di Riccardo Fontana
Potevamo noi di PLIT tacere a proposito dell’Affaire Marc Marquez che da una settimana imperversa su tutti i media e – diciamocelo pure – anche su tutte le gonadi degli appassionati di Motorsport?
Certo che potevamo, ma per il vostro tedio abbiamo deciso di no, quindi ora vi tocca sorbirvi anche la nostra opinione, ammesso che se ne sentisse la mancanza.
L’antefatto è, ovviamente, l’ennesimo strike operato dal “fenomeno” di Cervera alla prima stagionale di MotoGP, quando durante le prime tornate, dopo una partenza a dir poco chiassosa, ha completamente sbagliato un punto di frenata finendo per investire Miguel Olivera (rimasto sull’asfalto dolorante) e Jorge Martin (ripartito, ma sempre dolorante), riportando anche egli stesso una frattura ad una mano.
Questa è la fredda cronaca dei fatti, fredda per modo di dire, perché in effetti leggendola si potrebbe essere indotti a credere dell’autore di queste righe che sia un fazioso ultrà rossiano di quelli anti-Marquez fino al midollo, e che quindi il seguito sia una più o meno malcelata sequenza di improperi all’indirizzo dello spagnolo ma, ebbene, no.
Assolutamente no.
No, perché per quanto da buon ragazzo italiano classe 1992 io sia cresciuto letteralmente “a pane e Valentino Rossi” dalle elementari fino a ieri (pur restando assai critico per molte cose, non ultimo il terrificante finale di carriera del pesarese), essendo comunque un motociclista, uno sportivo, e forse una personcina equilibrata, non posso astenermi dal cercare di guardare la cosa da un punto di vista più ampio e distaccato.
Marc Marquez ultimamente è, da molti, descritto come una specie di scemo votato all’omicidio ed al suicidio od all’autolesionismo, ed effettivamente moltissime delle cose che gli si sono viste fare a partire dalla prima gara di quell’ormai lontano 2020 (quando si auto-terminò la carriera con le sue stesse mani) potrebbero portare a pensarlo ma, forse, la faccenda potrebbe essere un po’ più complicata di così.
Una delle cose che solo chi gira in pista sa, è che quando si cade si deve risalire in sella e cercare di guidare come se non fosse successo nulla, per non farsi condizionare dalla propria mente e, dunque, per non rallentarsi.
Ecco, alcune opinabili scene che di tanto in tanto il nostro ci mostra, tipo cadute, risalite, e ricadute peggiori della prima dopo un paio di curve, sono dovute proprio a questa smania di essere più forte dell’autoconservazione, ma probabilmente potrebbe esserci ancora dell’altro, e cioè la diplopia.
Marc Marquez potrà piacere o non piacere, ma non è, o comunque non voglio credere che sia, uno stupido completo che si diverte a fare rischiare la pelle agli altri, o comunque che non lo sia fino ai livelli particolarmente “Pulp” che spesso sembra raggiungere (vedi domenica).
Marquez è storicamente soggetto a diplopia, che per i profani è quella assai poco simpatica patologia – più o meno passeggera – che sdoppia il campo visivo, e questo problema si presenta solitamente a seguito di un forte trauma, o comunque di una brusca sollecitazione.
Ecco, il punto sta proprio qui: chi può dire che quella che sembra una dilettantesca e perenne cattiva valutazione di spazi e punti di frenata non sia in realtà figlia di un più prosaico disturbo che, forse, si presenta estemporaneamente a seguito di una brusca manovra di quelle imposte dalla guida per giusto il lasso tempo necessario ad “aiutarlo” a combinare un disastro?
Come sarebbe, del resto, dimostrabile una teoria del genere? Molto difficilmente di sicuro, ma la sensazione che non tutto il torbido sia farina del suo sacco è comunque forte.
La seconda ipotesi è che Marquez sia davvero un pazzo totalmente fuori controllo, completamente sprezzante della propria e dell’altrui salute, ma vincere otto campionati del mondo con queste premesse non è molto credibile, anche se si parla di quello che, probabilmente, è il più grande talento “puro” mai apparso alla guida di una moto non-tassellata (per quelle tassellate c’è tale Joël Robert, ma questa è un’altra storia, che racconteremo).
Tornerà mai più il Marc Marquez dominatore stile-Playstation di una volta?
No: lo dice il tempo, lo dicono i fattori sportivi ed ambientali (Honda) che lo circondano, lo dice la nuova leva di campioni che si sono affacciati alla specialità, e tanto per fare eco al tempo lo dice l’anagrafe, che anche per lui si rivela essere inesorabile come per chiunque altro.
Potrà ancora fare bene? Certo, anche se probabilmente non sarà mai più campione del mondo avrà certamente ancora le sue giornate, come del resto le ha avute dopo il ritorno dall’incidente di Jerez.
I cicli nascono e muoiono, e questa è una verità che vale da sempre e per tutti: è nato e morto il ciclo di Geoff Duke, poi quello di John Surtees, di Mike Hailwood, di Giacomo Agostini, di Valentino Rossi, e forse sta morendo anche quello di Marc Marquez.
È la vita, e per quanto tu possa essere forte non cambierà mai.
Però, forse, sarebbe il caso di darsi una calmata e di capire bene ed una volta per tutte cosa sia a non andare: il disastro, di questo passo, fa già capolino dietro il primo angolo.