Tarquinio Provini e la Protar, parte 1

testo e documentazione di Riccardo Fontana

La branca del modellismo che noi chiamiamo “degli speciali”, è un’entità cui è difficile dare una collocazione precisa: da sempre la mente corre ai kit, in resina o metallo che siano, ma ci sono anche produttori che producono solo modelli montati pur essendo artigiani. Sono quindi le dimensioni della realtà produttiva a fare l’artigiano? Se così fosse, e così probabilmente è, la Brumm dovrebbe essere annoverata a tutti gli effetti tra i produttori artigianali, così come a loro tempo realtà come Box Model e molti altri.

È un discorso ampio e che riprenderemo, perché varrebbe certamente la pena approfondirlo, ma in ogni caso uno dei primi esempi di produttore di modelli speciali, per quanto non ortodossi sia per i soggetti trattati (moto invece che auto) che per i materiali impiegati (plastica invece del metallo bianco o della resina) è certamente italiano e non viene mai ricordato accanto a chi del modellismo speciale è considerato da sempre un pioniere, come i vari John Day, Marc Europa o Manou Autosport, ed è la Protar, fondata da Tarquinio Provini agli inizi degli anni ’60 tra Piacenza e Bologna.

Tarquinio Provini, nato a Roveleto di Cadeo nel 1933, figlio di un fabbro e meccanico di paese e valentissimo tecnico e pilota, vinse due campionati del mondo con la Mondial (125, 1957) e con l’MV (250, 1958), e mentre ancora correva nel campionato del mondo-siamo nel 1962-ebbe un’idea che nessuno, né in Giappone né negli Stati Uniti, né da nessuna altra parte, aveva ancora avuto: creare delle scatole di montaggio che riproducessero fedelmente le moto che dominavano sui circuiti di tutto il mondo, e che infiammavano la fantasia popolare non meno delle loro corrispettive a quattro ruote.

Un 8 Cilindri Moto Guzzi al Museo di Mandello


Detto fatto, lavorando letteralmente in casa e nel tempo libero, nacque il Protar numero uno: la Morini 250 Monocilindrica, che lui sviluppava dal 1960, con cui avrebbe quasi vinto il campionato del mondo classe 250 nel 1963 contro Jim Redman con la Honda 4 cilindri perdendolo di misura, e che sarebbe stata la moto del debutto nel circus iridato di tale Giacomo Agostini, allora misconosciuto ventenne che correva in salita e nel campionato italiano.

“In caso di reclamo scrivere alla Casa”


Chi avrebbe potuto avere un’idea del genere, soprattutto allora? Solo Provini, ma la fortuna lo premiò, come vedremo. La scala prescelta fu l’1:9, che divenne uno dei segni distintivi del marchio, e il modello, piuttosto bello e dettagliato, era molto semplice nella sua concezione rispetto a quanto la stessa Protar avrebbe sfornato nel corso degli anni: pochi pezzi, nitidi, due gusci per il motore, due per telaio e forcellone, altrettanti per ciascuna ruota, per la carenatura, la forcella, e pochi altri dettagli. Il modello, caratteristica che sarebbe rimasta costante negli anni, era preverniciata (tingendo la plastica nella massa, ma anche precolorando tramite mascherine le carenature, abbastanza complesse in certuni casi come per l’appunto per quanto riguarda la Morini) nei colori corretti, in modo tale che l’appassionato che si fosse cimentato nel montaggio non si fosse dovuto preoccupare di quell’aspetto.
Non erano anni da modellismo, e di conseguenza nemmeno da colori da modellismo.
Si pensava cioè di rendere la vita facile a chi si fosse approcciato all’opera.
Il kit fu un buonissimo successo, e venne seguito nel giro di poco da altri due modelli: la Gilera 500 4 Cilindri del 1957, campionessa del mondo 500 col ternano Libero Liberati (bellissima la scatola col disegno a mano del celebre sorpasso di Geoff Duke su Liberati alla Parabolica di Monza al GP delle Nazioni ’56, corso con le stesse moto, un bellissimo omaggio alla moto che ha insegnato ai giapponesi a fare le moto), e la Benelli 250 4 Cilindri, con cui Provini passò a correre nel 1964.
I modelli si arricchirono in dettagli e fedeltà rispetto alla Morini, ma ne mantennero le caratteristiche di base: la catena, ad esempio, era costituita da un anello di gomma nera la cui sagoma imitava le maglie, semplice ma funzionale ed effetto.

Nel 1965 arrivò la seconda infornata di scatole di montaggio Protar, e stavolta fu il turno della Moto Guzzi 500 8 Cilindri del 1957, della MV 500 4 Cilindri che era la padrona del mondiale della classe regina di quegli anni, e della Mondial 125 con cui Provini vinse il suo primo campionato del mondo nel 1957, seguita a ruota (esternamente era uguale) dalla versione 250, a sua volta nobilitata dall’iride nello stesso anno con Cecyl Sandford.

Le decals, presenti per quanto riguarda numeri e marchi, erano affidate a dei trasferibili, molto fedeli ma anche molto problematici da posare correttamente, e le decals ad acqua non arrivarono se non molto tardi, ad anni 80 inoltrati.
I kit Protar si affermarono velocemente come detto: erano un’idea completamente nuova, in un contesto in cui non vi era nemmeno un valido corrispettivo automobilistico (sicuramente non allo stesso grado di fedeltà) e iniziarono a trovare spazio sulle riviste, come Motociclismo, che di tanto in tanto presentava le novità della piccola firma del campione piacentino: resta per me un mistero, tolte le sue proprie moto che per ovvie ragioni conosceva, come facesse Provini a conoscere abbastanza bene mezzi “top secret” come le Guzzi V8 o le Gilera 4 Cilindri: erano moto che, a seguito del “Gran Rifiuto”, cioè il ritiro in blocco dei costruttori italiani al termine del 1957, erano completamente scomparse, sepolte nelle rispettive soffitte (letteralmente) dei loro costruttori, e di cui le immagini non brulicavano di certo, soprattutto per la Guzzi 8 Cilindri, che corse pochissimo e sempre in veste ultra-carenata.

Anche il Conte Agusta, d’altro canto, non amava che si vedessero molto le meccaniche delle sue moto: celebri erano gli stracci che Arturo Magni, celeberrimo capo meccanico dell’MV, “lasciava cadere” sulle parti esposte di motori e carburatori.

Quando poi avrebbero iniziato a spopolare i giapponesi, sfornando mezzi leggendari, la situazione a livello informativo sarebbe ulteriormente assai peggiorata, ma anche di questo riparleremo.
Provini e i suoi facevano i miracoli con ciò che avevano, e non avevano praticamente nulla, e questo chi critica certi modelli con gli occhi di oggi dovrebbe tenerlo bene a mente, anche perché se si confronta un Protar fatto in questo contesto con la documentazione disponibile oggi, si vede come la fedeltà di riproduzione sia praticamente sempre estrema.

Nel 1966 viene fondata in Olanda la Hobbymex, ditta con lo scopo di importare i prodotti Provini nel paese dei tulipani: solo nel primo anno, in un paese (allora) di non certe floride tradizioni motociclistiche come l’Olanda, vennero vendute oltre diecimila scatole.

Sempre in quel 1966 terminò definitivamente la gloriosa carriera sportiva di Tarquinio Provini: girando in prova al Tourist Trophy con la Benelli 250 che fu il Protar numero 2, fu abbagliato dal sole mattutino all’uscita di una curva, e cadde riportando gravissime ferite alla spina dorsale.
I medici gli pronosticarono che non avrebbe mai più camminato, lui fortunatamente li smentì, ma i suoi giorni da asso erano ugualmente irrimediabilmente finiti.
Sarebbe rimasto più tempo per dedicarsi alla Protar, e se vorrete seguirci, volta per volta, ve ne racconteremo la storia.

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