Testo e foto di Riccardo Fontana
Il modellismo è un fenomeno che è molto cambiato nel corso dei decenni, trasformandosi da fatto intrinsecamente correlato alla passione degli adepti verso le discipline motoristiche più svariate, che inevitabilmente li spingeva a cercare di allineare una piccola collezione di automodelli suggellanti le più belle vicissitudini umane e sportive di questa o quella categoria, a costume maggiormente votato all’accumulo, con forse minor “trasporto” viscerale verso il soggetto riprodotto ma, come contraltare, una disponibilità di soggetti impensabile anni addietro, e soprattutto una necessità nulla o quasi di inventare o modificare l’esistente, data proprio la disponibilità estremamente vasta di modelli.
Non è sempre stato così, anzi c’è stato un tempo in cui molti soggetti, anche riguardanti auto decisamente importanti storicamente, non venivano minimamente curati dai produttori canonici di automodelli in scala 1:43, che rilasciavano novità col contagocce, che gli appassionati dovevano farsi bastare per magari due o tre anni.
Pensiamo ad esempio alle formula uno di Solido di fine anni ’60: dopo l’infornata dei primi anni ’60, riguardante le monoposto di F1/F2 del triennio 1960-1962, se escludiamo la bella Alpine di F3 uscita nel ’65 le uniche F1 a catalogo del più grande produttore di modelli da competizione del periodo erano la Ferrari 312 – uscita prima in versione 1967 e poi modificata nel modello dell’anno successivo – e la Matra MS10 motorizzata col Ford Cosworth DFV di Jackie Stewart, sempre del 1968.
Poi il nulla più assoluto, e guardando agli altri produttori di modelli in quarantatreesimo la situazione non appariva di certo migliore: Dinky France deliziò gli appassionati con un bel trittico di monoposto, tra cui una Ferrari 312/68 esattamente nella stessa versione (Rouen ’68 di Ickx) del modello Solido ma decisamente meno fedele, una straordinaria Matra MS11 V12 da 10 e Lode, ed un’altrettanto bella Surtees TS5, che uscì nel 1970 ed era però… una F5000, e non una vera e propria F1.
Restarono escluse auto fondamentali, come ad esempio la Lotus 49, che a parte l’essere un’auto straordinariamente competitiva, era stata anche la prima auto dotata di motore Cosworth DFV, montato oltretutto con funzione portante.
Una delle tantissime trovate rivoluzionarie di Colin Chapman dunque, che se escludiamo il Dinky in scala 1:32 (non bellissimo ma che esula comunque il discorso legato all’1:43 che stiamo facendo) passò completamente sotto traccia da parte dei produttori, ma… non degli appassionati.
Già, come poteva fare un appassionato del 1968 ad allineare in collezione una Lotus 49 in scala 1:43?
Così come per quasi tutti gli altri soggetti, l’Average Joe in questione aveva ben due strade: o autocostruirsi da zero il modello, recuperando solo pochi pezzi da qualcosa di già esistente e completando il tutto con materiali di fortuna e decals Solido e/o trasferibili da colorificio (sto pensando alla famigerata Ferrari 312B autocostruita nel 1970 da Alberto Patrese, ingegnere, collezionista, e fratello maggiore del mio omonimo pilota di F1, che vidi sul suo libro dedicato al modellismo quando ero piccolo e che ancora mi turba da tanto è bella) o modificare pesantemente qualcosa di “pronto” per arrivare al risultato desiderato.


Ora, siccome Tiny Cars è una vera miniera di pezzi da novanta da questo punto di vista (che passano completamente inosservati perché l’utente medio – per fortuna – è troppo intenta a sbavare sul centesimo inutile resincast italiota in scala 1:18) oggi prendiamo in esame un modello appartenente alla seconda categoria, quella cioè delle elaborazioni spinte.



Siamo dunque di fronte ad una Lotus 49 – versione condotta al GP di Germania 1967 da Jim Clark – nella sua prima declinazione, ottenuta mediante un lavoro di modifica allucinante operato sulla Matra MS10 Cosworth Solido Serie 100, che in quel periodo era l’unico 1:43 dotato del DFV in circolazione: modello di partenza in scala lievemente abbondante (ed è risaputo per gli amanti di Solido, tanto è vero che la dicitura “1:43” non è riportata da nessuna parte) e modello di arrivo naturalmente un po’ grande, ma linee e dettagli assolutamente conformi ad un Solido standard, e cioè ancora ottimi nel 2025.





Chiunque sia stato a fare questo modello ha modificato tanto pesantemente il telaio da renderlo praticamente irriconoscibile (arrivando a fresare le scritte sul fondino per non far comparire il nome della macchina di partenza), e deve aver faticato non poco vista la proverbiale durezza dello zamak Solido.
Le ruote sono state sostituite da quelle della McLaren Can Am sempre della Serie 100, e sono perfette sia per disegno che per proporzioni, veramente un gusto ed un equilibrio assurdo sia nelle scelte che nel risultato.
La livrea è stata fatta invece a pennello, e completata da trasferibili e da loghi ricavati dai normali carnet supplementari Solido del tempo, una vera miniera di dettaglio utili ad elaborazioni di questo tipo.






Un modello veramente clamoroso, oseremmo dire definitivo per questo tipo di vetture, che forse descrive e cattura l’auto originale come nient’altro che sia venuto dopo.
Quanti modelli così ci saranno ancora in circolazione? Probabilmente molti: ogni tanto capita di trovarne, e non è nemmeno la prima volta che, trovandoci a poterne acquistare, ve li presentiamo su PLIT1, certamente molti sono andati persi o rovinati, ma moltissimi devono ancora uscire allo scoperto.
Certo, spesso vanno leggermente ripresi: come si può vedere, alcuni dettagli come il colore dei braccetti, dei cornetti di aspirazione del DFV, o il numero e la relativa tabella sul lato sinistro sono stati ritoccati a pennellino, ma è veramente meno del minimo per un modello così bello, ed è quantomeno dovuto per ridargli lo splendore che si merita.
Resta, alla fine di queste righe, un senso di vaga contentezza per via della quasi certezza di ritrovarsi ancora in futuro dinnanzi a lavori di questo tipo che, proprio per il carattere unico che li anima, sono e saranno sempre insostituibili.

E sì, prima dell’ avvento degli speciali, ma anche dopo, faticavamo parecchio sullo zamak Solido e non solo. Questo bel servizio mi riporta ai servizi sugli elaboratori di Quattroruotine e ai loro lavori, alcuni di livelli incredibile. Qualcuno di loro arricchisce PLIT con articoli molto interessanti!
PS Nota a margine…non mi ritrovo del tutto nell’ affermazione che la 312 1968 Dinky è meno fedele del Solido. Quest’ ultimo è basato sulla 1967, fu aggiornato in diversi dettagli, ma non fu aggiunta la terza NACA sulla parte anteriore della vettura, il che mi ha sempre fatto preferire il Dinky.
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Riccardo Fontana
Al netto della Naca, sul Solido hai delle belle ruote a stella Campagnolo dal disegno perfetto, una linea generale molto più corretta, l’alettone rosso invece che bianco, e… In realtà basterebbero anche solo le ruote, perché la 312 coi cerchi della Matra secondo me è inguardabile, anche se di fatto resta un buon modello, che però è invecchiato di più e peggio del Solido, mentre certi Dinky come la Matra MS11 e la 630 sono cose maestose.
Stranezza completamente O.T. ma fa niente: la Dinky France realizzò una magnifica Porsche 917 LH del ’69, regolarmente annunciata a catalogo ma prodotta solo come maquette in legno: questa maquette aveva a sua volta i cerchi Matra, ma i cerchi della 917 sono poi stati realizzati e sono finiti sulla Ferrari 312P Spider di regolare produzione… A Bobigny avevano l’allergia per i Campagnolo a stella Ferrari, non c’è niente da fare.
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