Tarquinio Provini e la Protar, parte 3

Testo e foto di Riccardo Fontana. Redazione David Tarallo

Ci eravamo lasciati con l’esplosione completa del fenomeno Protar, e la conseguente invasione del mercato di una miriade di scatole a soggetti motociclistici uno più bello dell’altro, sempre più numerosi e sempre più fedeli e dettagliati.

Tarquinio Provini aveva di fatto inventato un mondo, quello del motomodellismo, che di fatto non esisteva, e che giapponesi e americani avrebbero seguito solo con svariati anni di ritardo, e con risultati inizialmente aleatori.

E vennero dunque gli anni settanta, e con essi il grande passo: la riproduzione delle automobili affiancata a quella, ormai canonica, delle moto.
Nel catalogo 1972 apparve finalmente il disegno del primo automodello a firma Protar: una monumentale Ferrari 312 B2 in scala 1:12, stupenda – anche se mancata – protagonista del mondiale di formula uno 1971.
Il modello (nella foto di apertura) aveva caratteristiche altisonanti: se Tamiya e Bandai, allora leader del settore dei kit in scala “grande”, proponevano ottime scatole di montaggio in scala 1:12 dotate di motore elettrico (abbastanza odiato dai modellisti, perché per quanto nascosto e non pregiudicante della fedeltà di riproduzione faceva scadere, almeno mentalmente, la riproduzione al livello di un banale giocattolo), la Protar rispondeva con una colossale riproduzione della meccanica interna sia del dodici cilindri piatto di Maranello che, udite udite, del cambio e del differenziale.
Ulteriore nota a margine: questi organi erano perfettamente funzionanti.
Vennero preparati anche dei motori e dei cambi sezionati, in modo tale da fare apprezzare lo straordinario dettaglio interno anche nelle fiere, e questi sono oggi pezzi rarissimi, testimoni di un’epoca pionieristica del modo di intendere il modellismo.

La prima boxart del kit Ferrari 312 B2 Formula 1

La riproduzione della 312 B2 era certamente di estrema qualità, ed alla parte meccanica si accompagnava una parte telaistica assolutamente in grado di reggere il passo, così come la finitura esterna e la veste aerodinamica.
L’unico neo era costituito, forse, dalle ruote, molto belle ma abbastanza grandi, anche se ricordiamo che la 312 B del ’70 che Tamiya aveva da poco lanciato sul mercato soffriva dal canto suo di ruote larghissime e sproporzionate (difetto ripreso in pieno da Exoto quando, ad inizio anni 2000, ha provveduto a copiare e ridurre il kit Tamiya per ricavare il suo costosissimo diecast in scala 1:18, ma questa è un’altra storia).

Era un’altra epoca, completamente scevra dalle “delizie” del CAD, e la licenza interpretativa era all’ordine del giorno: resta il fatto che la 312 B2 Protar divenne, e lo è tutt’ora, una vera pietra miliare del modellismo.
In realtà, in quel catalogo 1972, la Ferrari di Jacky Ickx non era la sola auto annunciata: in ultimissima pagina compariva l’immagine di una March 701, poi mai effettivamente prodotta.

Alcune novità Protar, mai uscite, sul catalogo del 1972: in primo piano la Rondine sovralimentata da Record, e la Gilera 125 bicilindrica del ’57 di Romolo Ferri


Naturalmente, le moto continuarono a rappresentare il cardine della produzione, anche se, in un certo senso, con gli anni settanta la produzione cambiò: il motomondiale stesso entrò in una sorta di crisi tecnica a causa delle restrizioni imposte dalla federazione per limitare lo strapotere delle case giapponesi (limitazione del numero dei cilindri e dei rapporti in base alla cilindrata), e quindi ci fu il ritiro in blocco dei costruttori nipponici, unitamente alle prime avvisaglie di vero disimpegno da parte dell’MV Agusta.

Nacquero nuove tendenze, destinate a restare molto ben radicate fino ai giorni nostri, e fu quindi il momento di pensare e di riprodurre la cosiddetta “Serie Cross”, destinata alle moto da Fuoristrada, che ad inizio anni ’70 spopolavano sia in Italia che nel resto del mondo.

Il primo frutto di questa nuova linea produttiva fu una Greeves “Challenger” 360 a motore Villers, misconosciuta (da noi) e semi-artigianale moto inglese che costituì in realtà una scelta particolare proprio per il soggetto molto di nicchia.
Venne poi l’ora dell’Husqvarna CR 400 del 1970, campione del mondo motocross classe 500 con Bengt Aberg e resa celeberrima da Steve McQueen nel suo On Any Sunday, sia per le riprese durante l’Elsinore Grand Prix (in cui the King of Cool si procurò la frattura al piede con cui poi corse la 12 Ore di Sebring che quasi vinse) che per la storica scena finale sulla spiaggia, in cui lui e il suo amico Malcolm Smith utilizzano due magnifiche Husqvarna, e il terzo della compagnia, Mert Lawwill, curiosamente utilizza una Greeves analoga al modello Protar, adornata da sticker Harley Davidson.

La March 701, ancora annunciata a catalogo anni dopo il 1972, qui in compagnia della Benelli 750 Sei, che fu poi effettivamente prodotta


Vennero poi una CZ 250 in versione 1971, una Montesa Cota 247 da Trial, una stratosferica MZ 500 da Regolarità direttamente dalla DDR (altro soggetto particolarissimo, meno misconosciuto della Greeves ma comunque esotico e relativo ad una moto storica e vincente).
Le ultime due rappresentanti della prima infornata di moto “sporche” furono una Jawa da Speedway (indovinate? Mezzo stranissimo, Provini aveva veramente un tocco quasi da artigiano di vent’anni dopo nella scelta dei suoi soggetti) e la nuova Regina del mondiale motocross: la Suzuki RN 400 di Roger De Coster, che assieme alla RH 250 di Joël Robert turbava i sogni dei giovani appassionati di fuoristrada dell’epoca.
Quelle Suzuki ufficiali erano dei sogni irrealizzabili, figlie se vogliamo della frustrazione tecnologica delle case giapponesi, di fatto costrette a lasciare il campo nella velocità: volendo riassumere con un solo dato la straordinaria qualità dei mezzi, si potrebbe citare il peso, che sia per la mezzo litro che per la sorella minore, era ampiamente sotto i 60 kg…

MZ 500, campionessa europea Regolarità classe 500 nel 1971 con Fred Willamowski
Greeves Challenger 360


Come diceva mio padre, che era uno di quei ragazzi che i Suzuki se li sognava di notte, “non si potevano avere nemmeno pagando”, ma almeno grazie a Tarquinio Provini si potevano avere in cameretta in versione come al solito fedelissima, e non era poco.
Per quanto riguarda la velocità, da sempre ovviamente nel cuore di Tarquinio Provini, si tentò di sopperire alla mancanza di validi soggetti di attualità concentrandosi su alcuni soggetti “del tempo che fu”: fu così che nacque la DKW tre cilindri di metà anni ’50, e che furono annunciate una miriade di soggetti incredibili, come ad esempio la “Mosca Bianca”, la Gilera 125 iper-carenata di Romolo Ferri, o la Guzzi 500 Bicilindrica degli anni ’30-’40, la Guzzi tre cilindri 500 sovralimentata del 1940 addirittura la Gilera Rondine sovralimentata dei record di velocità dello “Zorro Plateado”, Piero Taruffi, che purtroppo non videro mai la luce, ma che resteranno nell’immaginario collettivo degli appassionati.

Nelle prossime puntate, se vorrete seguirci, entreremo nel pieno degli anni ’70 della Protar, e come sempre sarà una straordinaria avventura umana e modellistica.

Boxart della CZ 250-400 del 1971

3 pensieri riguardo “Tarquinio Provini e la Protar, parte 3

  1. Grazie per il bellissimo articolo. Da qualche mese mi sto cimentando nel montaggio di un esemplare della 312B2 della Protar al quale già altri prima di me avevano messo mano. Non è semplice, ma mi sto divertendo moltissimo e spero in un buon risultato.

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