il discorso: PLIT non è una tribuna politica e sarebbe utile non lo diventasse.

Lunga vita alle corse dunque: tutto sommato di frecce al loro arco potrebbero ancora averne parecchie.

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