Premessa di David Tarallo.
Su PLIT ci siamo spesso occupati di marchi modellistici del passato, cercando di inquadrarne il ruolo nel loro tempo e definire l’eredità che hanno lascito. Nell’articolo che segue, il nostro collaboratore Riccardo Fontana rievoca la Merit, marca che fu apprezzata dagli appassionati di auto soprattutto per i suoi bei kit in plastica in 1:24. Prima di lasciarvi al cuore del tema, desidero ripercorrere brevissimamente le vicende industriali di questo produttore. Merit era uno dei marchi commerciali utilizzati dalla J. & L. Randall Limited, con sede a Potters Bar, a nord di Londra. La Randall produceva una grande varietà di giochi e giocattoli, soprattutto in plastica, appunto col nome Merit ma anche giochi scientifici come microscopi per ragazzi, motori a vapore…) col marchio Signalling Equipment Limited (SEL). La gamma dei kit in plastica Merit in 1:24 fu molto apprezzata fin dal suo apparire, con scatole di montaggio inizialmente abbastanza semplici, poi – alcune di esse – provviste di dettagli del motore e chiamate “Superkit”. I kit di aereo erano per lo più in scala 1:48, con soggetti quali Supermarine Walrus, Albatros, Avro 504K, Sopwith Camel, Fairey Swordfish, Nieuport, Bristol Bulldog o Fokker DR.1 triplano. Nello stesso periodo la Merit aveva acquisito la licenza dall’americana Gowland & Gowland per produrre un’altra varietà di kit, poi ripresi dalla Revell ma non solo.
La Randalls fece ottimi affari con le sue varie attività, ma non accettò la sfida quando, negli anni sessanta, si affacciarono sul mercato produttori di kit in plastica sempre più agguerriti e con proposte tecnicamente più all’avanguardia rispetto ai Merit. Gli stampi degli automodelli vennero quindi ceduti in Italia all’Artiplast, prima di passare alla SMER in Cecoslovacchia. Alcuni modelli di nave vennero prodotti da SMER, ma la maggior parte degli stampi delle auto andò perduta. I kit degli accessori fermodellistici restarono invece nel Regno Unito, passando alla Peco, nel Devon.
I KIT MERIT 1:24
di Riccardo Fontana
Negli anni cinquanta, gli appassionati di monoposto in scala avevano ben poco di cui gioire: qualche vecchio Mercury sempre più difficile da trovare, Dinky e Corgi con uscite centellinate peggio che col contagocce, qualche già allora introvabile Märklin d’anteguerra, Nigam e Sam Toys (oggetti più teorici che pratico, soprattutto i primi) e nulla più.
Oddio, non proprio nulla, perché in realtà qualcosa c’era: i kit Merit in scala 1:24.
I modelli Merit, nella loro semplicità fedele e redditizia, sono stati probabilmente i primi esempi di kit in plastica di ottima fattura a tema Motorsport, e seppur quasi stilizzati nei dettagli e nel numero di pezzi che li componevano, erano tanto azzeccati da permettersi di arrivare – alla stregua di alcuni modelli Solido degli anni d’oro – ad essere tranquillamente posti in vendita ancora ai giorni nostri, come nel caso della Talbot-Lago 4.5 L, che viene tutt’ora venduta col marchio Heller.
Era il 1957 quando queste belle scatolette di montaggio arrivarono sul mercato, e nonostante il costo abbastanza alto che li contraddistingueva (circa 1100 Lire in Italia, a fronte di uno stipendio di un ottimo operaio specializzato di 45000 Lire) furono immediatamente baciati dal successo: i soggetti trattati erano di scottante attualità, e si rifacevano alle monoposto di F1 (e non) che avevano appena finito di darsi battaglia per il campionato del mondo 1956.
Uscirono così la Lancia-Ferrari D50, la Maserati 250F e la Vanwall, che furono ben presto seguite da altri interessantissimi soggetti come Talbot-Lago 4.5 L ed Alfetta 158 (entrambe dotate, unicum nella produzione Merit, di cofano anteriore apribile e riproduzione del motore), Mercedes W196 in versione scatenata, BRM F1, Connaught Syracuse Type, Gordini F1, e Maserati 4CLT.
Comparvero anche degli strappi alla regola rispetto al tema Grand Prix/F1, come Jaguar D-Type, Aston Martin DB3S, Lotus 11 e la celebre Cooper-Norton di Formula Tre, colonna portante del motorismo inglese “minore” dell’epoca.
Seguirono altre riproduzioni, come una bella Ford Modello T e degli aerei piuttosto ben fatti, ma nessun’altra auto di estrazione corsaiola.





Già, ma com’erano fatti questi kit?
Secondo una scuola prettamente anglosassone che poi sarebbe quella tipicamente ritrovabile nei vecchi kit Revell degli aerei da caccia della Seconda Guerra Mondiale, la scomposizione era molto elementare, con pochissimi pezzi contraddistinti però da un notevolissimo livello di precisione e dettaglio.
Le ruote erano composte da un guscio di plastica da dipingere, che andava completato con un dischetto in celluloide trasparente su cui apporre delle decals riportanti il disegno della raggiatura ed i gallettoni di chiusura: idea apparentemente improbabile, eppure di ottimo effetto, soprattutto se pensiamo che gli utenti erano abituati alle ruote tornite (se andava bene) dei die-cast in scala 1:43.
La verniciatura era richiesta solo per un numero limitato di dettagli minori e per le ruote, mentre le scocche erano già proposte nel colore giusto tingendo la plastica nella massa: il pubblico, allora più di bocca buona rispetto a quanto non sia oggi, apprezzava moltissimo questo genere di semplificazioni, tanto più che stendere uniformemente gli smalti Humbrol a pennello era tutto fuorché facile).

Le decorazioni erano molto belle e fedeli, e tutto sommato era facilissimo ricavare degli ottimi modelli dalle scatolette variopinte della Merit.
Gli stampi, nel corso degli anni, proseguirono la loro carriera sotto molti altri marchi, da Smer ad Artiplast per finire con – per riallacciarci all’inizio della nostra narrazione – Heller, che propose (e propone) alcuni modelli della serie.
Non è difficile trovare questi modelli ai giorni nostri, sia montati che sotto forma di kit “vergini”, c’è però da mettere in conto come, inevitabilmente, la completezza degli esemplari montati sia praticamente una chimera, per quanto siano stati ben conservati nel corso degli ormai molti decenni della loro vita.






Ho sempre rilevato una certa similitudine tra i Merit e la serie di auto da corsa Crescent Toys. Sarà per il comune “english style”, sarà per la scelta dei modelli, sarà per il tipo di finitura, in entrambi i casi molto fedele alla realtà, per l’epoca.
"Mi piace""Mi piace"