Ford MkIV 12 Ore di Sebring 1967

Alla fine del 1966 John Wyer, insieme a John Willment, rilevò gli stabilimenti di Slough appartenenti alla Ford Advanced Vehicles, assumendo la responsabilità per la produzione della versione stradale e delle configurazioni Gruppo 4 della GT40. La nuova compagnia si chiamò J.W. Automotive Engineering. In occasione del salone di New York nell’aprile del 1967, Wyer presentò la MkIII, versione stradale della GT40, per la quale erano stati previsti due prototipi e una ventina di esemplari, di cui vennero prodotte solo cinque unità. Ma John Wyer, forte dei successi ottenuti con la Essex Wire Corporation, riuscì a stringere un vantaggioso accordo con Gulf, grazie a cui sviluppò le Mirage su base GT40. Dall’altra parte, Kar Kraft concentrò i propri sforzi nella progettazione della MkIV, derivata dalla J-car, ma molto più rigida e con un’aerodinamica più efficace.

Alla 24 Ore di Daytona vennero schierate solo le MkII, dotate di parti di carrozzeria in vetroresina. Il debutto della MkIV avvenne invece alla 12 Ore di Sebring, gara che la Ferrari, trionfatrice a Daytona, aveva deciso di saltare. Iscritta da Shelby American per Bruce McLaren e Mario Andretti, la MkIV ottenne un’indiscutibile vittoria, precedendo l’altra auto di Shelby American, la MkIIA pilotata da A.J.Foyt e Lloyd Ruby. Una MkIV si rivide alle prove di Le Mans e il risultato della 24 Ore è noto a tutti: successo per Gurney e Foyt in una gara passata alla storia dell’automobilismo sportivo. Dopodiché la MkIV non fu più utilizzata.

La MkIV ha sempre goduto di un certo successo fra i fabbricanti di modelli in 1:43. Già Solido ne fece una riproduzione nella mitica serie 100, ripresa poi da Sport Cars in tutte le quattro versioni di Le Mans (non è questa la sede ma fra i diecast va citato almeno l’Ixo, molto apprezzato nell’epoca in cui Spark non era ancora il mostro-mangia-tutto che è oggi). Non mancarono poi i modelli artigianali e alla fine degli anni ottanta John Simons di Marsh Models propose una bellissima interpretazione della MkIV in metallo bianco, venduta in kit e anche come factory built.

Di recente, John ha deciso di metter di nuovo mano al tema MkIV 1:43 con un’edizione in resina ma invece di riprendere il vecchio master ha deciso di ricominciare tutto da zero. Sono così uscite le quattro versioni di Le Mans più quella – un po’ meno nota – vincente alla 12 Ore di Sebring. Ovviamente, in questo periodo, neanche Spark è rimasta a cantare sull’albero e oltre alla vincente di Le Mans, abbastanza conosciuta, ha commercializzato la vettura di Sebring, quella impiegata nei test di Le Mans e la numero 3 di Le Mans ’67. Sono poi annunciate per fine 2022 la numero 2 e la numero 4.

La decisione di Marsh Models è stata quindi abbastanza coraggiosa, visto che è il modello Spark è in questo caso piuttosto valido. Sola possibile buccia di banana, la numero 2 di Le Mans, che tutti credono abbia le strisce nere, in realtà le ha di un verde molto scuro, come ci ha confermato lo stesso John Simons, che nel 1967 era andato per la prima volta alla 24 Ore in veste di visitatore. Nel pre-serie di Spark le strisce appaiono nere, mentre il Marsh le ha del giusto colore. A parte questo, il kit di Simons ha un senso se si vuole fare un lavoro davvero dettagliato, che se condotto con tutti i crismi, è destinato a superare per qualità e fedeltà qualsiasi resincast. Analizziamo l’esemplare in nostro possesso. Si tratta dell’MM321M, ossia il factory built dell’auto di Sebring.

Aspetto e linee: niente male a un primo sguardo, ma il parabrezza ci pare un po’ piatto e forse sotto questo aspetto il vecchio Marsh in white metal ci sembrava più fedele, malgrado i suoi termoformati.

Finitura: Eccellente la verniciatura, con le decals sotto trasparente. Una soluzione che può piacere o non piacere, ma al netto di questo, ci troviamo comunque al cospetto di un modello montato con grande precisione. Su alcuni esemplari avevamo notato un allineamento delle ruote posteriori non proprio perfetto, mentre su questo non emergono problemi di tal sorta. Le gomme sono in resina e potete quindi star sicuri che non si deterioreranno mai. Il modello, come tutti i Marsh, è montato su una base senza vetrina e venduto nell’abituale scatola di cartone bianca con la rana.

Fedeltà storica: Anche se probabilmente vendere i montati non fa parte dei tuoi obiettivi primari, se vuoi andare contro Spark con un prodotto che supera i duecento euro devi essere ben corazzato. Insomma, devi proporre qualcosa che giustifichi una notevole differenza di prezzo. Ora, a parte il fatto che Marsh ha la sua schiera di estimatori disposti a passare sopra a qualche svarione (del resto la situazione per Spark è perfettamente speculare), l’idea di possedere un oggetto raro e non per tutti è infinitamente più appagante che pensare di rigirarsi fra le mani una cineseria fatta in serie e magari destinata a degradarsi col tempo.

Detto questo, forse Marsh avrebbe potuto star più attenta su alcuni dettagli: dalle foto in nostro possesso la rivettatura attorno ai vetri posteriori non risulta essere presente sulla vettura di Sebring. Marsh ha utilizzato gli stessi termoformati del kit di Le Mans, da qui l’imprecisione. Mancano anche i rivetti sullo specchio di coda che fissavano lo spoiler posteriore.

A essere proprio pignoli si sarebbe potuto riprodurre lo scotch attorno alle protezioni dei fari, che in realtà era in una diversa tonalità di giallo, oppure in nero. Infine, i ganci di sollevamento posteriori dovrebbero essere rossi come quelli anteriori, mentre Marsh ha lasciato la fotoincisione grezza. Per il resto, invece si apprezza lo sforzo di riprodurre le diverse caratteristiche di carrozzeria: l’auto di Sebring, ad esempio, aveva dei codolini sui passaruota anteriori, correttamente riportati sul modello. Corretto il diverso colore dei gallettoni (blu a destra – rosso a sinistra) e ottima la resa del filettino dorato Firestone sulla spalla delle gomme, che – come detto – nel tempo non faranno una piega. Per il resto si nota la ricerca del particolare, come nel caso delle due lucina d’illuminazione poste sul lato destro (box) o del contrassegno di verifica sul parabrezza.

Sta al singolo collezionista giudicare se le incoerenze storiche che abbiamo segnalato siano accettabili oppure no.

L’acquisto di uno speciale montato di questa fascia di prezzo è sempre e comunque una questione emozionale, forse ancora di più rispetto a quello di un resincast o di un diecast. Con un Marsh di questo tipo avrete sempre qualcosa di molto particolare e chissà se sia sempre bene ostinarsi a trovare a tutti i costi dei difetti, cosa che molto spesso ci impedisce di godere di un bell’oggetto in quanto tale. Per carità, non stiamo facendo l’elogio dell’imperfezione storica (cosa che ci fa sommamente imbestialire), vogliamo solo concedere una spanna in più all’esprit de finesse che deve sempre e comunque condizionare le scelte del collezionista esperto.

PS: E se vi piace la storia del modellismo e non avete mai scordato il marchio Solido, date un’occhiata qui: https://pitlaneitalia.com/2022/11/10/a-proposito-della-ford-mkiv-di-sebring-1967/

11 pensieri riguardo “Ford MkIV 12 Ore di Sebring 1967

  1. Dunque dunque… Il modello è ottimo, solo due cose avrei fatto se fossi stato in loro: la prima è il lining con la china ai bordi delle calotte dei fari davanti, e la seconda è dipingere di nero le fessure nei cerchi.
    Due cose che, forse, a colpo d’occhio “fanno il modello” anche più di certe inesattezze storiche che danno comunque fastidio, soprattutto su certe fasce di prodotto.

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    1. Sì, in effetti un po’ di trompe l’oeil ai cerchi non ci sarebbe stato male. Bisogna anche dire che in foto c’è il flash che spara accentuando l’effetto piattezza ma in ogni caso hai ragione. In ogni caso un bel modello, meno banale dei soliti resincast.

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  2. Scusa Riccardo, non ho capito cosa intendi con “lining” con la china. Se ti riferisci al bordino nero intorno al rivestimento nella realtà era presente, credo, solo nelle prove. Il modellino riproduce la versione gara, quando non c’era.
    Dalla foto in bianco e nero, relativa alle prove, direi, si nota che furono montate anche delle gomme Goodyear.
    Ho elaborato tempo fa un vecchio e malandato Solido in questa versione, mantenendo ovviamente gli errori di linea originali, ma correggendo altri difetti. Se interessasse, giusto per fare un confronto, potrei pubblicare qualche foto, ma non so se sia possibile.

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  3. Beh, attenzione, non credo che il concetto di “lining” ai fari fosse un qualcosa che potesse scomparire tra prove e gara, si notava il bordo tra adesivo e carrozzeria, e si sarà semplicemente notato di più o di meno a seconda delle foto, ossia non credo che ci fosse un bordino nero adesivo e che fosse stato tolto tra prove e gara, è semplicemente una questione di stacco tra varie parti, ma è forse anche una mia fisima, perché sono un mezzo malato di lining.
    Il modello di per lui non è neanche equiparabile ad un banale resincast, che comunque ridete voi che scherzo anch’io, ormai supera gli 80€ eccetera eccetera, ma sono i soliti discorsi che facciamo sempre

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  4. P.S. se volete ho anche una bellissima MKIV gialla della Minialuxe, che c’entra come i cavoli a merenda, ma d’altronde manca un pelo a fare una monografia sui modelli in scala della vettura “incriminata”, sullo stile dei vecchi Passion 43eme

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  5. Perché no? Se David è d’accordo! Io ho anche uno Spark (la vincente di Le Mans), che però non è a portata di mano, ma nel caso posso recuperarlo e fotografarlo.

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